In questo suo meraviglioso ricordo inedito regalato a Satisfiction – accompagnato da fotografie inedite e che pertiene a una vita “estremamente vissuta” per usare le sue parole – Carla Tolomeo ci rende partecipi di un incontro, un sogno, inseguito per lungo tempo, attraverso le molte letture e gli studi fatti, un’idea che, partita da lontano, il destino ha fatto in modo si concretizzasse. L’autrice, che ha viaggiato moltissimo in Italia e all’estero incontrando personalità del mondo letterario e artistico, ha fatto dell’immaginazione la sua realtà passando per visioni e labirinti creativi (è pittrice, autrice di romanzi e cataloghi d’arte che hanno ottenuto ampio consenso da critici e lettori, creatrice delle famosissime sedie-scultura) e proprio in un labirinto costruito per una mostra a tema, ha incrociato per la prima volta Jorge Luis Borges. Era la Milano degli anni Ottanta quella che fece da sfondo a quell’incredibile incontro con lo scrittore argentino di fama internazionale, era la Milano dove tutto poteva succedere. Un racconto inedito straordinario, che pochi hanno il privilegio di poter scrivere dove Carla con sensibilità ed eleganza ci mostra tutta l’umanità di uno tra i maggiori esponenti della letteratura sudamericana.
Carla Tolomeo è artista di fama internazionale conosciuta in tutto il mondo per le sue sedie-scultura. Moglie dello scrittore e critico letterario Giancarlo Vigorelli, lettrice inarrestabile e donna di immensa cultura, sul finire degli anni Novanta ha dato vita alle prime sedie come objet d’art che hanno raccolto immediato successo, portandola ad esporre nei più prestigiosi musei e gallerie d’arte d’Europa. Ma non solo meravigliose e coloratissime sedie, i cui soggetti privilegiati sono rappresentati da lune e animali, anche i suoi dipinti e le sue ceramiche sono richiesti dai collezionisti di tutto il mondo. Tra le sue opere possiamo annoverare le tempere ispirate a Jorge Luis Borges, gli acquerelli dedicati al Petrarca e le acqueforti dedicate a Paul Verlaine.
Silvia Castellani
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Ricevo da Gian Paolo Serino l’invito a scrivere per Satisfiction non proprio un racconto ma un ricordo, qualcosa che appartenga alla mia vita che inizia a essere una lunga vita, tutta estremamente vissuta.
Quanto ai ricordi ne ho tanti, proprio tanti.
Il pretesto mi viene da un messaggio sul computer, sono tentata di eliminarlo perché ho la posta perennemente intasata, ma una rapida occhiata ai titoli mi fa fermare… Borges, Bufalino, Ionesco e altro. Questi nomi appartengono ad amici, ricordi, a un pezzo di vita, a un tempo diverso, lontano. Ai ricordi appunto.
In questi ultimi anni ho accantonato per non soccombere nel confronto, per non pensare a quanto ho perso, per non scoraggiarmi in un presente devastato da virus reali o indotti, scomparse di amici, lotta quotidiana non solo per la sopravvivenza ma per salvare la dignità, la consapevolezza di esistere, di valere, di avere dei valori, o almeno di serbarne il ricordo.
Incredibilmente la salvezza viene dal computer: comunicazione, contatti, amici che non incontrerai mai ma che condividono.
Certo più piacevole incontrali, vederli, sedere insieme all’Harris Bar, entrare da Panarello a Taormina; oggi scrivo o rispondo senza vedere in faccia l’interlocutore, ma è pur sempre un rapporto.
Ho appena risposto a qualcuno che mi chiede di Florenskij.
Come lo conosco, che cosa leggo, ho letto.
È una lunga storia. Aspettavo Giancarlo (Vigorelli, ndr) nel suo studiolo nella casa del Manzoni, oggi è stato spostato e al suo posto c’è un mediocre museo di Ex Voto.
Mi è sempre parso orrendo questo trasferimento, i muri hanno i loro ricordi e li trasmettono, se ti sposti o ti allontani li perdi.
