Insultare è un’arte che richiede conoscenza ed esercizio, per essere messa in pratica efficacemente e ottenere l’esatto risultato desiderato. Ce lo ricorda Schopenhauer che ne L’arte di insultare, silloge di ingiurie proferite contro tutto e tutti, si scaglia contro la società, i colleghi, le donne, il matrimonio. Lo stesso autore in un trattatello dal titolo L’arte di ottenere ragione, ci ricorda anche che l’insulto è estrema ratio ma tenendo conto del limite insito in ogni tecnica argomentativa: “Quando ci si accorge che l’avversario è superiore e si finirà per avere torto, si diventi offensivi, oltraggiosi, grossolani, cioè si passi dall’oggetto della contesa al contendente e si attacchi in qualche modo la sua persona…”.
Data la premessa di tutto rispetto, ecco dunque che oggi si può contare, all’uopo, su di un utilissimo manuale da tasca, o da borsa, intitolato Ingiurie & insulti. Un manuale di pronto impiego, che ognuno di noi può consultare qualora proprio le parole non bastino più e si debba passare all’insulto.
Autore del manuale di pronto impiego niente meno che lo scrittore Federico Roncoroni, figura di riferimento per il mondo della lingua, della letteratura italiana e della didattica, anche autore della Grammatica Italiana più adottata nelle scuole e curatore del Fondo delle opere di Piero Chiara.
Il libro in questione, dedicato alle ingiurie e agli insulti (tutte le parole, non dimentichiamolo mai, hanno un peso che le contraddistingue e anche quando vengono utilizzate per ferire, possono e debbono essere scelte con cura), è organizzato in ordine alfabetico, dalla a di abominévole (poco offensivo) alla z di zòccola (molto offensivo), passando per flippàto, mangiagrìlli e nimby, per citare tre soli vocaboli di grado moderatamente offensivo. Le ingiurie e gli insulti contenuti nel manuale in oggetto, infatti, sono contraddistinti ciascuno da un colore che indica il grado di offensività così da potere “controllare ogni volta quanto ci si deve sentire offesi da un’ingiuria o da un insulto e quanto si offende qualcuno con un’ingiuria o un insulto” – come si legge nella premessa al libro stesso.
Il verde ci segnala così che cariàtide (indicante una persona retrograda, rigidamente attaccata alle sue idee per quanto antiquate) è poco offensivo, invece farisèo (individuo falso e ipocrita, che si occupa più della forma che della sostanza delle proprie azioni) è moderatamente offensivo (colore arancio), lacchè (persona servile, che si umilia in modo disonorevole davanti a qualcuno) è offensivo (colore rosso), decisamente, ma mai come le parole contraddistinte dal colore nero, come ad esempio landrù, molto offensivo, senza possibilità di appello. La parola indica l’individuo dall’aspetto bieco e torvo, continuamente alla ricerca di donne da sedurre, con l’inganno o la forza. Deriva dal nome di Henri Désiré Landru (1869-1922), un criminale francese che fu condannato a morte per l’uccisione di dieci amanti.
Dei termini trattati e organizzati viene spiegata accuratamente anche l’etimologia, la loro origine, oltre che appunto il grado di offensività. E allora, vista l’abbondanza di manuali (o i più recenti tutorial sul web) per l’uso ogni cosa, dalle macchine fotografiche alle creme di bellezza, ecco che al giorno d’oggi nasce e a ragion veduta, questo manuale di pronta consultazione e impiego, per usare con cognizione le ingiurie e gli insulti perché, inutile negarlo, nella quotidianità, a ciascuno di noi è certamente capitato e potrà nuovamente capitare, di avere necessità di scagliare qualche parola offensiva contro l’interlocutore. Ma è bene sapersi regolare.
Silvia Castellani
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Tra tutte le parole, abbiamo scelto di condividere e farvi conoscere ciùschero, di grado moderatamente offensivo che, al bisogno, vi consigliamo di usare:
ciùschero
Alticcio, reso allegro dal vino, brillo. È parola scherzosa, che non offende chi è ciùschero davvero perché è contento di esserlo, e ridicolizza, lievemente e quasi benevolmente, chi ciùschero non è e si comporta come tale. Purtroppo è scomparsa dai dizionari e lo Zingarelli non la registra né tra le parole in relativa salute né tra quelle scomparse per sempre: io l’ho trovata nel grande Battaglia. Eppure è una bella parola. Sentitela – pronunciatela ad alta voce e ascoltatela, non limitatevi a leggerla -, e ve ne innamorerete. A me ricorda il “ciucco”, “ubriaco”, ancora tanto diffuso pure tra i giovani, del dialetto lombardo dei miei nonni, che però indica qualcuno che di vino ne ha bevuto ben più di quello che basta a renderti un po’ allegrotto. La sua origine, come quella di “ciucco”, è incerta: alcuni vorrebbero farla risalire allo spagnolo ciusco, ‘allegro’, ‘burlone’, ma io sto con il vecchio Tommaseo, che nel suo Vocabolario lo considera una variante di “cischero”, ‘uno che ci vede poco’ perché, spiega il bravo Niccolò, “chi ha bevuto troppo non distingue bene gli oggetti”. Per finire una proposta e una richiesta per questa povera parola. Io l’ho resuscitata, quando già stavano facendole le esequie. Voi cercate di tenerla in vita. E come si fa a tenere in vita una parola? La si usa.
da Ingiurie & insulti. Un manuale di pronto impiego, (a cura di Marcello Sensini), Mondadori scuola, 2017.
In chiusura del manuale, l’originale “Invio” al lettore di cui qui si riporta l’incipit:
Di belle ingiurie e succulenti insulti
ho fatto un buon mazzetto, come di fiori,
e li ho raccolti in un lepido libretto
che, amabile lettrice e stimabile lettore,
ecco, vi offro di buon cuore.
Federico Roncoroni