Non aspetterò che si raffreddi il ricordo, preferisco bruciare la mia lingua e i vostri sguardi con l’ardore che lasciano queste pagine. Alla fine era così che dipingevano anche loro, bruciando, mica seduti sereni e docciati. Ho finito di leggere e sottolineare il libro della Pulvirenti poco fa, al bar del parco giochi. Luogo non adatto per piangere ma tanto chi ti guarda. Non è un libro triste, ma è potente e poetico, e davanti alla potenza e alla poesia mi commuovo.
«Non dipingerai i miei occhi», diceva la Hébuterne a Modigliani, e lui si limitava a incidere due ferite azzurre. Perché nei suoi occhi era racchiusa la sua anima, anima che la faceva artista e musa, Madonna e bambina e donna e putain, ed era la sua essenza che Modì cercava, non la verosimiglianza. Ce lo racconta questo libro, che non cavalca su capitoli ma su titoli di opere: disegni, dipinti, quadri e fotografie. Solo i titoli, la data e l’autore. Le immagini le cerchi o, se le conosci, le ricordi.
L’autrice, come prima mossa – intelligente, per chi nei bar trova la salvezza –, ci fa accomodare a un tavolino de La Rotonde, nel Boulevard du Montparnasse nella Parigi di novembre del 1916. C’è la guerra, arriverà la Spagnola, e a Parigi ci sono tutti quelli che contano nell’arte moderna. Ci sono Modì, Picasso, Foujita, Cocteau, Matisse, Soutine e altri pittori e poeti.
Ma non sono quelli che vediamo oggi nei musei, consacrati. No. Sono giovani e quasi tutti poveri in canna, credono nell’arte in mezzo alla desolazione e morte di cui la guerra li circonda, si sfamano per la grazia di una donna che cucina per loro a 70 centesimi a pasto (vino a parte), per la benevolenza del proprietario del bar o scambiando dipinti per due piatti di minestra. Vivono tutti vicini: loro, le modelle, e donne d’arte che oltre all’arte si dedicano a ispirare e sfamare l’anima degli altri artisti, a tavola a letto o a orecchio in salottini decadenti.
E una tra tutte c’è, finalmente sotto un raggio di luce che la inquadra intera, anche lei: Jeanne Hébuterne, giovane figlia della buona borghesia con un talento nelle mani che diventa vestiti, gioielli, disegni e dipinti. Che è stata anche, e fatalmente, l’ultima donna di Modì, che porta in sé, e riesce a vedere in tutto – e di quei tempi abbonda – la sofferenza, dalla quale tenta di salvare Modì e lei stessa. Sulla sua riuscita o meno ognuno trarrà la propria conclusione.
Grazia Pulvirenti sembra avere una conoscenza che va oltre il suo essersi documentata. La sua narrazione poetica prende le voci di tutti e parla per tutti in modo diverso, come se avesse viaggiato nel tempo e fosse riuscita a dar voce alle loro verità. E così facendo, finalmente, Jeanne Hébuterne, la luce ti raggiunge come mai l’hai vista sui tuoi tetti di Parigi. Non potevi, non riuscivi. Ma ora punta su di te, che hai tentato di amare tutto, e a volte di fuggire senza sapere come; che sei stata amata in modo folle, chiedendoti se quello fosse vero amore. E noi possiamo vederti, compatirti, rimproverarti, ammirarti.
Potrà il nostro sguardo sul tuo genio ripagare tanto dolore, potremo farti sentire finalmente vista? Grazia Pulvirenti fa un passo deciso e dolce in questa direzione, e chiudendo il libro si ha la sensazione che lei riesca, finalmente, a catturare e dipingere con le parole, oltre alle tue due tremende ferite azzurre, i tuoi occhi.
Mercedes Viola
Recensione al libro Non dipingerai i miei occhi. Storia intima di Jeanne Hébuterne e Amedeo Modigliani di Grazia Pulvirenti, Jouvence, 2020, pagg. 150, euro 12.