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Elogio della gioiosa follia

Sono due i principali ostacoli alla conoscenza delle cose: la vergogna che offusca l’animo, e la paura che, alla vista del pericolo, distoglie dalle imprese.  La follia libera da entrambe. Non vergognarsi mai e osare tutto.

Da Elogio della Follia di Erasmo da Rotterdam

L’opera di Erasmo da Rotterdam, umanista e filologo olandese, vissuto nel XVI secolo, è una dissacrante satira allegorica che si legge con piacere, di assoluta attualità anche ai giorni nostri. Qui la follia è intesa come volontà vitale, forza istintiva, irrazionale, insofferente di freni. Secondo Erasmo, i mortali più lontani dalla felicità sono quelli che cercano la saggezza, peccando di hybris, tracotanza, nel voler aspirare alla vita degli Dei immortali mentre i meno infelici sembrano quelli che restano più vicini alla mentalità e all’istinto degli animali. Sono dunque le passioni, gli istinti naturali, a guidare verso le buone azioni. Anche Sofocle lodava la follia: Dolcissima è la vita per chi manchi di senno.

Tutti gli esseri umani, anziché curare gli aspetti spirituali e interiori dell’individuo, con i loro comportamenti, inseguono fallacemente ciò che è terreno e destinato a finire: gloria, potere, ricchezza, lusso e successo. Ed è proprio la cultura del desiderio alle radici dell’intossicante economia capitalistica. Quello che chiamiamo sviluppo è solo un sistema per spingere la gente a desiderare, e comprare, sempre più cose. Il capitalismo è una macchina che produce scontento da colmare con il desiderio che si nutre di consumismo.

Chi è il folle in questo caso?

Chi ascolta e insegue i propri istinti o chi si lascia ammaliare e guidare dai bisogni materiali?

A furia di consumare, la massa si è consumata il cervello, lasciando morire di stenti il cuore. Siamo una società d’infelici, sempre scontenti, ancor più tormentati oggi da pandemia e infodemia.

Ormai da un anno io ho scelto con consapevolezza e privilegio di abbandonare la frenesia urbana e di abbracciare l’andamento lento della vita campestre. Ho trascorso metà dell’anno sul lago di Como e l’altra sull’isola di Stromboli. Dall’estremo nord all’estremo sud. Del resto, non sono donna da mezze misure né da sfumature. Ho impiegato il mio tempo – ne ho in abbondanza, questo è il vero lusso – leggendo e camminando instancabilmente. Mens Sana in Corpore Sano, o quantomeno ho cercato di tenere a freno la mia innata follia con azioni benefiche per lo spirito e il corpo.

I folli, i buffoni, gli stolti sono più felici perché non temono la morte, non sono tormentati da rimorsi di coscienza, né sono ingannati dalle favole sull’aldilà, non si crucciano per il timore di mali incombenti e non vivono nella vana attesa di beni futuri. Ignorano inoltre vergona, timore, ambizione, invidia. Insomma, io, esimia cialtrona esistenziale non sono preda dei mille affanni ai quali è sottoposta la vita moderna.

Chiamatemi pure La Grande Cialtrona.

Mi sono ritrovata in questa deliziosa opera perché da sempre sono chiamata pazza, fusa, spostata e quindi, per comunione di folli sensi, io appartengo, rivendicandolo con insano orgoglio, alla categoria dei fuori (categoria).

Il saggio è narrato in prima persona proprio dalla Follia, figlia di Plutone e di Neotete:

Vorrei che tu, stoltissimo saggio, mi dicessi tutti gli affanni che notte e giorno tormentano il tuo animo e facessi un bel mucchio di tutti i disagi della tua vita; alla fine capiresti quanti mali risparmio ai miei stolti. Aggiungi che [i folli] non solo vivono in perpetua letizia, scherzando, canterellando, ridendo, ma offrono anche a tutti gli altri, dovunque vadano, motivo di piacere, scherzo, divertimento e riso, come se la benevolenza divina proprio a questo li avesse votati: rallegrare la tristezza della vita umana.

Questa è la mia missione di vita, ruolo che svolgo con naturalezza e spensieratezza e che, ovviamente, applico alla mia vita errante e svagante. Condendola, anzi sommergendola, di rigenerante e traboccante ironia. L’ironia è un altro fondamentale tassello che ormai latita, quando addirittura non è scomparso, in questa società votata al consenso – al quale io oppongo fiera e combattiva il dissenso – al pensiero unico, all’estremismo del politicamente noioso (cit. Carla Bruni). La gente non sa nemmeno più cosa sia l’ironia, figuriamoci l’autoironia. Io non mi prendo (quasi) mai sul serio, possiedo la potente arma dell’umorismo caustico che mi permette di affrontare le sfide e gli ostacoli della vita con (apparente) leggerezza. Forse perché sono nata negli anni Settanta e ho potuto godere la mia giovinezza nei dorati e liberi anni ’80 e ’90. O forse perché ho tanto letto, viaggiato, imparato, curiosato, allargando i confini dei miei orizzonti mentali, anche sessuali, con coraggio e curiosità.

Non ho certo bisogno di protezione dalle molestie verbali alle quali reagisco ferina mandando a fanculo il malcapitato di turno. Non sono offesa da libri, film, opere d’arte votati alla provocazione, che anzi stimolano il mio intelletto perché so discernere il bene dal male.

