LIDO DI VENEZIA, ORE 4:17
Non c’è una regola, un protocollo da seguire, una ricetta universale che valga per ogni utente della Comunità. Il caso di Rosario, che ha scardinato le convenzioni, è emblematico in questo senso. Qui si naviga a vista, senza bussola e senza una rotta definita da una mappa. Si tenta l’esplorazione come ignari Cristoforo Colombo. La tossicodipendenza non è un tunnel come volgarmente si definisce, perché il tunnel è un condotto coperto, lineare, senza deviazioni, senza altra possibilità di direzione che quella della luce e dell’aria aperta al suo termine.
La droga non è questo. La droga è il panorama che vedo fuori dalla finestra della Villa a quest’ora, è la paura che ci fa quel mare oscuro, che si muove anche di notte e non sta fermo mai.
Un mare che è ovunque, a Genova come a Venezia, nelle periferie di Torino, nel centro di Verona, persino in sconosciute città della Romania. Anche dove l’acqua non lambisce i palazzi c’è quest’immaginifico bel mare di Lombardia che cresce attorno ai muri come seminato a grano.
Perdonatemi gli appigli musicali ma aiutano la chiarezza e la semplificazione delle idee.
La mia esperienza in Comunità mi evoca proprio questa suggestione che racchiude la tossicodipendenza e il mio lavoro: l’essere in mare aperto, col buio, su una barca instabile sulla quale devo traghettare delle persone, cercando di orientarmi con le sole stelle e col chiarore della luna e confidando che non vi siano nuvole a coprire il cielo o onde a confondere gli spuntoni degli scogli. Sperando che non giungano burrasche improvvise, cadute in mare, avarie, ammutinamenti, ed appellandosi a correnti favorevoli che conducano il viaggio fino al porto più tranquillo del giorno. Le decisioni qui vanno prese con rapidità, non ci sono sonar né scandagli. Solo un vecchio timone, l’esperienza e la temerarietà di capitani coraggiosi con virate anche azzardate, se necessarie.
La notte qui è solitudine, la notte è il suono della risacca, sottocoperta in un un ufficio asettico, confuso dalle documentazioni del giorno, dal registro dei farmaci, dalle cartelle cliniche ovunque, dalle valigie accatastate di chi è fuggito; un divano blu come letto, unico richiamo ad un calore di casa. Per il resto sono chiavi per ogni serratura. Porte, portoni, cancelli automezzi, cambusa, casseforti a muro per conservare medicinali, soldi, cellulari e preziosi degli utenti. Anche il metadone, tentazione delle tentazioni, è conservato sotto chiave lì dentro da quando “Villa Renata” ha accorpato la Pronta Accoglienza per venire incontro alle esigenze e alle difficoltà dei SerT o dei Servizi invianti.
Ho provato cosa sia l’astinenza sulla psiche dei miei ragazzi ed ho capito che l’unica cosa che la può schiacciare è la volontà.
Contro di essa non ci sono farmaci, droghe o succedanei che l’ostacolino.
Solo la volontà.
Ogni volta è un’emozione vederla negli occhi dei ragazzi.
Marco Anzovino
Da “Turno di notte”, Edizioni Biblioteca dell’Immagine, 2014, pp. 155 -156.
Marco Anzovino, pordenonese, classe 1979, assistente sociale, educatore nella Comunità per il Recupero di tossicodipendenti “Villa Renata” (Lido di Venezia), cantautore, musicista, produttore. Tre album a suo nome, vincitore di numerosi concorsi nazionali con brani di sua composizione (Premio Recanati, Premio Canzone d’Autore, Premio Solo Musica Italiana). Chitarrista e percussionista nella band del fratello Remo dove svolge anche il ruolo di co-produttore e co-arrangiatore. Vanta collaborazioni con Gino Paoli, Fabio Concato, Iskra Menarini, Luisa Corna, Princezito. È autore e produttore dell’album d’esordio di Cristian Imparato (vincitore della prima edizione del talent show “Io Canto”) e di Martina Campagna (seconda classificata nella seconda edizione). Dal 2007 ad oggi ha realizzato numerosi laboratori di scrittura di canzoni nelle scuole e nei Centri di Aggregazione del Veneto e del Friuli. Con il comico torinese Giampiero Perone ha realizzato spettacoli di teatro per ragazzi replicati nei teatri e nei Palasport italiani.
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Marco Anzovino lei è assistente sociale, cantautore, musicista e produttore. Come si sono incontrate e incrociate tra loro queste diverse strade?
“In modo naturale. Sono sempre stato attratto dalla musica sin da bambino. Il suo aspetto magico. La musica non si tocca, non si vede eppure e così presente. A volte, più di una persona. Ti entra dentro, ti accompagna, ti sostiene, ti aiuta, asseconda i tuoi stati d’animo. Da adolescente ho cominciato a scrivere canzoni. Era il mio modo per comunicare con gli altri. La musica è terapeutica ed educativa, perchè può tirar fuori il meglio di una persona aiutandola a comunicare i suoi sentimenti, stati d’animo, emozioni e condividerli con gli altri. Sono laureato in scienze del Servizio Sociale e in tossicodipendenze giovanili. È stato appunto naturale unire i linguaggi tra le mie competenze”.