Aspettavo Giancarlo e ho buttato l’occhio in un cassetto aperto, vedo un libro, lo prendo, inizio a sfogliarlo. Da quel momento Florenskij entra nella mia vita e non ne esce più, mi coinvolge, mi turba. Un giorno parto e raggiungo una mia vecchia insegnante di liceo, Marcella Gay, alla quale devo tanto insieme all’affetto. A Pinerolo, nella sua vecchia casa sulla strada per San Maurizio; si è tagliata le trecce che ha sempre tenute arrotolate, ma ha più di novant’anni e forse vuole semplificarsi la vita. Parliamo di religione, lei è valdese, non conosce Florenskji ma promette di leggere la biografia che le lascio, poi ci rivedremo. Ma non ci siamo più riviste e non saprò mai che cosa pensa di Florenskji.
Nascere e crescere a Pinerolo ha significato per me assorbire differenti influenze religiose, le valli valdesi e la colta comunità ebraica di Torino hanno permesso e formato un contesto mai radicale, molto aperto e osmotico in cui il pensiero religioso ha una parte dominante che si riflette nel quotidiano, nei comportamenti sociali, nelle scelte di vita. I miei migliori insegnanti sono stati ebrei o valdesi, ci hanno portato la loro cultura con leggerezza e profondità, ci hanno invitati a essere cittadini del mondo e non di una piccola città in un angolo del Piemonte.
Così appena ho potuto ho cercato il mondo: leggendo, indagando, conoscendo, viaggiando.
Così è successo che potessi conoscere Borges, che viaggiassi con i Ionesco, che fossi amica di Gesualdo Bufalino.
Non mi è stato concesso di incontrare Pavel Florenskji.
Il primo tramite è sempre la lettura: leggi un verso e capisci che è diretto a te, scritto perché un giorno tu possa ritrovarti, impararlo “par coeur” come giustamente dicono i francesi.
Non lo fermi nella memoria ma nel cuore e dal cuore risale e torna alla mente.
Ho iniziato a leggere Borges partendo dal libro L’oro delle tigri, poi ho scoperto il Manual. Facevo una ricerca sui bestiari, sono sempre stata affascinata dal rapporto dell’uomo con l’animale, sul mondo fantastico che si è stabilito attraverso questo legame, sulla magia che l’animale ha suggerito, sul mito che ha creato, sulla circolarità del pensiero perché in tutti i testi più antichi esistono singolari concezioni, a volte parallele sull’origine animale dell’intero creato. Che l’animale sia il vero tramite con il divino.
Che un animale (tartaruga) sorregga il mondo. Che un animale multiplo alla fine delle sue mutazioni generi l’uomo (Behemoth).
Borges con amore e ironia indaga quest’universo parallelo, descrive il mostro citando le varie fonti. Anche Montale cita sovente l’animale, ma in un contesto reale: è una farfalla, una lucertola, una mosca.
In Borges prevale il non reale, il tramandato, descritto, cantato.
È un Omero che attraversa la Pampa cantando i Mostri, i labirinti, le rose, l’oro delle tigri : Y ahora sòlo me quedan la vaga luz, la inestricabile sombra y el oro del principio.
Forse per questo amo l’Argentina, ma quell’Argentina è un mito, non esiste, è una costruzione sentimentale, letteraria.
Ma la cerco e la visito ogni volta che mi è possibile.
Leggevo disperatamente Borges e disegnavo labirinti, li dipingevo anche, in uno di questi labirinti verdi facevo incontrare il cane di Sant’Agostino e quello della cortigiana, cioè mettevo a confronto i miei amori, Vittore Carpaccio e Borges.
Mi resta il grande quadro verde che non cederò mai, e ora ho i due cagnolini che profeticamente avevo dipinto nel 1978, identici!
Un giorno a Milano, mi inoltro in un labirinto, (costruito per una mostra sui labirinti) apro una porta di specchio e incontro Borges. Lui in persona, scortato da qualche rappresentante della casa editrice, mi pare di ricordare Mimmo Porzio. Erano i mitici anni ’80. Milano era una città dove tutto succedeva camminando, in piazza Cavour c’era una grande libreria, (oggi vendono camice), un’altra si apriva sulla metà di via Manzoni, nella galleria ed era un luogo piacevolissimo visitato da artisti e scrittori, tanti gli scrittori, per citarne due von Rezzori, Carrieri, che proprio in via Manzoni un giorno inseguiva minacciosamente Porzio, reo d’averlo definito “anziano” in un articolo.
