L’ispirazione arriva nei momenti più impensati. E’ capitato spesso che un libro mi fissasse dritto in faccia senza che io me ne accorgessi ed è esattamente quello che è successo con il mio ultimo romanzo, L’uomo che amava i libri.
Per molti anni, forse più di venti, ho tenuto corsi di lettura e di scrittura nelle carceri. Iniziai nella scuola pubblica e poi fui invitato a operare nel riformatorio del District of Columbia, dove gli studenti frequentano quotidianamente una scuola superiore esterna. Non che cercare di influenzare positivamente questi ragazzi fosse facile o particolarmente gratificante, ma chi insegna finisce per capire che il vero obiettivo da raggiungere è riuscire a recuperare almeno qualcuno. Poco dopo cominciai a frequentare D.C.Jail, l’equivalente della newyorkese Riker’s Island, dove i giovani che sono stati condannati per aver commesso crimini gravi aspettano di essere trasferiti in una qualche istituzione penitenziaria del sistema carcerario federale una volta raggiunti i diciotto anni di età. Io li aiutavo a migliorare le loro capacità di lettura e scrittura, ma poi finii per dilatare le mie attività organizzando dei gruppi di lettura con i detenuti adulti. Ci tengo a precisare che il mio impegno non era del tutto altruistico. In realtà ero come una spugna. Per un narratore entrare in una prigione, ascoltare le storie che i carcerati raccontano e cogliere la poesia nella loro voce, rappresenta una grande opportunità.
Col tempo ho conosciuto la bibliotecaria della prigione, una giovane donna che faceva quotidianamente del bene alla gente con cui entrava in contatto senza arricchirsi o metterla giù dura. Mi si sono aperti gli occhi quando ho visto come i detenuti rispondevano ai suoi consigli di lettura e soprattutto quale importanza avevano assunto i libri per loro. Così mi è venuta voglia di scrivere qualcosa sull’eroismo tranquillo e sulle lotte delle persone che hanno commesso degli errori e vorrebbero rifarsi una vita. Il romanzo americano parla spesso di chi raggiunge il successo, ma è molto reticente sulle piccole vittorie che si ottengono poco per volta, sulle conquiste che non hanno niente di grandioso, ma che sono fondamentali per la nostra crescita di esseri umani. Un giorno ho chiesto a un detenuto che cosa avrebbe fatto quando fosse stato rilasciato. ”Quando esco non voglio altro che un pacchetto di erba e l’iscrizione a una biblioteca,” mi rispose. L’uomo che amava i libri è nato da queste semplici verità. Naturalmente ho dovuto costruire una storia basata su tensioni e conflitti; non per niente sono uno scrittore di noir, cosa di cui mi ritengo orgoglioso.
Questo romanzo è una lettera d’amore ai libri e alla lettura. Da giovane ero piuttosto sbandato, ma posso dire in tutta onestà che la scoperta della lettura mi ha cambiato la vita. Anche i film e la musica hanno avuto un’enorme influenza su di me. Il punk rock, in particolare, mi ha dato il ‘permesso’ di diventare uno scrittore, insegnandomi che anche uno come me, che era impreparato e non aveva frequentato alcuna scuola di scrittura, poteva creare qualcosa di valido.
Al mondo non abbiamo nessuna garanzia, né quella di vivere a lungo, né quella di scrivere un altro romanzo. L’uomo che amava i libri è un ringraziamento ai miei maestri e ai miei lettori, una voce di speranza e redenzione in questi tempi di sofferenza.
George Pelecanos