Max Manfredi è cantautore, scrittore, uomo di teatro e cantante di musica antica. È considerato da molti uno dei migliori cantautori italiani. Di sicuro il suo linguaggio, poetico e musicale ricco, originalissimo e prezioso, si oppone naturalmente a qualsiasi codice standardizzato. Molte le date salienti della sua vita professionale e artistica. Ne ricordiamo solo alcune. Nel 1985 viene invitato da Amilcare Rambaldi al Premio Tenco come artista emergente. Nel 1990 pubblica il suo primo album Le parole del gatto, con cui si aggiudica la Targa Tenco per la migliore opera prima. Nello stesso anno vince (con altri) la prima edizione del Premio Musicultura, manifestazione dedicata alla canzone d’autore, con la canzone Via G. Byron Poeta. Nel 1994 esce la seconda opera discografica, Max, con la partecipazione di Fabrizio De André che duetta ne La fiera della Maddalena. Nel maggio 2001 pubblica un terzo cd, L’intagliatore di santi. Nel settembre del 2002 viene invitato, come rappresentante della musica italiana, alla Biennale di Belem, in Brasile. Nel 2004 esce Live in Blu. Sempre nel 2005, la tv tedesca Bayerischer Rundfunk realizza un documentario su di lui con una lunga intervista attraverso i luoghi tipici di Genova. Nel novembre 2007 è nuovamente ospite del Premio Tenco, dove presenta l’inedita Il regno delle fate, a detta di molti (per esempio Gianni Mura su la Repubblica) una delle più belle canzoni scritte in Italia negli ultimi anni. Nel 2008, Manfredi registra l’album Luna persa, che vince nel 2009 la Targa Tenco come miglior disco in assoluto dell’anno. Nel 2014 esce il disco Dremong. La copertina del disco è stata appositamente creata dall’artista Ugo Nespolo. Come scrittore ha pubblicato: Il libro dei Limerick per Vallardi; Trita provincia (novella discreta), per l’editore genovese Liberodiscrivere, poi anche audiolibro letto dall’autore e con le musiche di Federico Bagnasco; Nitrito in velocità (editore Maschietto); la silloge poetica Amorazzi (Zona). Di recente la pubblicazione del suo Faustus (Galata), messo in scena al Teatro Garage di Genova e in seguito al Teatro di Alvito (edito da Galata Edizioni). Attualmente sta preparando il suo prossimo lavoro discografico.
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Et j’ai deux fois vainqueur traversé l’Achéron :
Modulant tour à tour sur la lyre d’Orphée
Les soupirs de la Sainte et les cris de la Fée.
Gerard De Nerval
Come si struttura musicalmente e lessicalmente il tuo nuovo disco?
Sulla falsariga di una continua meraviglia, senza alcun piano prestabilito tranne per quanto riguarda la scelta delle canzoni, per sperimentazioni e sedimentazioni. Si tenta di inventare (e ci si riesce, quali che siano i risultati) un lessico musicale e verbale che prima non esisteva. Le canzoni sono nuove e vecchie, ma a volte si tratta di elementi in trasformazione: un testo che ho scritto trent’anni fa può “perdere” la musica che aveva e acquistarne un’altra, cambiare lui stesso di pelle, lasciando scaglie di parole e assumendone altre. Una sequenza di accordi può venire applicata a parole scritte anni e anni fa. Dallo stupore di un suono programmato può derivare una intenzione anche nelle parole.
Questo procedimento non cambia rispetto ai dischi precedenti, dove convivono brani di varie epoche da me vissute, ma si radicalizza: si tratta di vedere, finalmente, la canzone come una possibilità, non come una formina o uno stampino. Sentirla come un organismo vivente, che in qualche modo si determina anche da solo.
Questo è reso possibile grazie al lavoro con gli amici di Vibrisse, che lo stanno producendo insieme a me e a un pugno di ottimi musicisti.
In questo modo si entra nel vivo del processo di un disco, ed è naturale dal momento che non si “entra” in sala discografica, ma lo si “è”.
Nel disco c’è un po’ di tutto: fate che gridano, ma anche soldati che giocano a carte e ricordano i loro amori, arpiste bretoni che innamorano i vecchietti, preti pedofili, re usurpati e scimmie grigie, dongiovanni solitari, latterie, dischi volanti, donne, chiese, donne con il nome di chiese, portali d’argento, emigrati che imparano a leggere, cinema all’aperto, candele che tremano nel coprifuoco, ciottoli gettati in acqua che fanno sempre centro.
