«Se fossi il demone di Maxwell, conoscerei tutte le variabili, sarei in grado di sciogliere il nodo dell’entropia e dell’irreversibilità del tempo, eviterei l’inevitabile.»
Sul bordo di un evento, in La memoria dell’uguale di Alfredo Zucchi, Alessandro Polidoro Editore 2021
Fare agguati/incursioni sulle pagine delle case editrici indipendenti è diventato un appuntamento fisso delle mie dirette Facebook della domenica sera.
Col partire del nuovo anno, è entrata un’altra casa editrice a far parte del catalogo della nostra libreria. Quindi è stato naturale sceglierla come protagonista di una di queste serate. Stiamo parlando della napoletana Alessandro Polidoro Editore. La curiosità intorno al suo catalogo è sorta dopo che lo scrittore Eduardo Savarese mi ha invitato a leggere La memoria dell’uguale, di Alfredo Zucchi, nono titolo della collana Perkins.
Ovviamente per parlare di questa casa editrice, nel mercato editoriale dal 2013, non potevo che focalizzarmi su questo libro e su questo autore. Ma assieme all’editor Antonio Esposito, abbiamo anche fatto un viaggio intorno ai titoli più recenti e rappresentativi di tutta la casa editrice. A partire dalla Collana I Classici che, proprio grazie alla cura di Esposito, recupera grandi autori come London, Melville, Poe, Diderot, Dostoevskij, Salgari, Verne non più presenti in libreria o addirittura mai apparsi: una delle ultime uscite è stata La porta dalle sette chiavi, di Edgard Wallace.
Nata inizialmente come casa editrice, che voleva avere un focus sul territorio e la città di Napoli nella specifico, col tempo ha arricchito la proposta e i confini con una ricerca precisa intorno alla letteratura contemporanea.
Dal 2019 è poi partita anche una collana di narrativa straniera, I Selvaggi, inaugurata da Big Banana, dello scrittore e giornalista honduregno Roberto Quesada, e arricchitasi di recente con Mandibula, della giovane scrittrice Mònica Ojeda, appartenente a quello che viene definito “gotico andino”.
Nel novembre del 2020 è stato invece pubblicato La memoria dell’uguale, raccolta di nove racconti progettata da Alfredo Zucchi.
L’autore vive da alcuni anni a Vienna, dopo aver studiato e lavorato tra Napoli, Bruxelles e Barcellona. Ha fondato e co-diretto, tra il 2008 e il 2019, la rivista letteraria digitale Crapula Club mentre i suoi scritti narrativi e saggistici sono apparsi su riviste come “Nazione Indiana”, “Sotto il vulcano”, “Cattedrale”, “The Catcher”, “Doppiozero”. Il suo esordio narrativo, La bomba voyeur, esce nel 2018 per Rogas. In quelle pagine ha narrato dello scontro tra un ragazzo in fuga dal potere e una società che a esso ambisce, nell’Italia alla fine della Guerra Fredda.
Con Alfredo abbiamo iniziato a parlare della scelta della forma breve dopo aver esordito col romanzo, e della necessità di una struttura architettonica più immediata per trattare certi temi – memore delle sue letture latinoamericane (Borges, Bolaño, Cortàzar, Piglia .Con la forma-racconto i temi del tempo, della memoria, dell’illusione, del rito, trovavano un accesso facilitato per quel gioco che l’autore voleva innescare con il lettore. Dalla lettura di questi nove racconti si instaura, fin dalle prime battute, un patto stretto fra i due.
Il genere poliziesco, il fantastico, il gotico trovano spazio tra le righe di ognuno dei racconti. È però la forma breve a permettere, più di ogni altra, lo spostamento nitido di quello che è il limite del reale, così da sconfinare nel fantastico. Una modalità del narrare insolita, per cui ogni logica si sgretola grazie a un continuo spostamento tra reale e finzione. Una ambiguità e un gioco che appartiene a tutto il libro. In questo modo i nove testi finiscono per avere una precisa e logica organicità, come se un filo rosso li legasse e li tenesse uniti. Però con una membrana semipermeabile tra l’uno e l’altro, capace di filtrare situazioni, temi, nomi e persino termini precisi.
La morte e il pensiero della morte sono presentissimi. In ognuno dei racconti ci sono morti misteriose e inspiegabili. Al centro della narrazione, a fare quasi da spartiacque tra il primo e il secondo blocco di narrazioni, ci sono un paio di paginette dal titolo L’esatto, dove un detective indaga con accanimento su delitti senza movente fino a sfidare il caso, il che da l’idea precisa di quanto si vuole ottenere dal lettore, invitandolo a una vera e propria investigazione.
Quel voler investigare e fare luce che è compito precipuo della scienza.
