Nessuno può essere sufficientemente modesto da poter affermare di esserlo, tantomeno un brav’uomo.
A Carloforte, l’Isola di San Pietro, molti anni prima di Gianni Morandi, c’erano due giovani cantanti che si contendevano il primato della voce più bella.
Uno dei due era mio nonno, soprannominato Angelo il Furetto: per la sua agilità nell’arrampicarsi sui tetti, per la forza (unita alla destrezza) nel camminare dalla piazza sino al porto sulle mani a gambe all’aria, e per l’impudenza con cui amava le donne degli altri senza lasciar traccia di sé a ogni fuga. Dei presunti tradimenti di quelle brave donne non c’era ovviamente alcuna prova; tuttavia, qualcosa di quei fatti, il narcisismo di mio nonno raccontava nelle orecchie più capaci di sentire i bisbigli.
L’altro cantante era il figlio del più ricco isolano, si chiamava Giovanni Parodo detto Giuan della Bagascia figlio del Commendatore Giuseppe Parodo conosciuto nel paese come Beppe della Patata.
Beppe della Patata era un uomo potente, diventato da poco Vice-Podestà di Cagliari grazie a un’imponente campagna elettorale finanziata con gli introiti della casa di tolleranza da lui gestita in Via Santa Margherita.
Per un caso del destino, i due cantanti erano coetanei ed entrambi non avevano la mamma: sebbene Angelo il Furetto fosse orfano di madre dalla nascita, mentre Giuan della Bagascia di madri ne aveva diciotto, ma tutte imprenditrici.
Quando parteciparono per la prima volta al Festival del Mare, si presentarono con la stessa canzone: una serenata romantica e un po’ patetica del consueto logoro repertorio carlofortino.
Fu Angelo il Furetto a vincere, mentre Giuan della Bagascia arrivò secondo su un totale di dieci concorrenti.
Nei mesi successivi, Giuan si convinse di aver perso a causa dei voti del pubblico femminile: una dozzina di giurate che sicuramente cornificavano i propri mariti, infatti, a ben contare, i giudici di sesso maschile erano solo otto.
Durante tutto l’anno Giuan decise di potenziare le sue corde vocali con un intruglio che gli aveva suggerito il parroco… Per questo motivo, tutte le notti, prima di coricarsi, ingeriva “con lentezza e sciacquo” due cucchiai colmi di una mistura a base di: miele di corbezzolo, coriandolo, latte di capra, purea di cipolla bianca, succo d’aglio, sciroppo di carrube e riccio di mare.
Ma una notte, durante il sonno, un ratto gli mangiò quasi due centimetri di lingua e una porzione del labbro inferiore, rendendolo incapace di pronunciare le parole a tal punto da preferire il mutismo totale a incomprensibili vocalizzi.
Senza rassegnazione alcuna al suo triste destino, Giuan della Bagascia non volle dedicarsi ad altro se non al bel canto. Chiese dunque a suo padre di finanziare e organizzare il primo Festival del Silenzio, proprio in concomitanza con il Festival del Mare. Anzi, accadde che, in seguito a certe pressioni, quell’anno il Festival del Mare non si tenne proprio, e tutti i cantanti con la lingua furono costretti a iscriversi al Festival del Silenzio.
L’evento fu grandioso: ballerine, maghi, comici e attori di avanspettacolo si esibirono tra un silenzio e l’altro e, nei giorni precedenti alla manifestazione, persino la Gioventù Italiana del Littorio promosse feste e sagre mai viste prima, con giochi atletici e marce ritmate di giovanotti vigorosi e caste fanciulle. Una folla di persone aveva inondato il piccolo borgo con una fiumana proveniente da tutta la Sardegna: c’era un Monsignore di Cagliari, un Colonello di Oristano, il sarto della Casa Reale e pure alcuni politici di un certo peso del Partito Nazionale Fascista.
L’esibizione di Angelo il Furetto sembrò, alla giuria, piatta e un po’priva di emozione: mancava una certa interpretazione negli acuti silenziosi, e poi il suo modo di ovattare e non cantare appieno le note grevi apparve alquanto scolastico e impersonale.
Ma il silenzio di Giuan della Bagascia… Che meraviglia, che cantante, quale prodigio!
Quando prese un acuto (che nessuno sentì) tutti si commossero, e come poter descrivere: gli inavvertibili sussulti, i muti gorgheggi e quel timbro tranquillo e silente! Giuan vinse, oltre ogni misura, primo su trentadue cantanti, e ben presto divenne una celebrità.
Fu chiamato a inaugurare il nuovo edificio scolastico del liceo di Nuoro, presenziò alle celebrazioni per l’avvio di una strada a doppia corsia a Carbonia, fece anche da testimonial (ante litteram) a un’azienda di Sassari che produceva mangiare secco per gatti a base di farine di carne: “Non farti mangiare la lingua dal gatto…” diceva un fumetto sopra la testa di un sorridente Giuan, “Nutrilo con Italmiao…”
Mio nonno, Angelo il Furetto, per tutta la vita, non si capacitò del successo ottenuto da Giuan: il Cantante senza lingua.
Forse non fu la successiva guerra a uccidere il suo spirito, forse fu quella deprimente paesana sconfitta al Festival del Silenzio.
Lui non ottenne nessuna fama, ma non si sforzò nemmeno di avere un qualche valore umano.
Quando mi raccontava di Giuan della Patata terminava sempre con la solita frase:
“Stai lontano dalla luce: la gente detesta chi è troppo sotto la luce. Le persone preferiscono acclamare l’ombra. Ricorda che l’oscurità fa paura e quando la applaudi ti convinci che a te non capiterà di finire nelle tenebre!”
Non ho grandi ricordi di mio nonno, anche se ne conservo i lineamenti sul mio volto… E ora, con quasi la sua esperienza dei tempi, ora sono certo che la fortuna sia cieca perché vive nell’ombra e non sotto i riflettori.
Si dice inoltre che la sfortuna non dia risposte. Forse non ha la lingua, o semplicemente non ha tempo per darle; ma nessuno può essere sufficientemente sfortunato da poter affermare di esserlo, tantomeno un brav’uomo.
Angelo Orazio Pregoni