Il Memorial Day, la festa annuale osservata negli Stati Uniti l’ultimo lunedì di maggio, era originariamente conosciuta come Decoration Day, una commemorazione di coloro che persero la vita combattendo nella Guerra Civile. Ma quando gli Stati Uniti si trovarono coinvolti in un’altra guerra, la prima guerra mondiale, quattro decenni dopo, la giornata si è evoluta in una celebrazione più generale del personale militare americano morto in tutte le guerre.
Mentre poeti come John McCrae, Wilfred Owen e Alan Seeger sono definiti dalle loro poesie di guerra, persino classificati come “poeti di guerra” per il ruolo attivo che hanno giocato sul campo di battaglia e l’onestà a volte brutale con cui hanno riportato gli orrori e le tragedie delle loro esperienze, forse un po’ meno discusso è il racconto poetico di Walt Whitman della Guerra Civile.
Conosciuto trai più grandi poeti americani, Whitman non è altro che un poeta di ampio respiro. Le sue poesie cercano di catturare una diversità di esperienze e si divertono nella molteplicità e nelle contraddizioni della vita. Nella sua poesia “America”, dichiara che il paese è “Centro di figlie uguali, figli uguali, / Tutti, tutti allo stesso modo amati, cresciuti, non cresciuti, giovani o vecchi”. Sebbene Whitman abbia celebrato l’America nei suoi versi, scrisse della guerra civile americana, un’esperienza che avrebbe raccontato con rabbia, paura ed empatia.
Il 13 dicembre 1862, il fratello minore di Whitman, George, fu elencato nel “New York Herald” come uno dei soldati feriti nella battaglia di Fredericksburg. Temendo per la salute e la sicurezza di suo fratello, Whitman lasciò la casa di famiglia a Brooklyn e si precipitò a Washington, D.C. per trovare George. Dopo diversi giorni di ricerca, Whitman trovò suo fratello a Falmouth, in Virginia, con solo una piccola ferita al viso, ma rimase comunque con lui per due settimane, durante le quali registrò ciò che vide al campo dell’esercito dell’Unione e visitò i soldati feriti negli ospedali da campo. Mentre Whitman si preparava a lasciare Falmouth alla fine di dicembre, gli fu chiesto di trasportare alcuni dei soldati feriti agli ospedali di Washington, in un viaggio che includeva sia il viaggio in treno che la nave a vapore del governo. Whitman si prese cura dei feriti, facendo commissioni e scrivendo i loro messaggi alle famiglie. Ha ricordato: “Molti volevano che fossero mandati a casa a genitori, fratelli, mogli e così via, cosa che ho fatto per loro (per posta il giorno dopo da Washington). Un povero ragazzo è morto salendo”.
Quando Whitman raggiunse Washington, commosso e sopraffatto dai soldati feriti che incontrò, aveva deciso di rimanere come infermiere e lavorare negli ospedali per tutta la durata della guerra. L’esperienza, anche se faticosa, fu alla fine gratificante per Whitman, che amava aiutare i soldati e teneva regolarmente un resoconto del suo lavoro con loro. Scrisse al suo amico, il poeta Ralph Waldo Emerson: “Desidero e intendo scrivere un piccolo libro su questa fase dell’America, la sua giovane mascolinità, la sua condotta sotto la più difficile e la più alta di tutte le esigenze, che lei, come sollevando un angolo di una tenda, mi ha concesso di vedere l’America, già portata all’ospedale nella sua bella gioventù – portata e depositata qui in questo grande sepolcro imbiancato di Washington stessa”. Quando la guerra civile finì, Whitman stimò di aver fatto “più di 600 visite o tour, e andò … tra circa 80.000 e 100.000 malati e feriti, come sostenitore dello spirito e del corpo in qualche misura, nel momento del bisogno”.
Whitman pubblicò articoli sul New York Times e sul Brooklyn Daily Eagle sulle sue esperienze e pubblicò una raccolta di poesie sulla guerra, Drum-Taps, mentre la guerra stava per finire.
