Ho letto questo piccolo Trattato con curiosità antropologica e stupore; è una cronaca del Paleolitico, come se il Paleolitico non fosse mai finito, ma vivesse latente e operante sotto la cosiddetta civiltà moderna. Del Paleolitico non si può fare storia, c’è solo la memoria di fatti isolati ingigantiti dalla distanza temporale.
Ermanno Cavazzoni
Anni ’80: mentre i paninari si sono presi la scena in tutt’Italia, poco oltre confine, imperversano i picchiatori. È ciò che è dato di scoprire grazie a Breve trattato sui picchiatori nella Svizzera italiana degli anni ottanta, libro di Manuela Mazzi pubblicato da Laurana Editore nella nuova collana “Fremen”, diretta da Giulio Mozzi. Si scopre che, nel corso di meno di un decennio, ci fu un fiorire di piccole e grandi bande, in alcuni casi motorizzate, la cui principale attività era quella di menare le mani e farsi coinvolgere in risse spesso di notevoli proporzioni (e conseguenze). Manuela Mazzi esamina il fenomeno in maniera distaccata ma profonda, dando vita a un trattato che, in qualche modo, è anche una sorta di romanzo, partendo da un elenco quasi etnologico dei principali protagonisti – capibanda e massimi esponenti delle diverse aggregazioni – restituiti al lettore insieme a un vago alone mitologico. Così, tra gli altri, prende corpo il profilo del pugile Nitro, al secolo Matt Stehnmeier, divenuto picchiatore professionale, Carletto Fontana detto Swan, capo dei Biker di Soldano e vendicatore solitario per vocazione, o Rolando Genova, detto Boom Boom Rolly, anch’egli pugile. L’autrice racconta le loro storie, ne rievoca le “gesta” rimaste per certi versi leggendarie e in alcuni casi assurte all’onore della cronaca, e ricostruisce anche la storia delle diverse bande, tra cui la Banda del Portico, Quelli di Ronco, le Giubbe di cuoio, la Gang di Gordola, i Mesoraca Boys e i Furious, solo per indicarne qualcuna. Si scopre anche che le risse e i pestaggi possono essere catalogati come “Alla texana e per strada”, “Sfide d’onore e vendetta”, “Sul ring”, “Contro l’autorità e il servizio militare” e, in fine, come “Megarisse”. È in questa parte del libro che Manuela Mazzi si addentra maggiormente nelle “pratiche” dei picchiatori, ricostruendo episodi e vicende che, in qualche modo, costituiscono un corpus “storico” con un approccio che potremmo definire squisitamente sociologico. È la lunga galleria di cazzotti, bottiglie rotte e costole incrinate, infatti, che contribuisce a individuare e raccontare una generazione perduta, e con essa la sua re-azione nei confronti di un’esistenza mediocre e (forse) il suo vitalistico e violento tentativo di rivendicare un esser-ci demartinianamente inteso.
I picchiatori della Svizzera Italiana vengono fuori come violenti attaccabrighe, in certi casi circonfusi da un alone di romanticismo, come cavalieri di un onore di Serie B, pronti a sfogare coi pugni quella fase della vita che risponde ai sussulti della giovinezza, senza prospettiva e divorati dall’attimo. L’eco del loro passaggio risuona ancora nei bar, nelle discoteche e nei parcheggi d’oltre confine, e nelle osterie, dove si andava, prima di tutto, per fare a botte. Il motivo lo si trovava al momento, e spesso lo si inventava di sana pianta.
Manuela Mazzi, Breve trattato sui picchiatori nella Svizzera italiana degli anni ottanta, Laurana Editore, pp. 22, 18 euro