Ho ragionato a lungo sulla casualità dell’incontro, ma niente è casuale, era il momento di conoscere Borges, di ascoltarlo.
Continuavo a vederlo apparire nel labirinto dietro una porta a specchio: c’erano tutti gli elementi che comparivano in tanti suoi scritti, poi c’era lui con quel viso che si offriva, lo sguardo spento che andava oltre le cose; sorrideva come immerso in un suo dialogo interiore, a volte sembrava fissare qualcuno o qualcosa e ti sentivi trafitto se si posava su di te.
«Cecuziens» mi aveva bisbigliato Giancarlo «vede le ombre» e immediatamente mi ballavano in testa i versi di Salinas, un poeta che ho amato molto, «si no fueran sombras las sombras?» se non erano ombre e se Borges vedeva più in là? Non potevo chiederglielo, assediato com’era da tutti gli addetti della casa editrice, dai giornalisti, dalle poetesse e novelliere. Mi sono limitata a guardarlo, a “respirarlo” per tutta la sera.
Tornando a casa Giancarlo mi dice «facevi tenerezza con quella bocca aperta».
Passa poco tempo e un congresso di poesia ci convoca a Marrakesch, erano anni speciali, non smetterò di rimpiangerli. Incontro i grandi poeti, li fotografo, mi parlano, mi ascoltano e mi rispondono, poi arriva lui, Borges, scortato da Maria Kodama. Questa volta è tutto mio. Nelle lunghe ore in giardino o nelle penombre dell’albergo lo scopro disponibile, forse lusingato dall’attenzione dai miei racconti sulle emozioni e le immagini che i suoi versi mi suggeriscono. Parliamo. Ha una voce pacata e musicale nella cadenza portena, le sue parole, le frasi sembrano appartenere a un poema recitato da un Omero argentino. Intervalla lunghi silenzi, poi con la mano cerca l’interlocutore, sorride e riprende a parlare. Ho una fortuna insperata perché un signore di Marrakesch mi mette a disposizione il suo palazzo nella Medina, succede a volte che gli eventi straordinari si susseguano come per una regia che voglia affermare il trionfo del magico sul banale. Palais Ghanattah. Invito Borges e Maria Kodama che accettano ed entriamo in un vero palazzo marocchino, con arcate e cortili che si susseguono intorno a fontane, ci accompagna una musica appena accennata e arriviamo nel salone dove è imbandita una tavola per noi. Una lunga serata con musica, cibi squisiti, piccoli danzatori che sembrano arrampicarsi sull’aria: Maria li descrive a Borges e lui annuisce con il sorriso mentre mi trattiene una mano, quasi a volermi comunicare la gioia di trovarsi lì.
In quegli anni succedevano cose che ora stupiscono: poeti africani arabi armeni francesi inglesi spagnoli portoghesi italiani che recitano in idiomi differenti i loro versi, siamo su un palco eretto nella piazza Djemaa-El-Fna, fotografo Sédar Senghor che dialoga con un poeta irlandese, giovani neri che gridano nel vento le loro rime d’amore e libertà.
Non ho più incontrato Borges, qualche anno fa Paola Gribaudo mi invita a interpretare un libretto della sua collana dedicata a poesia e arte: penso al Manual e cerco la casa editrice per avere il permesso di pubblicare alcuni pezzi. Niente da fare, mi rimandano da una all’altra, nessuno ha i diritti, da Buenos Aires non mi rispondono così pubblico una mia interpretazione, praticamente trascrivo Borges.
Nel 2017 ne regalerò una copia a Casares, grande libraio di Buenos Aires che a Borges dedica un altare di libri nella sua fascinosa bottega. Se non avessi letto e riletto i suoi libri, se non avessi recitato i suoi versi non avrei mai saputo pensare ai miei ultimi quadri, alle mie sculture, alle ceramiche.
È sempre la sua voce un po’ cantata che mi accompagna.
Torno a Buenos Aires ogni volta che mi è possibile, è la città di Borges.
Carla Tolomeo
Fotografie inedite di Carla Tolomeo