Non è mai facile venire a patti coi vuoti: specialmente quando si è rimasti orfani a tre anni per una fatalità mai chiarita, se la figura dei genitori che ti hanno lasciato solo al mondo è scontornata, se è vero – come parrebbe – che questi potrebbero essere stati carnefici e poi vittime di un reale, grave episodio della Storia recente.
Andrea Ferro, ricercatore universitario, editor e musicista a tempo perso, accorso controvoglia a Udine, sua città natale, per gestire un’eredità inattesa, si ritrova a dover occuparsi di un lascito di beni e di ombre, molte e dense, da dissipare.
Che lo voglia o meno, è il momento di affrontare le verità delle parole di una nonna morente, ancorata a retaggi di una politica del passato, a indagare sugli accenni a una strage (quella reale di Peteano (GO) in pieni anni di piombo a opera di sconosciuti: il padre e la madre del protagonista?) e altre verità apparenti, labili, dubitabili.
In quello che si imbastisce come un ottimo romanzo storico-giallo, Luca Quarin – alla seconda opera dopo Il battito oscuro del mondo del 2018 – in questo Di sangue e di ferro (edito da Miraggi, Collana Scafiblù) sorprende inserendo una sottotrama che si farà via via predominante: il suo protagonista, in bilico tra storia intima, personale e Storia, viene da un certo punto tormentato da un sedicente scrittore che gli propone a più riprese un manoscritto incentrato su verità e mistificazione, accompagnato da mail ironiche e pressanti, cariche di riferimenti letterari.
Il nome dello stalker, in un rischioso gioco di specchi, è Luca Quarin, alter ego smaccatamente dichiarato dell’autore di Di Sangue e di ferro: il libro si apre così a un gioco metaletterario raffinato e ironico, che scende a mannaia sul modello di scrittura autoreferenziale.
Tramite la voce del suo doppio che si fa grillo parlante, a volte francamente – volutamente – insopportabile per pedanteria, Luca Quarin mescola le carte con riferimenti ipertestuali infiniti, schiudendo al lettore l’ipotesi di poter afferrare finalmente una sua verità sulla vicenda, seppur rifranta, che si disfa invece nella pagina successiva, annullando certezze.
Colta, intima e ampia, corrosiva e ambiziosa: la scrittura di Luca Quarin sorprende, mantenendo con facilità le fila di pubblico e di molti privati per trecento pagine incalzanti, dove la tensione non scende e i rivoli delle trame non si confondono.
Aspettiamo con curiosità un suo terzo romanzo.
Anna Vallerugo