Un sentimento incomparabile: né qui, né là, ma essere semplicemente via da Piccoli Amori di Franziska Zu Reventlow, la “contessa dello scandalo”, vissuta nei primi del Novecento. Libro che mi trovò alla Libreria sull’Isola di Stromboli nel maggio 2014.
Il 18 maggio – giorno della liberazione covidiana – ho lasciato la città per non tornarci più.
Quel memorabile giorno presi la strada per Bellano, Lago di Como, dove affondano le mie radici laghee e raggiunsi l’Alpe Giumello in Alta Valsassina.
Volevo camminare, andare, perdermi, per ritrovarmi, in natura.
Intrapresi il sentiero chiamato Anello del Monte Muggio, un percorso di due ore che gira intorno alla montagna.
Da sola, come piace a me.
Dopo un’ora di cammino, giunsi al Belvedere dove si gode una spettacolare vista sul lago di Como, sul Gruppo delle Grigne, sul Monte Legnone, sul lago di Lugano e sulle Alpi …
Non c’era nessuno.
Estasi del sublime.
Mi fermai, rapita da maestoso stupore. Osservai, dopo due mesi di mura, cemento e sgomento, la stupefacente bellezza di Mamma Natura.
Commossa dal sublime, quasi alle lacrime, scoppiai a ridere.
La bipolarità contribuisce notevolmente ai miei improvvisi cambi d’umore, amore e direzione.
“Facci Fuori Tutti” ho gridato.
Un liberatorio Urlo à la Ginsberg.
Non farci sconti, Gea.
Non contiamo nulla.
Non siamo nulla.
L’assoluta meraviglia della natura rinata senza la malefica presenza dell’essere umano, frenetica fottuta formichina che distrugge tutto.
In quel preciso istante, senza rendermene conto, andando in montagna ero tornata a casa.
Mi tolsi gli scarponcini – che ormai hanno rimpiazzato le décolleté – e proseguii il resto del sentiero a piedi nudi.
Nel bosco.
Nell’erba.
Nella terra.
Nel letame.
Sporcandomi e tornando a sentire corpo, anima, cuore, annichiliti e storditi in quei mesi di forzata clausura urbana con ogni tipo di drugs, ansiolitici, sonniferi e compagnia brutta.
Per me questo bisesto e bislacco anno 2020 segna la FUGA DALLA CITTA’.
Fuga dai paradisi artificiali, fuga dalla tossicità subumana, fuga dal tanto rumore per nulla, fuga dall’eccesso, fuga dal successo.
Lasciatemi essere una Beautiful Loser (cit. Leonard Cohen), un’impenitente perdente. Una Piccola Lebowski che silenzia lo stress ascoltando il canto delle balene, se non quello delle sirene.
Seguendo la mia musica, ho camminato ininterrottamente per quattro mesi, liberandomi di ansie e adipe, librandomi tra laghi e montagne, per approdare in me stessa, scoprendo, meglio riscoprendo, la mia vera natura.
I am just an animal looking for a home cantava l’immenso David Byrne, leader dei Talkin’ Heads in This Must Be The Place.
Sono solo una bestiola alla ricerca di una tana.
Io l’ho trovata.
Ora, e per ora, sulla mia isola di fuoco.
A Stromboli.
Sotto le pendici di Iddu, il roboante e possente vulcano, mi sento più protetta e distante dal pericolo della brutalità dell’essere umano.
Non più radical-chic ma radical-wild.
Il mio spirito punk ha eruttato. E’ stato il vulcano a tirarmelo fuori quando il 3 luglio 2019, dopo averlo asceso in solitaria il giorno prima per il mio rituale solitario di compleanno, fece il parossisma più potente da 50 anni a questa parte.
Mi salvai.
Mi salvò.
Anche da me stessa.
Ho deciso di rimanere tutto l’autunno.
Poi partirò con o senza meta/metà.
Ho trovato un magico antro in uno studiolo isolato sulla montagna e immerso nella natura isolana con privilegiata vista su Iddu che apparteneva a un tedesco di nome Wolfgang pazzo per i vulcani.
Lo chiamavano il Mosè dell’Idduismo, la pagana religione di noi fondamentalisti del vulcano, alla quale anni fa dedicai un urlo appassionato e struggente.
Io non sono in vacanza.
Questa è la mia vita e questo il mio luogo.
Io faccio la vita.
