Per uno di quegli insensati colpi di fortuna di cui a volte l’umanità beneficia, Ennio Flaiano tornò sulla terra.
Qualcuno lo vide apparire sul galoppatoio di Villa Borghese ma non lo riconobbe. Soltanto quando lo condussero in questura e dovette rilasciare le sue generalità un agente patito di cinema italiano anni 50 esclamò: “Ma questo non è un ubriaco qualsiasi, questo è un grande sceneggiatore!”. Venne organizzata in fretta e furia una conferenza stampa al grido: “Il genio è di nuovo tra noi”. Flaiano, ancora in palese stato confusionale, si disse contento e stupito di ricevere tutta quell’attenzione. Com’era naturale disse cose deliziose, alla Flaiano, strappando più di una standing ovation alla platea di giornalisti accorsi all’evento: “Evidentemente da zombie sono più interessante”, o “Non avevo ancora finito di deludervi”.
Lo sistemarono in un lussuoso hotel di via Veneto, in rispetto ossequioso del suo mito, dove non faceva altro che negarsi agli inviti pressanti dei talk televisivi. “Potrei andare a un talk solo se non mi piacesse avere sempre torto”, disse. Giornalisti e paparazzi presidiavano l’hotel giorno e notte e qualcuno mise una cimice nella sua camera, per carpire dei nuovi aforismi da sbattere in prima pagina. Così, un giorno Flaiano sentenziò: “Avessero anche un cervello, a sinistra sarebbero perfetti”, e subito la destra lo elesse a suo paladino, citando i suoi libri e usando una sua gigantografia nella sede del partito. A Flaiano però qualche tempo dopo scappò di dire: “C’è una cosa che sopporto meno della sinistra: la destra”. Un giornalista più intraprendente gli urlò attraverso la porta: “Guardi che con le sue frasette taglienti si sta facendo un sacco di nemici, così ci esaspera e presto verrà dimenticato!” Flaiano ridacchiò osservando: “E dove sarebbe la novità?”.
Voleva scrivere ma l’industria cinematografica era cambiata. Tutti gli facevano gran salamelecchi, promettendogli carta bianca, ma poi osservavano: “È troppo sagace per noi, non potrebbe essere più stupido?”. Diversi editori lo supplicarono di scrivere un libro, uno qualunque, così lo avrebbero portato allo Strega e sarebbe stato un trionfo. Flaiano inarcò un sopracciglio: “Lo Strega l’ho già vinto nel 1947, mi sembra un po’ presto per rivincerlo”.
Alla fine fu costretto ad andare in televisione ma dopo ogni ospitata il suo spazio veniva ridotto e alla fine cominciarono a trattarlo come un cabarettista, al quale si chiedeva la battuta tra una discussione e l’altra. Flaiano commentò: “La televisione è un posto magnifico, almeno finché non ti viene una buona idea”. Non lo chiamarono più. A una festa mondana un fotografo gli urlò: “A Flaia’, te scansi?”. Si misero tutti a ridere, compreso lui. Quando l’hotel a via Veneto lo cacciò se ne persero le tracce. Ma c’è chi giura di averlo visto una notte sul galoppatoio di Villa Borghese. “Rivivere non è poi questo granché, si commettono le stesse buone azioni”, disse.
Poi s’infilò in una navicella e sparì per sempre dal cielo crudele della capitale.
Luca Ricci