La funzione e la presenza dell’elemento scientifico in questi racconti non è casuale. In una narrazione dove tutto è paradosso, dove il tempo non è solo scansione reale degli eventi ma anche sequenza di accadimenti inspiegabili, arriva la fredda scienza a dare ordine al possibile sprofondamento in un mondo altro.
Il destino degli esseri umani parrebbe essere segnato in un tempo che è finzione se non arrivasse poi la scienza a riportare tutto su binari dove è dato poco spazio all’illusione.
Così accade che il protagonista di Sul bordo di un evento si macchi di un crimine terribile per vendetta, dopo un inganno in un gioco erotico, finendo per interrogarsi sulle leggi che indagano il microscopico e tenere la mente lontana dalla atrocità di una esecuzione.
L’identità è uno dei fulcri di questa specifica narrazione, proprio come in altri racconti di Zucchi.
Si parte da un racconto che fa venire i brividi: Il dono. Lì la morte diventa il gesto estremo, necessario per salvare una umanità che guarda da un ponte e scatta fotografie al corpo di un suicida. È lo specchio della nostra società, che non mostra meraviglia o sconcerto ma solo indifferenza e paura.
La stessa indifferenza del protagonista di un Uomo come tanti, che trova le chiavi di un seminterrato e accompagna persone con disagi e disturbi dietro una porta. Lì queste persone guariscono, si rasserenano. Poco importa se da lì a poco muoiono. Quell’uomo, come noi, resta invece fuori dalla porta e mai imparerà cosa accade aldilà di quel confine.
Ci si lascia accompagnare per mano dall’autore anche quando tutto diventa paradosso estremo, come nel racconto che da il titolo alla raccolta, dove una serie di omicidi seriali e rituali si susseguono e le impronte dell’omicida sull’arma del delitto coincidono sempre con quelle della vittima. Il finale ribalterà ogni logica.
In Un errore di mira, la visione scientifica del reale si mescola a una visione più allucinatoria e onirica: la crisi di coscienza che invade la protagonista di fronte a una ricerca molto spinta sull’uomo, diventa un tema di grande attualità e interesse.
Questa crisi di coscienza davanti a una manipolazione scientifica, porta sulla soglia di un passo estremo e la tensione e le aspettative toccano corde incredibili in questo racconto.
Ci sono, poi, tre racconti che hanno tra loro un legame ancora più forte. Sono i racconti dell’etnia nel ghetto, o la trilogia del ghetto: Il ponte, Esecuzione e Il luogo ovvero il caso.
Un ghetto protagonista, la scelta di raccontare persecuzioni specifiche (reinventando quelle delle comunità ebraiche nell’Europa centrale) e il drammatico conflitto tra individuo e una comunità, sono i passaggi chiave in queste narrazioni.
Altra costante nella trilogia è il Rito.
La ritualità: sacra ma anche elemento comune nel gioco letterario, per quello che è atto salvifico nel poter tramandare una etnia.
Così il ragazzino Diego ne Il ponte, riceve dal nonno un misterioso libro che cresce nel numero di pagine e nel quale è scritta la storia della sua etnia mentre accade. All’interno è compresa la sua storia personale, che lo porta a uccidere un autoctono dopo aver fatto fecondare la zia pur di preservare la stirpe.
È nell’ultimo racconto che l’intero universo del libro sembra voler confluire, lì dove il dramma del singolo essere umano si svolge sempre col consenso del potere e del controllo dei notabili e delle alte sfere gerarchiche.
In tutti questi racconti si vanno a scompaginare le pieghe della sicurezza di ognuno di noi, si vanno a porre le esistenze fuori da quella che è una tranquilla condizione di comodo.
Racconti che ci interrogano e destabilizzano e ci inducono a riflessioni profonde.
Racconti dove spesso non tutto è chiaro e lineare per la nostra logica o per la nostra visione, eppure capaci di inchiodare il lettore a ogni singola pagina.
Storie di destini che si incrociano in una narrazione realistica e tradizionale, in cui la penna dell’autore opera come un bisturi chirurgico. Poi, è un attimo, si sconfina nel fantastico e nel paradosso, ogni certezza viene meno, ogni forma di logica si sgretola sotto i nostri occhi, ogni razionalità svanisce.
Racconti dove l’inesprimibile prende forma.
Solo in una casa editrice di progetto e sperimentazione come Polidoro editore potevano trovare patria.
Nove racconti altamente letterari e profondi, quelli di Alfredo Zucchi, dove l’elemento saggistico e filosofico si alterna costantemente alla pura bellezza della narrazione lineare.
Io, da povero libraio e lettore, non posso che ringraziare Eduardo Savarese, che me li ha fatti scoprire e amare, e ovviamente l’autore per averli donati a me e a tutti i lettori dal palato esigente.
Antonello Saiz