Un romanzo tanto pubblicizzato da Garzanti, al punto di non poter minimamente immaginare si tratti dell’opera prima di Chiara Montani, professione architetto.
L’autrice mette ogni fibra della sua esperienza, ogni nozione che il suo lavoro le rende indispensabile, per poter tratteggiare come fosse seduta al foglio (o con i moderni mezzi tecnologici), per poter creare una scenografia che si incastri perfettamente sia nell’immaginario del lettore, sia tra le vie della città reale in cui le vicende sono ambientate: Firenze.
Sì, perché il romanzo di Chiara Montani, un giallo d’ambientazione storica, tesse la tela delle vicende nel contesto della Firenze rinascimentale, quella retta dalla famiglia Medici (qui Cosimo de’ Medici).
Il contesto storico è sottolineato dalle figure che animano le vicende: Piero della Francesca, i personaggi politici realmente vissuti all’epoca dei fatti narrati e Domenico da Venezia.
Se di Piero della Francesca si sprecano le notizie biografiche, per quanto riguarda Domenico da Venezia poco si sa, come ammette la stessa autrice nel commento finale al romanzo.
Su questo lapsus cronachistico fa leva Chiara Montani, avvolgendo la vita di quest’ultimo personaggio di vicende vicine al mondo dell’esoterismo e della diatriba religiosa, che in quegli anni incombeva tra la Chiesa Cattolica e quella Ortodossa, mai così vicine a una unificazione.
La trovata narrativa pare orchestrata ad hoc per riempire i buchi temporali che non ci sono giunti riguardo il pittore veneto. Ciò sembrerebbe riguardare anche Piero della Francesca, la cui lontananza da Firenze viene giustificata grazie alla vicenda che da origine ai fatti del romanzo.
Venendo per gradi: il giallo ruota intorno a una serie di delitti commessi in Firenze. A indagare sono due persone che da questi fatti vengono coinvolte in prima persona: una è la protagonista, Lavinia, aiutante proto-femminista che esprime sentimenti che difficilmente all’epoca potrebbero essere provati (e non a caso pare essere l’unica tra tutte le figure femminili presenti nel romanzo a provarli); tuttavia, tale deviazione filosofico-temporale può essere giustificata dall’aggettivo ribelle presente nel titolo che di lei parla
L’altro personaggio a indagare sul caso, perché coinvolto nelle vicende grazie a una trovata narrativa trita e ritrita, ossia l’arrivo di una lettera (falsa) che lo chiama a Firenze, è Piero della Francesca.
I due, inutile dirlo, proveranno una sorta di attrazione reciproca, del tutto fuori contesto e risolveranno il caso grazie alle doti di Lavinia quale Angela Fletcher ante litteram e ai muscoli di Piero della Francesca, che lo rendono un Superman del Rinascimento.
Interessante lo scenario in cui si svolgono i fatti; gli eventi narrati possono inserirsi pienamente nel contesto storico che fa da sfondo, seppur limitatamente a certi avvenimenti.
Tuttavia, la scelta dei personaggi pare giustificata solo dal fatto che Chiara Montani ama l’arte.
Analizzando gli eventi nel dettaglio, pare che l’autrice voglia a tutti i costi inserire l’elemento artistico in una trama che potrebbe farne benissimo a meno. Eccetto che per uno degli assassinii commessi, l’arte e la pittura sostengono vicende che in ogni caso troverebbero compimento. In alcuni capitoli, addirittura, la sensazione è che Chiara Montani si scordi che la sua protagonista sia una pittrice (in realtà non lo è a tutti gli effetti).
L’arte crea contesto perché si è scelto di usare certi personaggi che con tale espressione sono legati, nonostante a volte proprio il contesto serva per pavoneggiamenti virtuosistici sulle conoscenze e sulle nozioni che l’autrice ha riguardo la pittura. Ecco, si direbbe che esso sia creato appositamente da Montani per poter ostentare la sua conoscenza in ambito pittorico.
Bastavano i quadri, che la sua scrittura pregna – c’è da riconoscerlo – di conoscenze artistiche dipingeva, a far intuire la sua capacità a maneggiare, la penna come fosse un pennello.
Un esempio emblematico di tale dote: «In piedi, con una mano sulla porta e l’altra premuta sulla bocca, occhi sbarrati, sul punto di liquefarsi, pareva il ritratto stesso della desolazione».
Ecco allora che mi torna alla mente un articolo di Umberto Eco, che tracciava una linea tra un buon scrittore e uno meno bravo. Il primo, parafrasando, non aveva bisogno di esplicitare il suo pensiero e se stesso nel testo che scriveva, il secondo sì.
Stando a ciò, il primo esperimento autoriale di Chiara Montani avrebbe il potenziale di essere partenza per una felice serie di romanzi ben scritti, se solo si fosse in grado di mettersi di lato e lasciar parlare la scrittura.
Lorenzo Bissolotti
Recensione al libro Il mistero della pittrice ribelle di Chiara Montani, Garzanti 2021, pagg. 334, € 16,80