Foglie d’erba era alla sua terza edizione quando Whitman dichiarò al suo amico William O’Connor, nel 1864, che “intendeva muovere cielo e terra per pubblicar”” la sua Drum-Taps. La raccolta fu pubblicata negli Stati Uniti poche settimane dopo la resa del generale Robert E. Lee ad Appomattox e l’assassinio del presidente Abraham Lincoln.
Marcatamente diverso dalle solite poesie romantiche, celebrative ed espansive di Whitman sull’individuo e la collettività in America, Drum-Taps conteneva poesie che testimoniavano la violenza della guerra con un senso di intimità e paura. Nel resoconto di Whitman di quello che lui chiamava “l’affare rosso” della guerra, c’è il suo senso di compassione, ma c’è anche rabbia e disperazione.
Sei mesi dopo la sua pubblicazione originale di Drum-Taps, Whitman, sebbene alcuni trovassero Drum-Taps sgradevole nel suo particolare modo di raccontare la guerra (un giovane Henry James definì la raccolta “lo sforzo di una mente essenzialmente prosaica di elevarsi, attraverso un prolungato sforzo muscolare, in poesia”, in un numero del novembre 1865 di The Nation, un’affermazione di cui più tardi disse di essersi pentito), altri hanno poi definito le poesie rappresentative di quello che sarebbe stato successivamente definito come il moderno poema di guerra.
Whitman incluse una versione modificata di Drum-Taps nell’edizione successiva di Leaves of Grass, pubblicata quello stesso anno, anche se solo trentotto delle settantuno poesie originali della raccolta apparvero nelle edizioni successive di Leaves of Grass.
Alla fine, Whitman, che era così risoluto nel suo obiettivo di far leggere Drum-Taps – arrivando al punto di pubblicare la prima edizione a sue spese – era almeno soddisfatto di essere riuscito a realizzare il suo obiettivo: mettere in parole tutto ciò che aveva visto durante la guerra. In un’altra lettera inviata a O’Connor, il 6 gennaio 1865, Whitman disse: “Drum-Taps consegna la mia ambizione del compito che mi ha perseguitato, vale a dire, esprimere in una poesia … l’azione pendente di questo Tempo e Terra in cui nuotiamo, con tutte le loro grandi fluttuazioni contrastanti di disperazione e speranza, gli spostamenti, le masse, e il vortice e il frastuono assordante … e poi un sottofondo di dolcissimo cameratismo e amore umano, che si infila con costanza nel caos”.
Gian Paolo Serino
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Il parrucchiere con la ferita
1
Un vecchio che si piega vengo tra volti nuovi,
Anni guardando indietro riprendendo in risposta ai bambini,
Vieni a dirci vecchio, come da giovani e fanciulle che mi amano,
(Allarmato e arrabbiato, avevo pensato di battere l’alarum, e sollecitare una guerra implacabile,
Ma presto le mie dita mi hanno tradito, il mio viso si è abbassato e mi sono rassegnato,
a sedermi accanto ai feriti e a lenirli, o a guardare in silenzio i morti;)
Anni dopo, di queste scene, di queste passioni furiose, di queste occasioni,
di eroi insuperabili (una parte era così coraggiosa? l’altra era altrettanto coraggiosa).
Ora sii di nuovo testimone, dipingi i più potenti eserciti della terra,
Di quegli eserciti così rapidi e meravigliosi che cosa hai visto per dirci?
Che cosa rimane con voi ultimo e più profondo? di panico curioso,
Di impegni combattuti o di assedi tremendi che cosa rimane più profondo?
2
O fanciulle e giovani che amo e che mi amano,
Ciò che chiedete dei miei giorni, quelli più strani e improvvisi che il vostro parlare ricorda,
Soldato sveglio arrivo dopo una lunga marcia coperta di sudore e polvere,
Al momento opportuno arrivo, mi tuffo nella lotta, grido forte nell’impeto della carica vincente,
Entro nelle opere catturate, ma ecco, come un fiume che scorre veloce, svaniscono,
Passano e se ne vanno, svaniscono – non mi soffermo sui pericoli dei soldati o sulle gioie dei soldati,
(Entrambe le cose le ricordo bene: molte delle difficoltà, poche delle gioie, eppure ero contento).
