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Dario Borso. Ostaggi d’Italia. Tre viaggi obbligati nella Storia

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Cannonate di qua e di là e noi essendo la prima volta avevimo più paura, si pensava ai genitori e famiglia e con le lagrime ali occhi io mi raccomandavo al signore la mia vita…

Queste sono le parole scritte dal granatiere Giuseppe Curati impegnato sul fronte di Caporetto.

Esistono molti modi per approcciarsi ad un testo letterario ma, nel caso di Ostaggi d’Italia, Tre viaggi obbligati nella Storia di Dario Borso, edito da Exorma edizioni, trovo necessario che a parlare siano i protagonisti. Non a caso, sulla copertina del libro, compare un taccuino con una matita e delle pagine semplici, vergate di fretta, sul fronte, schivando la morte.

Dario Borso, in questo saggio, riporta a galla le storie di tre soldati impegnati su tre fronti differenti, in battaglie lontane. I racconti di Caporetto s’intrecciano con quelli della disfatta di Adua e dell’armistizio dell’Otto settembre. Si tratta di fonti dirette, che Borso lascia intatte, pagine scritte da uomini semplici che raccolgono le forze e raccontano. C’è spesso stupore, tra queste righe frettolose e sofferte, perché sono ragazzi increduli davanti alla barbarie.

Si sporcano di sangue, scavano trincee, pregano, perdono amici.

Tutto ci viene riportato senza filtri, con semplicità. Questi non sono intellettuali al fronte, sono uomini con le mani sporche, gli occhi spalancati davanti all’inferno. Le pagine sono corredate da foto. Vengono ritratti i taccuini, le maschere anti gas, gli effetti personali dei soldati al fronte. Queste foto ci permettono di entrare maggiormente nel racconto, di sentirci testimoni. Fanno tenerezza persino le armi, i crocefissi, i cucchiai e le gamelle.

Ho ripensato spesso ad Addio alle armi, di Hemingway, ai Racconti della guerra civile di Fenoglio.

Ho cercato, tra queste pagine, i protagonisti della letteratura di guerra che sempre ho amato, fin da ragazzo, e mi sono sentito ancor più vicino alla trincea, qui, perché è assente il filtro estetico. La patina del racconto è, tra queste disfatte, ancor più sottile.

Nessuno avrebbe dovuto leggere quanto si racconta, forse, e per noi diventa prezioso poterlo fare.

Si parla sempre di mangiare, la fame era sempre grande, come il desiderio di tornare a casa.

Non troviamo mai, su questi fronti reali l’eroe, il patriota, ma solo l’uomo nudo che si spezza le unghie per staccare un morso di vita ancora.

Sono ostaggi, racconta Borso, perché strappati con la forza alle loro vite, ai loro affetti e gettati con autorità nel fango, nella lordura della disfatta.

Questo, seppur così amaro è un libro utile. A Molti dovrebbe essere imposto, specie ai più giovani, ai sibillini invocatori di conflitti, ai facili risolutori.

Dopo averlo letto, mi sono ancor più persuaso che la guerra l’invoca chi non la combatte, chi non avrà figli al fonte, amori al macello.

Come nelle poesie di George Trakl – di cui Dario Borso è stato scrupoloso traduttore – esiste bellezza persino nelle bocche in frantumi, nella rossa nube, soggiorno di un dio furente e nei nipoti non nati, ma è la bellezza che si regala al dolore perché s’imprima e non si perpetui.

Pierangelo Consoli

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Dario Borso, Ostaggi d’Italia Tre viaggi obbligati nella Storia, Exorma edizioni, pag. 232, euro 15,50.

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