Si sono date moltissime definizioni della musica rock, ma nessuna riesce a racchiuderne appieno la complessità e multiformità. Che è fatta di esperienze diverse, contraddittorie, talvolta persino opposte, succedutesi o anche sovrapposte nei decenni.
Il rock, se vogliamo, è una musica “vecchia”, con ha ormai alle spalle circa settant’anni.
Potrebbe non essere del tutto corretto, ma ha una sua buona dose di verità dire che chi guarda al rock, guarda innanzi tutto al passato. Eppure non ha smesso di esercitare la sua fascinazione, tanto che ancora si scrivono pagine e pagine su questo fenomeno che ha dato voce, accompagnato, indirizzato, a volte persino dato inizio a profondi cambiamenti sociali e culturali.
Stefano Scrima ci ha piacevolmente abituati a libri brevi e lievi che ci offrono molti appigli per riflessioni importanti.
Quest’ultimo su rock e filosofia – così il sottotitolo – vuol mettere fin da subito le cose in chiaro, offrendoci già dal titolo una definizione e delimitando il campo nelle prime pagine. Il rock è quindi L’arte di sfasciare le chitarre e la sua «stagione vitale [è] durata quarant’anni, dal primo singolo di Elvis datato 1954 alla morte di Kurt Cobain avvenuta nel 1994 (con significative eccezioni che travalicano questa data)».
Secondo Scrima, le diverse espressioni della musica rock, con tutte le decine di sottogeneri e contaminazioni, sono accomunate da una visione tragica della vita che si esprime attraverso una ritualizzazione. Quest’ultima cambia a seconda dei vissuti e dei contesti storici.
A questo si accompagna anche l’esperienza personale dell’autore, nato come cantante di una band dell’underground cremonese, i Sydrojé, il quale ammette che il rock gli ha cambiato la vita.
È un libro molto sentito, che forse più degli altri dello stesso autore ne mette a nudo la passione e le convinzioni personali.
Ovviamente Scrima, da studioso di filosofia, ha gioco facile nel rintracciare pensatori o correnti di pensiero che possono essere accoppiate a musica e musicisti.
Se la tensione del rock è tragica, dunque è a partire dalla Nascita della tragedia e dalla complessa opposizione tra Apollo e Dioniso che bisogna comprendere l’esigenza espressiva del rock.
I titoli di alcuni capitoli, del resto, parlano da soli: Eraclito e Jimi Hendrix, Platone e i Doors, Diogene e Iggy Pop, Schopenhauer e i Nirvana, Nietzsche e i Queen.
Se Nietzsche intendeva filosofare con il martello, il rock ha fatto musica spaccando i timpani. E il gesto iconico di spaccare la chitarra – ormai pressoché in disuso perché forse spesso in passato anche abusato – è ripercorso nelle sue tappe essenziali nell’ultimo capitolo (prima delle appendici, in realtà parte integrante dell’opera), che offre il titolo al libro intero.
È qui che Scrima, dopo avere elencato i musicisti che della rottura di strumenti sul palco hanno fatto un’arte, si confessa. «La mia vita cambiò quando da ragazzino vidi Molko [cantante e chitarrista dei Placebo] sfasciare quella chitarra in diretta tv [al Festival di Sanremo del 2001] e poi quando incappai nel video di You Know You’re Right dei Nirvana, in cui Kurt Cobain distrugge la sua chitarra contro gli amplificatori».
Per l’autore del libro e per molti della nostra generazione (e delle generazioni passate), il rock probabilmente rappresenta la musica. Siamo forse dei nostalgici? L’annosa questione se il rock sia vivo o morto, può avere una risposta univoca?
Viviamo in un’epoca in cui tutto ci appare come postumo: postmodernismo, postumanesimo, poststoricismo, postrock. Probabilmente accade a questi fenomeni ciò che Hegel diceva dell’arte: è morta. Non tanto perché non ci sarà più, quanto perché non possiamo intrattenere con essa un rapporto immediato.
La morte del rock, ammesso che sia avvenuta, vorrebbe dire che non possiamo più avere con esso un rapporto immediato e dunque deve intervenire la mediazione, ossia la riflessione, il pensiero.
In fondo anche un libro come questo di Scrima lo testimonia: se è possibile una filosofia del rock, è perché il rock ha perso il suo effetto immediato. C’è bisogno dell’intervento mediato e meditato della riflessione. Quindi se il rock è morto, viva il rock!, come Scrima titola il primo capitolo.
Se dunque è morto, allora non se ne può che dire bene, se è vero che dei morti non si dovrebbe mai parlare male. A volte ritornano, è vero, ma forse sempre con un po’ di lezzo d’oltretomba addosso.
Può anche piacere, per carità. Ma se è vero che è morto, chi prenderà il suo posto? Ce lo stiamo chiedendo da vedovi inconsolabili, c’abbiamo voglia, sì, ma probabilmente è ancora presto per parlarne. Ci crogioliamo ancora un po’ nel lutto. Poi, qualcosa verrà, certo.
Saremo troppo vecchi, per allora? Forse, ma se siamo stati rocker, anche a modo nostro, anche solo per imitazione, non saremo mai vecchi per nulla.
Cateno Tempio
Recensione al libro L’arte di sfasciare le chitarre. Rock e filosofia di Stefano Scrima, Arcana edizioni 2021, pagg. 110, € 13,00