Cosa rappresenta la fata ed altre simbologie?
Ho preso spunto da due artisti: Gèrard De Nerval, poeta e scrittore francese che nella sua lirica El desdichado parla di “sospiri della santa e grida della fata”; e Max Manfredi, che come sai ha scritto una canzone dal titolo Il regno delle fate. Lì erano dietro “vetrine colorate”, era l’allegoria dei frantumi pubblicitari in cui il mondo pareva esplodere e disperdersi.
Qui la fata viene colta come una incognita. È buona, è cattiva? Ci si può fidare di lei? Perché grida?
Se vogliamo, la fata è la canzone. È incantata, ha il potere di incantare a sua volta, è musicale, si trasforma continuamente riducendosi al suo stesso grido, di trionfo, di rabbia o di gioia.
In questo album i simboli, o gli emblemi, si rincorrono, si ricorrono e si riflettono, o si scontrano, creando cortocircuiti lirici.
Cambiando la musica di una canzone spesso è giocoforza anche farlo con le parole. Non tanto per motivi metrici, quanto per esigenze d’immagine. E anche per motivi di stile e artigianato poetico sopraggiunti con gli anni.
Le possibilità dell’elettronica sono infinite, ma ricordiamone alcune per i meno edotti:. Si possono avere suoni campionati di strumenti rari, si possono inventare i campionamenti stessi registrando qualsiasi suono, si possono trovare suoni sintetici e infine si può mischiare ed effettare tutto questo.
Noi abbiamo utilizzato diverse registrazioni di strumenti reali e le abbiamo affiancate alla materia elettronica.
Più che di suoni campionati mi piace parlare di automi sonori, come quelli che si tentavano nel Settecento e oltre, e fanno bella mostra di sé nei musei.
In questo senso si potrebbe parlare di “arte museale”, ma anche di diorama sonoro, di robot musicali, di vetrofanie e vetrofonie.
Dicono che le mie canzoni sono letterarie. Se si parla di un tentativo di letteratura autonoma, son d’accordo anzi, troppa grazia. Se si intendono riferimenti o citazioni, o “copia-e-incolla”, non ci siamo: le letterature, dalle più alte alle più basse, sono in realtà il lievito madre con cui impasto i miei brani.
“Le” letterature. Quindi anche il cinema, gli spot pubblicitari, a volte persino le canzoni, i sogni.
Come si differenzia dalla tua produzione precedente?
Soprattutto nel metodo di lavoro e di attesa. L’autoproduzione di un album necessita di tempi lunghi, e i tempi lunghi favoriscono le idee. Si tratta poi di vagliarle, eliminarle o vedere quelle che restano, accoglierle, realizzarle.
Son finiti i tempi della “canzone d’autore”, che in realtà era “d’autori”: chi si occupava dell’arrangiamento, chi del finanziamento, chi di trovare un impresario, un manager, il booking per i live, il tutto all’insegna dell’esclusiva.
Oggi il “maker”, il poeta rimasto solo, ha mille diverse incombenze cui pensare, e la logica che tende a prevalere è quella della sinergia con altre realtà, non solo sul piano estetico, ma proprio su quello pratico.
Questo può essere scomodo e persino frustrante rispetto al classico rapporto cantautore-industria e artista-mediatori, ma anche interessante, come messa a nudo ed estremamente fecondo.
Sarà un disco diverso dagli altri miei, soprattutto diverso da quelli degli altri che sono usciti o stanno uscendo e che mi è capitato di sentire. Parlo di quelli cattivi, ma anche di quelli buoni o molto buoni.
Anche nella confezione sarà una novità. Infatti prevediamo di stampare il cd, il vinile, e anche un misterioso e altamente tecnologico “scrigno” ipertestuale, che renda l’album un organismo cangiante, se non proprio vivente.
Ti mancano concerti dal vivo?
Mi mancano, sì. Era la faccia picaresca della mia esistenza. Seguire la luna sempre in viaggio, da solo o coi miei musicisti. Insieme a Federico Sirianni, il progetto Nogenovatour ci fruttò più di duecento date in meno di tre anni, dai grandi teatri ai piccoli club agli house concert. Le restrizioni attuali mettono invece in luce la mia parte pigra e contemplativa, di buona a nulla. Per fortuna vivo non lontano da Savona, che è dove incido il disco.
Intervista a cura di Oliviero Malaspina