Ma in silenzio, nelle proiezioni dei sogni,
Mentre il mondo del guadagno, dell’apparenza e dell’allegria va avanti,
Così presto ciò che è finito viene dimenticato, e le onde lavano le impronte dalla sabbia,
Con le ginocchia incernierate di ritorno entro nelle porte, (mentre per te lassù,
Chiunque tu sia, segui senza rumore e sii di cuore forte).
Portando le bende, l’acqua e la spugna,
dritto e rapido ai miei feriti vado,
Dove giacciono a terra dopo la battaglia portata,
Dove il loro sangue inestimabile arrossa l’erba del terreno,
O alle file della tenda dell’ospedale, o sotto il tetto dell’ospedale,
Alle lunghe file di brande su e giù per ogni lato ritorno,
A ciascuno e a tutti, uno dopo l’altro, mi avvicino, non ne perdo uno,
Un inserviente mi segue con un vassoio, porta un secchio per i rifiuti,
Presto sarà riempito di stracci coagulati e di sangue, svuotato e riempito di nuovo.
Vado avanti, mi fermo,
con le ginocchia incernierate e la mano ferma a medicare le ferite,
Sono fermo con ognuno, i dolori sono acuti ma inevitabili,
Uno mi rivolge i suoi occhi accattivanti: povero ragazzo! Non ti ho mai conosciuto,
Eppure penso che non potrei rifiutare questo momento di morire per te, se questo ti salvasse.
3
Avanti, avanti vado, (aprite le porte del tempo! aprite le porte dell’ospedale!)
La testa schiacciata io vesto, (la povera mano impazzita non strappa la benda,)
Esamino il collo dell’uomo della cavalleria con la pallottola da parte a parte,
Il respiro è duro, l’occhio è già abbastanza vitreo, ma la vita lotta duramente,
(Vieni dolce morte! Sii persuaso, o bella morte!
In misericordia vieni presto).
Dal moncone del braccio, la mano amputata,
sciolgo la lanugine coagulata, tolgo la melma, lavo via la materia e il sangue,
Di nuovo sul suo cuscino il soldato si piega con il collo curvo e la testa che cade di lato,
I suoi occhi sono chiusi, il suo viso è pallido, non osa guardare il moncherino insanguinato,
e non l’ha ancora guardato.
Ho fasciato una ferita nel fianco, profonda, profonda,
Ma un giorno o due ancora, per vedere il telaio tutto sciupato e sprofondato,
e il volto giallo-blu vedere.
Curo la spalla perforata, il piede con la ferita di proiettile,
Pulisco quello con una cancrena putrescente e putrida, così nauseante, così offensiva,
Mentre l’inserviente sta dietro di me con il vassoio e il secchio in mano.
Io sono fedele, non cedo,
La coscia fratturata, il ginocchio, la ferita all’addome,
Queste e altre ancora le medico con mano impassibile, (ma nel profondo del mio petto un fuoco, una fiamma ardente).
Una vista in campo nell’alba grigia e fioca
Una vista nell’accampamento nell’alba grigia e fioca,
Come dalla mia tenda emergo così presto insonne,
Mentre cammino lentamente nell’aria fresca il sentiero vicino alla tenda dell’ospedale,
Tre forme che vedo su barelle distese, portate là fuori senza cura,
Su ognuna la coperta stesa, un’ampia coperta di lana marroncina,
Coperta grigia e pesante, piegata, che copre tutto.
Curioso mi fermo e resto in silenzio,
Poi con dita leggere dal viso del più vicino al primo sollevo appena la coperta;
Chi sei tu, uomo anziano, così magro e torvo, con i capelli ben grigi e la carne tutta infossata intorno agli occhi?
Chi sei tu, mio caro compagno?
Poi al secondo passo – e chi sei tu, mio figlio e tesoro?
Chi sei tu, dolce ragazzo con le guance ancora in fiore?
Poi al terzo, un viso né bambino né vecchio, molto calmo, come di un bellissimo giallo-bianco avorio;
Giovanotto, credo di conoscerti, credo che questo volto sia il volto del Cristo stesso,
Morto e divino e fratello di tutti, e qui di nuovo giace.