L’essere umano quando nasce al mondo si contorce, sollecitato da una forza scomoda che lo sprona a partire. Non è retta la via di uscita, deve tirare la testa indietro e poi torcersi, roteare. Così sembrano fare le sculture di Marianna Costi; nascono al mondo sotto le sue mani e si elevano in una torsione come uno sgarro, una sofferenza, l’uso di una forza per protendersi, nonostante tutto, verso l’alto, alla ricerca di una salvezza che va conquistata, che non è data né certa.
Arrivo a Firenze al mattino e Marianna Costi mi aspetta davanti l’hotel Baglioni, dove ci salutiamo e camminiamo a passo tranquillo verso il centro. Trovo che camminare sia un modo splendido di stare insieme, sopratutto in Italia dove le città sono intrise di bellezza. Camminare con Marianna è facile, lei è comoda con sé e con me, e la città sembra casa sua.
Passiamo davanti alla Cattedrale di Firenze e Marianna Costi mi porta a vedere da vicino la porta d’oro e – come ogni artista – mi insegna a guardare qualcosa che ama, a conoscere un po’ di più.
Non si può passare di qua e non guardare la porta del Paradiso, mi stupisco e incanto sempre come se fosse la prima volta. Adoro la tecnica del bassorilievo; guarda che maestria, il rilievo varia dall’alto fino allo schiacciato, le figure e gli oggetti diminuiscono gradualmente creando questo effetto prospettico, un’illusione di profondità dove spazio e profondità non ce ne sono.
Come sei arrivata alla scultura?
Il mio percorso parte dall’architettura. Mi sono iscritta alla facoltà di architettura forse per quel fascino che le proviene dall’esprimersi in progetti, per quelle realizzazioni che possono essere al contempo opere d’arte e risposta a importanti bisogni dell’uomo. Il disegno ha sempre accompagnato il mio percorso; disegnavo sempre e ovunque e da lì il passo alla scultura è stato breve.
Passiamo davanti Palazzo Vecchio, dove Marianna è stata insignita del prestigioso “Fiorino d’oro”, la più alta onorificenza in campo culturale del Comune di Firenze. Come sei arrivata da Modena a Firenze?
Volevo diventare un artista. Questo mi fa sorridere perché non sapevo bene cosa significasse essere artista, del resto nemmeno ora lo so. E non avevo nemmeno le prove di possederne la stoffa, ma sapevo di volerlo profondamente. L’artista è un personaggio che lavora sodo, che non può fare diversamente; la sua è una costante ricerca, che deve continuamente approfondire, una ricerca di verità. Penso che quella dell’arte sia qualcosa di simile ad una chiamata, una vocazione che la vita fa di tutto per farti udire.
Cosa ha fatto a te?
Verso i venticinque anni ho avuto gravi problemi alla schiena che mi costrinsero a letto per un lungo periodo, quasi un anno. C’era un’altissima probabilità di non poter tornare a camminare, fortunatamente questo non avvenne. Fu un’esperienza intensa, dolorosa, brutale; una di quelle prove che se interrogate ed assecondate possono portare a qualcosa di buono. Tra i tanti interrogativi di quel drammatico momento c’era anche quello del valore della mia vita, se andava bene ciò che stavo facendo o se avessi potuto fare qualcosa di meglio per favorirla.
E hai trovato una risposta?
Dopo un anno tornai a camminare, e mi fu chiaro che dovevo dedicarmi all’arte, essere artista. A Firenze cercai e trovai maestri, che mi insegnarono le varie tecniche di disegno, pittura e scultura; iniziai un lungo e faticoso percorso di studio, lavoro, disciplina.
Come sono questi Maestri?
A me pareva gente di altri tempi, con modi severi ma sinceri, di una gentilezza profonda, da non confondere con la gentilezza spesso bugiarda dei nostri giorni. Hanno, potrei dire, una sincerità spietata che spesso fa male, subito ti mortifica e poi piano piano inizi a capire. Loro mi hanno insegnato a guardare. E quando guardi davvero, la visione del mondo cambia, si amplifica.
