Pubblicato per la prima volta in Italia da Fazi nel febbraio 2012, Stoner di John Williams è ormai diventato non solo un fenomeno di culto, ma un bestseller internazionale. Quando era apparso per la prima volta nel 1965, negli Stati Uniti era stato quasi o del tutto ignorato, vendendo soltanto duemila copie. Nel 2003 e nel 2006 era stato riproposto negli States, ma è l’edizione italiana, nella traduzione di Stefano Tummolini, che l’ha reso un bestseller in tutto il mondo. Poi il passaparola dei lettori, la scoperta della critica, la diffusione sui social hanno reso il romanzo uno dei più letti e acclamati degli ultimi anni. Per lo scrittore americano Bret Easton Ellis è “uno dei più importanti romanzi del XX secolo”, mentre per l’inglese Ian McEwan “tocca la verità solo come la grande letteratura sa fare”. Il primo editore a pubblicarlo è stato Fazi e lo stesso Elido Fazi ha scritto più volte pubblicamente che “io sono stato il primo a intuire e scrivere in Italia ed Europa che Stoner è un capolavoro”.
Mondadori, da martedì 29 settembre, ha deciso di pubblicare Stoner nell’edizione americana edita in occasione del 50esimo anniversario dalla sua scrittura e questa nuova edizione contiene per la prima volta le tre poesie inedite contenute nella raccolta La necessaria menzogna (Mondadori, 384 pagine, euro 19). Perché Stoner non è soltanto un fenomeno editoriale, un longseller, ma qualcosa di più: il lettore si affeziona al protagonista, un professore universitario nato all’inizio del 900, con velleità da scrittore castrate dall’ambiente accademico e dalla moglie, che trascorre una vita che potremmo dire mediocre, quasi fallimentare. Eppure Stoner diventa come uno di famiglia. Ci entra nel cuore e nel sangue, seguiamo pagina per pagina le sue miserie quotidiane e siamo illuminati quando il protagonista comprende che, pur non avendo avuto un’esistenza brillante, è stata la migliore che potesse avere: perché era la sua. Un messaggio che, di questi tempi in cui tutti inseguono anche il più effimero dei successi, diventa un insegnamento non da poco. La storia è quella di William Stoner, un uomo americano che seguiamo dall’infanzia contadina nelle campagne di un desolato Missouri fine ‘800 sino ai primi anni del ‘900 quando a 19 anni si iscrive all’università. Ed è proprio in quell’ateneo che passerà tutta la propria esistenza. Tutto accadrà fuori da quelle mura, ma non per lui: la prima guerra mondiale, la crisi del 1929, la Grande Depressione, il secondo conflitto mondiale, il progresso. Ma per Stoner ( il nome richiama “stone”, in inglese, pietra) gli unici grandi conflitti sono le piccole baruffe del quotidiano: un matrimonio fallito già la prima notte di nozze, l’invidia dei compagni prima e dei colleghi di università poi, una figlia anaffettiva che darà alla luce un bambino solo per andare via dall’inferno domestico della vita familiare degli Stoner, un’amante giovane ma pronta a sacrificarsi in nome dell’amore, una moglie con cui non comprende più se sono vecchi amici o nemici ormai esausti, poi la malattia, la pensione, la morte.
John Williams racconta la vita di questo impiegato dell’esistenza senza ridurlo ad un turista della vita. Ci si affeziona alla storia di quest’uomo che nel suo essere un uomo qualunque ha la forza di non cedere al qualunquismo, che nelle sue decisioni in apparenza remissive non maledice la vita ma ne vive serenamente i limiti.
Perché Stoner “aveva semplicemente sognato di mantenere una specie di integrità, una sorta di purezza incontaminata: aveva trovato il compromesso e la forza dirompente della superficialità. Aveva concepito la saggezza e al termine dei suoi anni aveva trovato l’ignoranza”.
John Williams, che in Italia potete leggere anche come autore del romanzo biografia Augustus (prima Castelvecchi e poi ripubblicato sempre da Fazi, vincitore del “book National Award”), è uno scrittore immenso e ve ne accorgerete rileggendo il libro. Perché ha ragione anche lo scrittore Peter Cameron scrivendo che Stoner è un libro che non si smette di leggere.
E ha ragione anche Tom Hanks, il Forrest Gump di Hollywood che dal libro ha acquistato i diritti cinematografici per un film, quando scrive: “Stoner è semplicemente un romanzo che parla di un ragazzo che va all’università e diventa professore. Eppure è una delle cose più affascinanti che vi capiterà di leggere”.
Questo romanzo è semplicemente un capolavoro: la descrizione magistrale di un uomo che arriva sul letto di morte, dopo la lenta agonia di un cancro, ma riesce a comprendere di avere vissuto la migliore delle vite possibili. E, prima di chiudere gli occhi per sempre, comprende che vivere non è stare sotto i riflettori, o guadagnare chissà quali capitali o raggiungere chissà quali obiettivi. Perché il modesto Stoner, apparente Oblomov della vita, ha colto il segreto vero di ogni essenza: “Stoner era se stesso, e sapeva cosa era stato”. Ed è questa, soprattutto in tempi di successo ad ogni costo, la grande lezione che noi tutti dovremmo imparar: ricordarci sempre chi siamo e da dove veniamo. Non dimenticarlo mai: perché forse è questo l’unico dovere di un essere umano. E anche di un libro. John Williams, “l’uomo che ha scritto il romanzo perfetto”, è nato nel Texas nel 1922 da una famiglia di contadini.
Dopo aver frequentato il college e aver lavorato come giornalista, nel 1942 si offrì volontario per le Forze aeree dell’esercito degli Stati Uniti. Dopo la guerra ottenne a Denver, nel 1950, un Master in letteratura inglese. Cominciò a lavorare come professore presso l’Università del Missouri, ma nel 1954 tornò all’Università di Denver, dove insegnò scrittura creativa e letteratura inglese fino al suo pensionamento. È morto nel 1994. Ma il suo romanzo vive dentro tutti quelli che lo hanno letto, che lo rileggeranno e lo leggeranno per la prima volta. Capolavoro.
Gian Paolo Serino