1940, Londra. La città è sotto i bombardamenti e la più piccola delle figlie del re d’Inghilterra, Margaret, osserva dalla finestra i bagliori che la squassano. D’un tratto qualcosa va a sbattere contro il vetro della finestra e ricade nel cortile: un uccello. Gli occhi della bambina – ha solo dieci anni – ne vedono gli ultimi spasmi, un breve fremito delle ali prima di morire a causa dell’impatto. Un attimo dopo entra nella stanza anche sua sorella, Elizabeth, la futura regina.
Inizia così Le ospiti segrete, con una immagine – il cielo infuocato dalle bombe, l’uccello morente -–che ne percorrerà la trama come un filo sotterraneo, diventando la premonizione di un evento di là da venire e che proprio Margaret, dentro un sogno, aveva in qualche modo profetizzato.
Terminato il breve prologo, parte la storia vera e propria. A causa della situazione sempre più pericolosa a Londra, le due bambine vengono mandate in una tenuta nella neutrale Irlanda, sotto falso nome. Viene quindi stipulato un accordo tra i servizi segreti inglesi e il governo irlandese, che accetta seppur riluttante, ancora scosso dalla guerra di indipendenza e dalla guerra civile che ne è scaturita.
Dunque, quella che a prima vista appare una destinazione sicura, di fatto non lo è: l’IRA continua a operare in segreto, mentre la presenza delle due eredi al trono d’Inghilterra sul suolo irlandese potrebbe rappresentare una occasione di vendetta eccezionale per i ribelli.
A badare alle due bambine vengono messi il detective Strafford, della polizia irlandese, e l’agente segreto inglese Celia Nashe. Entrambi, ognuno a suo modo, cercheranno di gestire una situazione delicata, sospesa tra calma e un sentore, dapprima nebuloso poi via via più preciso, di minaccia incombente.
Banville gioca tutta qui la tensione, sulla possibilità che l’informazione trapeli, sul pericolo che si nasconde dietro l’apparente, noiosa stasi dei giorni alla tenuta. La gestione della suspense e il senso di minaccia che cresce hanno qualcosa di certo cinema classico: viene da pensare ai film di Alfred Hitchcock o ai libri di Simenon.
Partendo da un evento storico forse davvero accaduto e forse no – ma, va detto, non del tutto improbabile, Banville ha costruito un divertissement alla maniera di certi romanzi di Graham Greene, in cui si trovano uniti gusto per l’intreccio e raffinatezza stilistica.
Il movimento è dato non tanto dagli avvenimenti, che a ben guardare sono anche pochi, quanto dal dinamismo della regia di Banville, dal modo in cui la sua terza persona passa da un personaggio all’altro – e sono tanti, tra principali e comparse, esplorandone con delicatezza i conflitti, le paure, i desideri, le noie e i malumori. Protagonisti veri e propri non ce ne sono, anche se il detective Strafford e Margaret sono quelli su cui si torna con più insistenza.
Banville è uno scrittore per così dire, bifronte. Da una parte ci sono i suoi libri più letterari, capolavori di stile come L’intoccabile, Atena, Il mare o Teoria degli infiniti; dall’altra ci sono romanzi dichiaratamente “di genere”, pubblicati con lo pseudonimo di Benjamin Black.
Questo Le ospiti segrete appartiene alla sua seconda identità, anche se in Italia, per semplificazione, lo pseudonimo non viene utilizzato (viene segnalato, mi pare, solo in quel gioiello che è La bionda dagli occhi neri, omaggio e insieme prosecuzione delle indagini del detective Marlowe creato da Raymond Chandler).
Certo, sono lontani, lontanissimi gli svolazzi di stile e la ricercatezza della frase dei suoi romanzi più “alti”, che non a caso molti hanno paragonato alle opere di Nabokov.
L’estrema eleganza formale qui lascia il passo a una prosa priva di sofisticazioni, senza inciampi, pur mantenendo comunque intatte tutta la sapienza e la raffinatezza di un grande narratore, tra i più versatili e impressionanti della letteratura mondiale contemporanea.
Edoardo Zambelli
Recensione al libro Le ospiti segrete di John Banville, Guanda 2020, pagg. 336, € 19.