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Il sorcio. Intervista ad Andrea Carraro

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Il Sorcio (Elliot Edizioni 2020) è l’ultima pubblicazione di Andrea Carraro, più precisamente è una riedizione, infatti il romanzo era uscito per la prima volta nel 2007 per i tipi di Gaffi. Carraro racconta la storia di Nicolò Consorti, impiegato e scrittore che vive a Roma. Anima ambivalente, ha due occupazioni ma anche due tratti della personalità ossimorici, è infatti sia vittima che carnefice. In banca, è qui che lavora, subisce ripetutamente le vessazioni del Sorcio, soprannome di Eraldo Martelli, suo collega che non perde occasione per umiliarlo. Ma la vita del protagonista è angosciata anche dal difficile rapporto con la moglie, con la madre, a sprazzi arrivano ricordi del padre, di amici d’adolescenza attraverso le sedute settimanali con lo psicologo di cui non riesce a fare a meno. Nicolò Consorti è un narcisista e all’apparenza sembrerebbe l’opposto del suo carnefice, uomo rozzo e privo di immaginazione, di fatto pagherà dei picchiatori perché diano una lezione al Sorcio, un atto da vero codardo intriso di rabbia. La sua rabbia piccolo borghese si riversa nella scrittura, nei suoi romanzi che scrive rubando del tempo al lavoro d’ufficio, scrivendo in qualsiasi momento «quando poteva e quando non poteva, prendendo quasi alla lettera quel precetto di Hemingway “Ora non è tempo per pensare a ciò che non hai. Pensa a quello che puoi fare con quello che c’è”». Non c’è nella lettura un apice in cui si accentui la tensione per poi lasciarla esplodere, né una risoluzione bizzarra o scontata o che abbia l’obiettivo di appagare chi legge. La narrazione è un corso d’acqua che scava nel lettore è viene accompagnato dalla corrente sino all’ultima pagina. Perché Nicolò Consorti è lo specchio delle nostre paure, delle nostre debolezze, del marciume che ci abita e che non ammetteremmo. Andrea Carraro, con la sua scrittura caustica e precisa, è in grado di mostrare la violenza anche priva dell’atto di brutalità. La violenza subdola e strisciante che ci tormenta, ci indigna e che immaginiamo di rovesciare sugli altri.

Alessia Bronico

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Spesso prende spunto da fatti realmente accaduti per scrivere le sue storie. Il romanzo è luogo ideale per descrivere la realtà? E cos’è la realtà per lei?

Comincio dall’ultima. Che cos’è la realtà? E le rispondo con la risposta che sempre propongo ai miei corsi di scrittura. La realtà è quella cosa che non esiste finché uno scrittore, un artista, non la riconosce e non la fissa sulla carta, sulla tela, nella pellicola ecc. Sì, lo spunto per me parte quasi sempre da fatti realmente accaduti, fatti personali ma anche ispirati dalla cronaca o dalla cronaca nera. Il romanzo (e il cinema: impossibile immaginarli scissi) mi sembrano oggi i luoghi ideali dove fissare artisticamente quella realtà.

Come è cambiato il suo punto di vista dagli esordi a oggi?

Non saprei, forse dovrebbero dirlo i critici, i lettori, questo. Forse invecchiando sono diventato più spudorato con me stesso e più preciso nei dettagli. Qualcuno dice che ho perso un po’ della mia cattiveria, ma io questo non lo credo.

È necessario che un lettore sappia quanto di autobiografico si nasconde in un personaggio?

No, e anzi può essere fuorviante nella comprensione del libro. Facciamo parlare Proust, che da qualche parte nelle sue pagine Contro Saint-Beuve, scrive: «Un libro è il prodotto di un io diverso da quello che si manifesta nelle nostre abitudini, nella vita sociale, nei nostri vizi». Anzi dico di più: oggi si punta editorialmente tanto sulla figura dello scrittore, del romanziere, io proverei a puntare invece sul libro, sul romanzo, organizzerei eventi attorno al romanzo, non all’autore. Gli scrittori, a parte rarissimi casi, meno li vedi e meglio è. Lo scrittore dovrebbe sparire, come ha fatto Elena Ferrante… Solo, il rischio è che nessuno se ne accorga!

Roma e la periferia sono luoghi privilegiati nei suoi libri. Cosa cerca nella periferia, e nella sua Roma?

Io ho scritto quasi sempre di Roma e su Roma, o in luoghi che comunque con Roma erano legati (piccoli borghi dell’hinterland romano), per il semplice motivo che la abito da sempre e l’ho quindi avuta quasi sempre sotto gli occhi. Io di natura sono stanziale, viaggiare mi piace ma mi spaventa, mi mette in agitazione, sono imbranato con le lingue. La periferia, sì, ma non solo, guardi, anche i quartieri alti, i quartieri dei benestanti, dei pariolini, i Parioli, il quartiere Salario-Trieste, dove sono cresciuto, dove ho ambientato racconti e romanzi. In realtà Roma l’ho rappresentata in lungo in largo, anche nei reportage, in modo trasversale socialmente, urbanisticamente, ho raccontato anche il centro storico.

Dove?

