“Anche un’opera d’arte ispirata dalla disperazione nutre di vita l’animo di un uomo”.
In queste due ultime settimane, la bella passione della lettura mi ha regalato due libri, per puro caso o forse no, ambientati entrambe nel mondo del circo. Che strano! Che bello!
Mai sarei andato di proposito a cercare dei libri sul circo, ma mica per un pregiudizio. Allo stesso modo non ne avrei cercati sulla costruzione di grattacieli, sul vetro soffiato o riguardanti gli sport estremi, le prime cose che mi vengono in mente.
Ed entrambe i romanzi, pur molto diversi per impostazione, struttura, linguaggio, lunghezza e trama, mi hanno concesso momenti stupendi.
Perché il bambino cuoce nella polenta è il libro di cui vi ho raccontato settimana scorsa, oggi vi racconto e vi invito caldamente a leggere Troppo lontano per andarci e tornarescritto magistralmente da Stefano Di Lauro, e pubblicato da Edizioni Exòrma nella collana Quisiscrivemale.
La storia narra di un circo dal nome curioso, Au Diable Vauvert, che vaga di città in città, senza mai entrare in Parigi, negli ultimi anni del 1800.
La notte del 31/12/1899, dopo analisi accurate e condivise, valutati pro e contro, tenute in considerazione prima di tutto la vita e il futuro di ognuna delle persone coinvolte, la compagnia mette in atto una scelta straordinaria: si imbarca su un piroscafo, destinazione Buenos Aires,
Ve lo immaginate un circo intero, con carri , carrozzoni, gabbie, animali e persone, e tutto ciò che serve per allestire il tendone, caricati nella stiva di un piroscafo, destinato a viaggiare per settimane?
In questo capitolo iniziale c’è già così tanta meraviglia da riempire pagine e pagine, ma è solo l’inizio, solo un accenno alla ricchezza che traboccherà da questo pozzo delle meraviglie che è il romanzo di Stefano Di Lauro, o più correttamente dalla enorme pancia di una balena.
Ritorna ancora, con questo libro, il richiamo a miti della letteratura mondiale quali Pinocchio e Moby Dick, trova ancora spazio privilegiato in una storia un animale che ha nello spazio una delle sue caratteristiche primarie, spazio occupato e spazio offerto: la pancia della balena.
La storia inizia con il circo che infila se stesso nella pancia di un piroscafo, per varcare i confini dei propri spazi consueti, ma prosegue soprattutto raccontando di sé, della sua essenza, del luogo dove scorrono i giorni, uno chapiteau (un tendone) che è una grande balena che accoglie i suoi ospiti.
Cosa succede in questo fantastico chapiteau? Si esibiscono funamboli, acrobati, equilibristi, giocolieri, la scimmietta Chouchou e la lupa Antoinette, numerose individualità dirette alla perfezione da Orlando Méliès, ma se pur vi sembrerà strano, il cuore del romanzo è la vita quotidiana della compagnia circense, di ciascuna persona che compone Au Diable Vauvert, di ciascuna della persone che lo ha pensato all’inizio, e di tutti coloro che nel tempo lo arricchiscono portando ciascuno il proprio contributo, le proprie abilità spettacolari. Questa è la storia di una stupenda comunità di persone che cresce nel tempo in termini di numero e di potenzialità, di una grande comunità unita che condivide, collabora, accoglie, sostiene ogni membro come se fosse figlio o fratello, femmina o maschio o animale non umano.
Nella comunità di Au Diable Vauvert si litiga pochissimo, e non perché si finga o perché si è santi. Qui si vive così, con estrema naturalezza, libertà, assoluto rispetto dell’altro. Qui si vive bene, si lavora, si fatica tantissimo, ma ci si gode la vita, anche nelle difficoltà, la vita vera.
“La mercanzia di quel circo era eclettica: svago, suggestioni, incredulità, risate; ma su tutto, una salutare diserzione dal colpevole calendario della realtà.”
E poi? E poi, la scrittura.
“Il vento spegne la candela ma riaccende il fuoco.”
La scrittura di Stefano Di Lauro è meravigliosa, elegantissima, un vero vocabolario da assimilare mentre si legge, termini inusuali e azzeccatissimi che danno un tono prezioso all’insieme e rendono il romanzo piacevolissimo da leggere. Non c’è un cedimento, un’incertezza, nulla. Non sono un esperto o un filologo, ma un discreto lettore credo di sì, e a mio parere nel romanzo in questione, si rasenta la perfezione. Ci sono passaggi che rimandano al Don Chisciotte di Cervantes, altri alla Certosa di Parma di Stendhal. Si legge il romanzo assaporandone il gusto, si sta bene leggendolo, ci si sente davvero nel ventre, in una culla, in un giaciglio, coccolati e sereni. Ho recensito tanti libri dal clima inquieto, provocatorio, che mantengono l’adrenalina a livello di guardia per molte pagine, libri che interrogano e non permettono di riposare, ma sono necessari anche i libri rassicuranti, incoraggianti, che concedono una possibilità, senza illudere.
Oggi è necessario leggere Troppo lontano per andarci e tornare, per godere della vera e profonda bellezza del condividere, dello stare bene insieme partecipando al circo della vita, nella pancia di una balena, per godere della straordinarietà del leggere e dello scrivere e dell’ascoltare ciò che si legge.
Claudio Della Pietà
“Viaggeremo nel ventre della balena… Lungo il filo dell’orizzonte c’è un passaggio segreto che collega il mare al cielo, e di lì alla luna non c’è che uno sputo. Fiaba oscura, nespola dura, la paglia e il tempo le matura. Fate buon viaggio, signori!”
Stefano Di Lauro
Recensione al libro Troppo lontano per andarci e tornare di Stefano Di Lauro, Exòrma, 2019, pagg. 344, euro 16,50.