Non voglio vivere in un mondo edulcorato e falso, dove regnano sovrani il vittimismo e la censura.

Da sempre sono un bastian contrario di razza, anzi di pazza, amo l’ironia dissacrante e cinica, alla Woody Allen, sono arsa da un wit irriverente e dirompente, mi faccio beffe dei puritanesimi d’importazione americana, adoro gli artisti scomodi che si scagliano contro l’egemonia degli webeti in quel cesso virtuale che è diventata la rete, dove masse di decerebrati ignoranti e imbecilli seguono i pastori del perbenismo. Aristotele parlava di “indole di pecora” perché considerava la pecora l’animale più stupido del creato, un gregge di umani non folli ma assennati che nella loro assennatezza sfoggiano tutta la loro stoltezza.

L’unica indole ovina che mi pervade è quella pecorina … Beatamente smarrita per i greggi suoi.

Io sono una baccante, folle e gioiosa groupie spirituale, e spiritosa, del Dio Dioniso, chiamato anche “colui che rende folli le donne”, la cui conoscenza priva di pensiero e ragione conduce a una libertà infinita in un amoroso e armonico impeto.

Voglio abitare un mondo lontano, primordiale, selvaggio, naturale, istintuale, un mondo privo delle regole della cosiddetta civiltà, scevro dalle leggi imposte dalle convenzioni sociali non dominato dalla logica, dalla materialità, dal consumismo.

Dioniso è il dio della follia e dell’ebbrezza, è il dio senza vincoli, dio del vino, della danza, della musica. E’ il dio dell’Eros sfrenato che porta alla liberazione, un Eros che non procrea e che non è vincolato da alcun sentimento di possesso o limite, essenza dell’energia gioiosa, giocosa, inebriante e potente. Un Eros che insegna una sessualità libera, estrema, vitale che permette di elevarsi sensorialmente.

Ma quest’energia è sconosciuta a chi è concentrato sul quotidiano succedersi dei giorni, delle banalità e delle consuetudini, senza mai domandarsi nulla, passivamente plasmato dalla pubblicità, dai giornali, dai libri, dalle scuole, dalle televisioni, dagli amici, dai parenti. Altresì quest’inebriante energia potrebbe risultare pericolosa per chi non è in grado di cogliere nel profondo la gioia e la libertà, anzi private dei freni queste persone darebbero solo sfogo a cattiverie, invidie, gelosie e a una sessualità profana, finalizzata solo al compiacimento fisico. Non Eros ma quello che i Greci chiamavano porneios, ossia prostituzione a pagamento, da cui l’attuale parola porno.

E’ solo quella gioiosa follia a permettere d’intendere la vita come un gioco – la vita non è altro che un gioco e un passatempo Corano LVII 20 – con estrema leggerezza e smisurata allegria, facendosi beffe delle cose considerate serie, importanti, tristi, gravi. E chi ritenesse la spensieratezza una forma di superficialità, in verità non coglierebbe il senso di-vino dell’esistenza. Io amo essere pervasa da disumana leggerezza.

Io sono una suscitatrice di follia – questa è la mia più intima ed esplosiva conquista – come scrive Leda Bearné nel saggio Dioniso e le Donne, ovvero la gioiosa follia (2011 – Edizioni della Terra di Mezzo), scovato anni fa alla Libreria sull’Isola di Stromboli.

Io non voglio attendere uno sposo, appartenere a un uomo, amarlo ed essere riamata in una perfetta vita di coppia. Io pretendo e ricerco un amore svincolato dall’io e privo di senso di possesso e di dipendenza, illimitato e foriero di trascendenza.

Io non cerco la stabilità sentimentale.

Io voglio l’irrequietezza, l’impeto, la frenesia dei sensi tutti.

Voglio delirare d’erotismo.

La primordiale e divina pienezza interiore non va ricercata all’esterno di noi stessi, nell’altro ma va indagata nel nostro io, nel nostro amante intimo attraverso l’éntheos – ovvero sentendo dentro la divinità dionisiaca – accogliendo il soffio divino e accendendo il sacro fuoco. Attraverso l’Eros possiamo accedere al sacro.

Le donne coraggiose non cadono nelle innumerevoli trappole del mondo odierno, non cedono a corteggiamenti e a ideali di coppia intrisi di sentimentalismi fatui, ravvisandoli come mortifere prigioni dell’anima, vere e proprie tombe in cui seppellire la propria inestimabile libertà.

Mai come quando sono libera e sola in natura sento pulsare dentro di me il divino incanto prodotto dalla visione estatica del cielo, del lago, del mare, dei boschi, dei fiori, delle montagne, degli animali.

Riesco ancora a ridere fino a dimenticare ogni cosa, sono abbastanza audace da saper, e voler, navigare acque in tempesta e tuffarmi in un mondo privo di quelle certezze che regolano le società moderne lontane dall’energia gioiosamente folle di Dioniso.

Io sono allegra, gaia, pazzerella, impudica, immorale, selvaggia, lussureggiante, lasciva e libidinosa.

Contagiatevi di follia.

Vaccinatevi il cervello.

Ascoltate il cuore.

Rispettate gli istinti.

Come scriveva in conclusione della sua opera, Erasmo da Rotterdam:

Tanti auguri, applaudite, state allegri, ubriacatevi, illustrissimi seguaci della Follia!

 

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