Si parte dallo sguardo?
Sì. Oggi, per esempio, i colori sono tutti molto prepotenti, guarda quel giallo del porta-pacchi di Glovo, il rosso del pantaloni di quel bambino: i colori sono così, sgargianti, netti, tutti uguali. E ora, invece, guarda sotto i nostri piedi…
Al momento, dopo aver fatto visita al suo S.Francesco nella chiesa di S. Trinità, eravamo di nuovo davanti alla Cattedrale e siamo rimaste lì a guardare le pietre.
Se non guardi con attenzione e ti chiedono di che colore sono, dirai ‘boh? pietre, grigio’. Ma se le guardi bene, vedi l’universo di tonalità che ci sono, quanta varietà in questi colori naturali; vedi che una vira verso il viola, un’altra più verso il rosso, un’altra tende al blu e guarda quanti gialli e ocra che ci sono!
Camminiamo ancora conversando su alcune importanti borse di studio che Marianna è riuscita a vincere, arriviamo ad una galleria dove si trovano alcune sue sculture. Mi colpisce una grande Figura in bronzo, regale e ferita, che si torce verso l’alto elegante e fiera, tradita solo dalla testa che guarda di lato, in basso, con una certa nostalgia. Su quale materiali fai le tue sculture?
Lavoro con diversi materiali: creta, refrattario, cemento, cera. Da qualche tempo modello direttamente in cera. Come questa scultura, plasmata in cera e fusa poi con la tecnica della fusione a cera persa, che le permette, una volta trasformata in bronzo, di essere esemplare unico.
Come! E poi della tua scultura non resta traccia se non il bronzo? Non ti fa un po’ tristezza?
No, non mi fa tristezza. E’ un rischio, certo, perché se qualcosa va male, si perde tutto il lavoro; ma è anche il suo bello. Ogni opera è unica.
E ha quell’anima in cera persa. Come ti è venuto in mente?
Per avere maggiore libertà di manovra durante la lavorazione e per abbattere un po i costi di fusione. Non è stato facile, più volte mi sono trovata con la scultura a terra a dover ripartire da zero, fino a quando finalmente ci sono riuscita! Quindi sezionata e portata in fonderia.
Fonderia nella quale mi ha portato. Il sedile posteriore della sua macchina era pieno di sculture avvolte in coperte dove sembravano dormire al sole. Marianna guidò verso Scandicci, appena fuori Firenze, dove ci aspettavano Claudia e Fabrizio, e lì ho visto per la prima volta la fucina della scultura. Com’è il momento della colata del bronzo?
Il bronzo viene fuso a 1150 gradi di temperatura, e l’ottone a 1000, possibile anticamera dell’inferno, passando però attraverso un giallo aureo accecante. E’ come vedere il sole colare, raffreddarsi e ricomporsi in scultura. Una magia.
Quali progetti hai a breve? chiedo a Marianna Costi mentre mi accompagna verso la stazione.
Insieme a Francesca Sacchi Tommasi stiamo organizzando una mia personale a cura di Vittorio Sgarbi. Sarà a novembre, qui, a Firenze, alla galleria Etra Studio Tommasi in Via della Pergola. Luogo di grande fascino ed incanto, ambiente dove il Cellini diede vita al Perseo.
Ultima domanda prima di salutarci: come ti vengono le idee? Ti mancano mai?
Scaturiscono da una fonte fluida. Sono tante e arrivano in continuazione. Il grande lavoro è riuscire a dare voce e forma alle proprie idee. A volte si presentano chiaramente, molte altre sono esseri non definiti, nebulosi. Bisogna cercare di acchiapparle prima che scappino via, spesso disegnando, mettendo nero su bianco. A volte fuggono, anzi spesso, poi magari tornano, ma non mancano mai.-
(Intervista a cura di Mercedes Viola)