Alberto Cassani si è sempre occupato di politica e di cultura. Queste passioni convergono nel suo ultimo lavoro Una giostra di duci e paladini edito da Baldini+Castoldi da oggi in libreria e di cui presentiamo un estratto in anteprima su Satisfiction.
La politica, la sinistra, il ricordo hanno sempre avuto un ruolo fondamentale nell’opera di Cassani ma, in questo caso, l’autore si spinge oltre. Dietro una storia di spie, di sotterfugi e di amicizia, si cela una critica feroce, che non risparmia nessuno.
Si tratta, quindi, di un’analisi accurata che si ammanta e si nasconde, nella trama del romanzo.
Ne L’uomo di Mosca – opera d’esordio sempre edita da Baldini+Castoldi – il motore della storia era l’assenza di una certa somma di denaro, mai arrivata a destinazione.
In Una giostra di duci e paladini, invece, ciò che non torna è una chiavetta USB dal contenuto scottante.
Victor Costa è scomparso, ne aveva il possesso, il governo e il suo capo sono in pericolo.
I suoi amici che si erano perduti, ognuno nella propria vita, serrano i ranghi.
Ricostituita la vecchia brigata si parte.
Walter, il professore; Amleto, il vecchio saggio; Ruben, il dissidente scappato in Messico e Melissa, l’esperta di relazioni internazionali.
Insoddisfatti, traditi dagli eventi e dai sogni che, anche quando si realizzano, danno alla vita pieghe inaspettate e non sempre gradite, aspettano un segnale. Victor Costa, la sua improvvisa scomparsa, è come un razzo che illumina il cielo.
Si parte.
Pierangelo Consoli
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Di seguito l’estratto in anteprima dal libro.
Vertice sulla sicurezza nazionale
Il Capo, nelle sue vesti di Presidente del Consiglio, aveva convocato un vertice sulla sicurezza, invitando come vuole la prassi tutti i Ministri interessati, i capi di Polizia, Carabinieri e Guardia di finanza, oltre ovviamente ai Servizi per la sicurezza interna ed esterna.
Era l’inizio di ottobre e quella convocazione gli era stata sollecitata dal direttore del Dipartimento per le Informazioni sulla Sicurezza, che sovrintende e controlla le attività di entrambi i Servizi segreti.
Era stato proprio il direttore a svolgere la relazione introduttiva. Dopo aver fatto il punto su alcune questioni già da tempo all’attenzione del Comitato sulla Sicurezza (dalle minacce dei gruppi terroristici di matrice islamica ai rapporti internazionali della criminalità organizzata), si era soffermato su una informativa molto recente che riguardava il piccolo universo degli anarco-insurrezionalisti e delle frange dei comunisti- rivoluzionari.
Nello specifico si riferiva di un incontro, una sorta di summit, che aveva riunito attorno allo stesso tavolo le principali anime della cosiddetta sinistra antagonista. In sé niente di particolarmente preoccupante, se non fosse per il fatto che per la prima volta dopo molto tempo qualcuno era tornato a parlare di lotta armata.
Tuttavia, anche questo riferimento all’uso delle armi avrebbe anche potuto non allarmare, se non si fosse avuta notizia, questa sì inquietante, della scomparsa di mitra e pistole da alcuni depositi dell’esercito.
A queste notizie, andava aggiunto il verificarsi di attentati incendiari a campi rom come a sedi di partiti e il moltiplicarsi di episodi di minaccia e intimidazione rivolte a esponenti politici e anche a uomini della compagine di governo e a loro collaboratori.
Evidentemente, a giudizio del direttore del DIS, occorreva predisporre una strategia di difesa prima che quella volontà di natura terroristica si traducesse in un attacco concreto alla sicurezza nazionale.
Nessuno obiettò nulla, semmai fu chiesto un elenco delle azioni che potevano essere messe in campo sin da subito per contrastare quella minaccia.
Il direttore lasciò allora la parola al capo della polizia perché ne fornisse un primo sommario elenco: primo, rafforzamento della protezione dei possibili obiettivi; secondo, controllo più stretto su soggetti già attenzionati; terzo, allargamento dell’attività investigativa su militanti e simpatizzanti; quattro, infiltrazione di agenti tra i gruppi vicini all’eversione. Queste azioni avrebbero dovuto essere dirette e coordinate dalle forze dell’or- dine, predisponendo l’attivazione dei rispettivi reparti speciali.
Dopo un veloce giro di tavolo per sentire opinioni e osservazioni di tutti, il Capo aveva chiuso la riunione raccomandandosi di tenerlo informato su tutte le novità di maggior rilievo.
A incontro terminato, il Capo chiese al direttore del DIS e al capo della polizia di seguirlo nel suo ufficio, dove li fece accomodare sulle poltrone Frau poste di fronte alla troneggiante scrivania presidenziale. Quel supplemento di riunione si doveva alla volontà del Capo di conoscere nel dettaglio i nomi dei possibili obiettivi. Tra questi non mancavano i suoi Ministri più importanti insieme ad alcuni magistrati e qualche imprenditore. Tutto come era prevedibile. Meno ovvia era la presenza nella lista di uomini del suo staff, a cominciare da Amedeo Castri, il responsabile della comunicazione.
Lui e Castri si conoscevano da più di vent’anni. Lo aveva voluto nel suo staff più per stima che per amicizia. Perché in fondo non si era mai completamente fidato di lui.
Soprattutto all’inizio della loro collaborazione, Castri era prodigo di consigli e suggerimenti, che lui raramente teneva in conto e quasi mai poneva in atto. La qual cosa generava ferite nell’animo orgoglioso di Castri. La cosa più grave era che quando, a un certo punto, avevano cominciato a girare voci e documenti su presunti finanziamenti illeciti al Capo, qualcuno, al suo orecchio, aveva fatto proprio il nome di Castri come possibile responsabile di quella fuga di notizie. Tuttavia, lui, il Capo, non essendone certo e ritenendo improvvido fare esplodere il caso, aveva sempre preferito soprassedere, facendo buon viso a cattivo gioco.
Congedando i suoi ospiti, si era però permesso di suggerire che forse, per il momento, in attesa di conferme o ulteriori segnali, anche per evitare polemiche strumentali su sciali di denaro pubblico, non era il caso di scortare anche i membri del suo staff, e che comunque ci avrebbe pensato lui a far adottare da parte degli interessati le opportune misure di particolare prudenza.
Il capo della polizia e il direttore del DIS si erano detti d’accordo ed erano tornati a operare alacremente perché la sicurezza nazionale fosse garantita e tutelata di fronte a qualunque evenienza.
© Baldini+Castoldi
21/01/2021