C’è un racconto per esempio, che si svolge proprio, simbolicamente, sulla scalinata di Trinità dei Monti, e racconta una orribile vendetta contro un ex collega, un disabile in carrozzella… è uno dei ultimi racconti che ho pubblicato, si chiama La carrozzina. Pensi come sono diventato buono!

I suoi personaggi sono spesso dei fuori posto, perché? Forse è un modo per avvicinarsi a chi legge?

Mi piacciono i personaggi che sono attraversati dal conflitto (morale, sociale, aziendale, come nel Sorcio…), i personaggi cerniera fra due mondi che collidono, e vedere come reagiscono. Che siano alter-ego o personaggi solo di invenzione. Mi piace metterli in crisi, i personaggi, mi piace che incarnino dei conflitti, mi piace vederli in azione quando la quotidianità deraglia.

Il sorcio è tornato nelle librerie nel 2020 per i tipi di Elliot Edizioni. Quali sono gli interventi maggiori, cosa ha rinnovato o modificato rispetto all’edizione edita da Gaffi nel 2007?

Beh, ci ho lavorato molto, ci ho aggiunto 150 pagine, intanto, ho inserito alcuni motivi – la rivalità letteraria di Nicolò con il padre, anche lui scrittore, con il climax del Festival di Venezia, gli scontri familiari, i sensi di colpa, ho potenziato il finale, ho aggiunto alcuni ritratti di colleghi bancari… adesso credo che sia un romanzo più robusto.

Lei ha scritto anche poesia. Un narratore può essere anche poeta? C’è ancora pregiudizio in questo passaggio di ruoli?

Mi sa che un narratore, un romanziere, resta narratore anche quando scrive – o prova a scrivere, – in versi cercando rime e assonanze. C’è anche uno scambio fra poesie e romanzi e racconti che scrivo, i confini sono labili, incerti. Ma si vedano anche le poesie narrative di Carver, che sono racconti in versi… Ecco, nei miei versi cerco di muovermi in quella direzione. Boh, forse. Forse nella poesia sono meno cattivo, più lirico.

Andrea Carraro è un grande appassionato di cinema. Cosa, principalmente, attira il suo interesse?

L’amore per il cinema in me è andato di pari passo con quello per la letteratura, per i romanzi. Per me sono quasi la stessa cosa, il cinema e i romanzi, vedo un sacco di film, da sempre, tanto più oggi con mio figlio che studia sceneggiatura e mi propone continuamente succose retrospettive e novità. Cosa trovo nel cinema? Potrei rispondere banalmente il sogno, l’illusione, ma anche la realtà (la realtà meno la noia!, diceva forse Hitchcock)… Cerco, come nel romanzo, la verità, l’autenticità. Ma quale artista non si propone questo! “La verità, l’aspra verità!” (Stendhal) Il problema è trovarla!

I social: mi dica quali sono i vantaggi di questi spazi virtuali e quali, invece, le trappole. Chi è Andrea Carraro sui social?

Sui social sono un istrione, un cacagazzi, un cazzeggiatore compulsivo, idiosincratico, un po’ maramaldesco qualche volta (e non dovrei), uno che irrita molti e diverte qualcuno, uno che propone comunque all’attenzione film, cultura, libri, questioni sociali, uno che gioca con le sue idiosincrasie, con le sue debolezze, uno che prova a dire la verità, appunto, la sua verità, con spudoratezza, attraverso epigrammi paradossali, dialoghetti comici calembour. Per me rappresenta una dipendenza, Facebook, ogni tanto mi tolgo, per disintossicarmi, ma poi ci torno sempre. Comunque, che ci piaccia o no, i social hanno inventato un nuovo linguaggio e bisogna farci i conti.

Le trappole dei social?

Uh, guardi, sono talmente tante che si fa fatica a racchiuderle in una formula! Direi che la trappola più grossa, il vero trappolone, è l’esaltazione del narcisismo. Io sono bravissimo a riconoscerlo negli altri, meno in me stesso, ma non sono l’unico!

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Andrea Carraro, scrittore, nasce a Roma nel 1959. Ha pubblicato romanzi e racconti fra cui Il branco (Theoria, 1994), diventato un film di Marco Risi (sceneggiato a quattro mani dallo scrittore e dal regista), L’erba cattiva (Giunti, 1996), La ragione del più forte (Feltrinelli, 1999), Non c’è più tempo (Rizzoli, 2002) (Premio Mondello), Il sorcio (Gaffi, 2007) e due raccolte di racconti, confluite poi in Tutti i racconti (Melville, 2013), Sacrificio (Castelvecchi, 2017). Ha lavorato per 17 anni in una banca, da cui si è licenziato nel 2008, subito dopo l’uscita de Il sorcio (appena rieditato da Elliot in una nuova edizione ampiamente rivista). Ha scritto anche libri di reportage (Da Roma a Roma, Ediesse, 2007) e di recensioni letterarie (Botte agli amici, Gaffi, 2005). Ha tenuto corsi di scrittura creativa e di editoria in varie sedi, anche in carcere. Lavora come editor e docente alla Scuola di scrittura creativa Genius. Vive a Roma.

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