Non l’attendo.
Non la rimando.
Non me la faccio imporre.
Voglio riappropriami di una vita epica, erotica, eroica, eretica.
Sono bellissima perché non mi sono mai prima d’ora sentita così nel profondo.
Calda. Ardente. Infiammata.
Lunare. Fluttuante. Liquida.
Spossata, mai sposata, di vita.
La natura è la mia religione.
La passione la mia devozione.
Stromboli il mio ventre materno.
Sono una ricercatrice celestiale (cit. Holy Smoke di Jane Champion), una bulimica di vita, una vagabonda errante, una Dharma Bum come presagiva negli anni Cinquanta Jack Kerouac quando parlava della “rucksack revolution”, la rivoluzione del sacco a pelo dove immaginava un futuro di giovani che avrebbero viaggiato per il mondo con lo zaino. Così fu.
Mi sento Cassandra, anzi Cazzandra perché sono cazzuta, e prevedo catastrofi umane, emotive, psicologiche nelle città ormai sature di droga, rabbia, frustrazione, finzione, fake e virtualizzazione.
Voglio sniffare l’acre selvaggio odore dell’istinto, della verità primordiale, della natura e della vita. Come dice Donald Pizer, accademico americano esperto di naturalismo: “Chi è forte, sagace e scaltro prevarrà quando … la vita diventa bestiale”. Altro che hashtag. Io mi alimento di lettura, letteratura, musica, arte. Se sono arrivata in cima, fino alla prossima vetta, della conoscenza del sé è perché non ho mai smesso di indagare e indagarmi, di curiosare e studiare. Non ci sono ricette facili nella vita. Non ci sono breviari.
La vita non è facile.
Io mi chiamo fuori dalla follia della terraferma. Rimango in isola isolata e sciroccata.
Per una che è sempre stata chiamata “fuori, spostata, fusa, pazza”, credo che Il Richiamo della Foresta (cit. Jack London) sia più sano e naturale.
Me ne vado, come ho sempre fatto, per il mio sentiero, deviando dalla strada maestra perché come da sagace e saggio detto valsassinese: Chi segue il gregge, fa una strada piena di stronzi.
Abbandono il campo per la camporella.
Sentendomi vincitrice nella sconfitta.
Per librarsi, cibandosi di libri, bisogna alleggerirsi. Liberarsi del futile e dell’inutile.
Io ho sempre sostenuto da sola il peso del mio bagaglio, fisico ed emozionale, portandolo in giro in giro per il mondo.
Io la lezione l’ho imparata perché ho studiato ascoltando le voci, anche le mie, del mondo, i versi della natura, i canti degli sciamani.
Ho tanto viaggiato, osservato, letto, ascoltato e finalmente capito, accettandomi, non più le vene, di essere stabile nella mia instabilità.
Di non volere una famiglia tradizionale.
Di non volere un solo uomo.
Di non desiderare alcun posto fisso.
Di voler vibrare in diversi luoghi in diversi momenti in diverse comuni.
Non sarò mai sistemata.
Sarò sempre movimentata.
Some Like It Wild.
Le mie gaie famiglie d’adozione e selezione affettiva sono molteplici, disseminate tra lago di Como, lago Maggiore, Irlanda, Venezia, Stromboli e New York.
Sono i miei cangianti e accoglienti orizzonti rainbow.
Come diceva Joe, protagonista del film Nymphomaniac di Lars Von Trier, interpretata dalla languida attrice francese Charlotte Gainsbourg: Forse la differenza tra me e le altre persone è che ho sempre chiesto di più al tramonto. I più spettacolari colori, quando il sole incontra l’orizzonte. Forse è questo il mio unico peccato.
Sono una neo-beatnik.
Battuta ma mai imbattuta.
Sempre e per sempre “On The Road” …
To Nowhere.
Però continuo a camminare.
Sto applicando L’arte di Correre di Murakami alla scrittura.
Sveglia all’alba, passeggiata in cima alla telecamera sul vulcano – dove al posto dei santini c’è l’effige di James Brown a proteggerci, del resto siamo tutti dei Rolling Stones, pietre rotolanti sulla sciara della vita –ritorno ristorato all’eremo in montagna, silenzio virtuale, The Sound of Nature, colazione con marmellata di fichi strombolani, scrittura dura e pura.
Adesso vado a passeggiare e a molestare anche la natura.