Il suo primo libro “Turno di notte” racconta le sue notti da musicista ed educatore di trincea sul fronte della tossicodipendenza. Com’è nata l’idea di mettere nero su bianco questa esperienza di lavoro e di vita?
“È stata un’idea di mio fratello Remo. Ha trascorso una giornata con me e i ragazzi di Villa Renata portando un pomeriggio di musica con le sue composizioni. Ha poi suonato con i ragazzi le canzoni nate durante i laboratori. Ne è rimasto molto colpito ed entusiasta. Mi ha detto che avrei dovuto realizzare un libro-cd. L’ ho accontentato!”
Sono tre le storie di ragazzi incontrati in Comunità che vengono raccontate nel libro. Mi ha colpita molto quella di Silvia che sostenne l’esame orale di maturità sotto l’effetto dell’eroina. Com’è possibile che questo sia accaduto?
“Alcuni ragazzi riescono, per un certo periodo, a mantenere una doppia vita e a “gestirsi” l’uso della sostanza. Poi scoppiano improvvisamente. Alcuni ragazzi non interessano al mondo degli adulti, in questo caso degli insegnanti. Si fa finta di non vedere, si promuove e il “problema” va fuori dall’istituto. Prendersi cura dei ragazzi veramente costa molta fatica e serve una forte motivazione di passione e amore per gli altri. Non tutti investono su questo”.
In base alla sua esperienza di educatore, di cosa hanno bisogno i giovani per non perdersi e non cercare, uso le sue parole, di “auto-medicarsi in strada”?
“Di sentire che interessano a qualcuno. Che sono nel cuore e nei pensieri di qualcuno: un genitore, un insegnante, un allenatore, un maestro di musica, un compagno, una compagna. Di trovare qualcosa che li appassioni e li porti a condividere quella passione con gli altri”.
La domanda più disperata e quella più bella che i ragazzi incontrati nei suoi turni di notte le hanno rivolto.
“Perché per dolore si fanno le cose peggiori?”
Il suo lavoro potrebbe anche essere visto come una missione, nel senso cristiano del termine. Lei è credente?
“Credo molto nei valori cristiani. Il mio stile di lavoro trova ispirazione anche in figure come Don Bosco, uomo davvero rivoluzionario, 200 anni fa”.
Il suo libro contiene un cd con tre canzoni scritte dai tre ragazzi protagonisti delle tre storie raccontate, che sono Silvia, Rosario e Filippo (tutti nomi di fantasia). Com’è successa questa collaborazione tra voi e, soprattutto, come hanno reagito i ragazzi quando lei ha loro proposto di scrivere una canzone sulla loro storia?
“Le canzoni sono nate durante i laboratori che svolgo a Villa Renata. Scrivere canzoni, cantare, suonare, disegnare, esibirsi davanti ad un pubblico fa parte del programma terapeutico dei ragazzi in cura in Comunità. Ho scelto di reinterpretare le loro tre canzoni, le sentivo potentissime, autentiche, nuove. Mi piaceva l’idea di provare a cantarle. Loro mi hanno aiutato ad interpretarle al meglio”.
Nel suo libro vi è un capitolo intitolato “Le strade non sono più per i sognatori”. Di chi sono dunque le strade?
“Le strade sono ancora di tutti. Vorrei tornassero ad essere di più un luogo di incontro, un luogo di libertà, di gioco, di scambio di idee e sguardi, di arrivi e partenze, di cammini e destini che si intrecciano. Oggi sono spesso violente e ingannevoli, piene di indifferenza e solitudine”.
Chi sono oggi gli eroi?
“Eroe è chi riesce ad inseguire i suoi sogni esprimendo se stesso, attraverso la fatica e il talento, il sacrificio, il divertimento e la passione. Chi riesce ad essere normale, cercando la sua personalità, esprimendo la sua sensibilità”.
Ci può dare qualche anticipazione del nuovo disco che uscirà ad ottobre 2016?
“Sarà sempre un libro-cd. Sarà un progetto editoriale-musicale nuovo. Sono ancora nel caos bellissimo della creatività. Mi fermo qui per questo”.
Quella finale è una domanda poetica, che ha a che fare con il tema di questa rubrica, il cielo. Ed è la seguente: com’è oggi il cielo sopra Marco Anzovino?
“Il cielo che si specchia dentro di me è sereno e nitido, perché qui sotto ci sono molte persone attorno a me e questo viaggio chiamato vita mi emoziona e mi sorprende ogni giorno, perché condiviso con gli altri”.
Intervista a cura di Silvia Castellani
Fotografie di Silvia Castellani