Qualche tempo fa mi è capitato di fare un servizio per una rivista d’arte su alcune foto scattate da un fotografo in alcuni dei musei più celebri del mondo, nei luoghi dove vengono protette, catalogate, schedate, custodite in attesa del restauro, le opere d’arte: quadri, statue, vasi, papiri, lance, spade, armature. Vengono tenute in casse e teche che le proteggano in posti speciali che potrebbero ricordarvi il magazzino in cui viene nascosta l’Arca dell’Alleanza alla fine del film “Indiana Jone e i predatori dell’Arca perduta” di Steven Spielberg e Georges Lucas. Anche a me è capitato di visitare un luogo simile: il Museo egizio del Cairo. Il ricordo di quando vi sono stato mi ha fatto riaffiorare alla memoria il perché mi piacciano così tanto le storie con misteri archeologici ma mi ha ricordato il mio primo incontro con i carabinieri e il mio ruolo di testimone in una loro indagine. Molti di voi mi conoscono come appassionato di letteratura di suspense ma devo svelarvi che i miei studi sono stati interamente dedicati al mondo classico e che mi sono laureato con una tesi su Marco Aurelio discussa con il professor Giovanni Reale dell’Università Cattolica di Milano guadagnandomi una laurea in Filosofia Antica con Specializzazione in Storia Antica. Solo leggendo “Il silenzio degli innocenti” di Thomas Harris e trovandovi la frase “semplicità agente Sterling, semplicità come sosteneva Marco Aurelio”, pronunciata dal raffinato e dotto serial killer Hannibal Lecter, ho capito che legame ci fosse fra i miei studi e il mondo del thriller di cui mi sono occupato. Prima però di uscire dall’Università, studiando Papirologia con il professor Sergio Daris, ho avuto la possibilità di recarmi in Egitto per un paio di settimane accompagnato dalla quasi ottantenne docente che aveva tenuto la cattedra per molti anni prima di lui. L’idea era che gli studenti potessero visitare molti siti archeologici seguendo il filo dell’esame che stavamo preparando, accompagnati per l’occasione da un team di egittologi.
E’ stata un’esperienza fantastica in cui ho vissuto davvero il senso dell’avventura, viaggiando sul Nilo a bordo di una feluca, rischiando di annegare in un nilometro, trovandomi a dormire nella stanza piena di scarafaggi di un operaio addetto alla riparazione della Diga di Assuan, restando bloccato con il pullman che ci trasportava per varie ore in mezzo al deserto mentre i militari controllavano i nostri documenti leggendo le nostre generalità davanti al fuoco di bidoni incendiati col petrolio. Fra le esperienze forti provate in quell’occasione c’è stata anche un’intera giornata fra le mura del Museo egizio del Cairo di cui visitammo tutti i piani, anche quelli non aperti al pubblico. L’idea dei nostri docenti era di coinvolgerci in un progetto speciale che prevedeva che alcuni di noi si potessero fermare in Egitto per dare una mano nella catalogazione dell’immenso numero di papiri non studiati che giacevano nelle stanze più segrete di quel luogo. Vedemmo decine e decine di casse piene di quei preziosi documenti scritti in greco, si perché la Papirologia studia esclusivamente i documenti in quella lingua mentre è l’Egittologia ad occuparsi della decifrazione dei geroglifici.
Mi mancavano solo tre esami alla fine del mio percorso, ma sebbene passare sei mesi al Cairo fosse una proposta allettante, preferii rinunciare a quell’opportunità che accettò solo una mia compagna che rimase in Egitto quasi un anno. Tornato a casa però accadde qualcosa che inquietò parecchio mia madre. Una delle sedi dei carabinieri di Milano dietro via Torino le telefonò chiedendo di me. Mia mamma cominciò a pensare che dovevo averla combinata grossa e mi fece un interrogatorio di quarto grado. Io sinceramente mi sentivo innocente e richiamai al telefono l’ufficiale che mi aveva cercato che mi convocò per un colloquio. Non mi anticipò nulla di quello che mi avrebbe chiesto. E così con un certo timore mi recai all’appuntamento. Mi fecero entrare in una stanza spoglia dove il mio interlocutore mi fece sedere una seggiola di legno.
“So che lei è appena stato in Egitto?”
“E’ stata una vacanza studio organizzata dall’Università?”
“Lei cosa studia?”
“Mi mancano tre esami per laurearmi in Filosofia con Specializzazione in Storia Antica”.
“E perché ha deciso di recarsi al Cairo?”
“E’ stata una proposta del professore di Papirologia che voleva che visitassimo i luoghi che stiamo studiando”.
“Si ricorda i nomi delle persone che erano con lei?”
“Beh ,eravamo una trentina di studenti, i nomi e i cognomi di tutti non me li ricordo”.
“Può almeno dirmi quello del suo compagno di stanza?”
In quel momento rimasi senza parole: cosa mai poteva avere fatto lo studente che aveva dormito con me per una decina di giorni?. Durante gli spostamenti e durante le visite ai siti dei faraoni il giovane archeologo che ci scortava ci aveva ripetuto più volte di evitare contatti con gli sconosciuti locali e ci aveva ricordato le normative riguardanti nello specifico i colpevoli di furto e uso di sostanze stupefacenti. Lo aveva fatto quasi spaventandoci specificando cosa poteva succedere nel suo paese a uno straniero che compisse un crimine e quanto tempo sarebbe occorso all’ambasciata per poter intervenire e tirarlo fuori di prigione. Ce lo aveva chiarito dandoci tutta una serie di consigli e avvertenze soprattutto per quando avremmo attraversato da soli il grande mercato del Khan el-Khalili. Ma cosa poteva mai avere combinato il mio compagno di stanza?
“Lo sa che il suo amico è uno studente lavoratore, vero?”
“Si, mi risulta che lavori alle Poste?”
“Lei però non sa che il suo datore di lavoro non gli aveva concesso il permesso per la vacanza in Egitto”.
“Non capisco?”.
“Il suo amico aveva chiesto 5 giorni di ferie, ma è rimasto in Egitto 12 giorni”.
Ero rimasto zitto.
“Io ho bisogno che lei mi chiarisca una cosa. E’ vero che il suo compagno ha avuto un attacco di dissenteria che lo ha bloccato per alcuni giorni e ne ha impedito il rientro in Italia?”.
“Ma perché lo sta chiedendo a me?”
“Perché è stata aperta un’inchiesta sul suo amico e noi dobbiamo interrogare tutti quelli che erano con lui per sapere se ha mentito o ha detto la verità. Se ha truffato il suo datore di lavoro perderà il posto”.
La sua dichiarazione mi spaventò. Effettivamente tutti noi per alcuni giorni eravamo stati malissimo in Egitto a causa della diarrea che avevamo contratto a causa di una bottiglia di Carcadè che avevamo spillato da un’anfora di uno degli alberghi dove avevamo soggiornato. La nostra golosità non ci avevamo portato a controllare la natura di quella bevanda che poi avevamo bevuto da una bottiglia a canna in pullman.
“Allora Crovi vuole rispondere alla mia domanda?”.
Raccontai quello che ci era successo dopo avere bevuto il Carcadè, e spiegai che solo l’assunzione di molte pastiglie di Bimixin era riuscita a bloccare le coliche in molti di noi e che qualcuno aveva anche avuto febbre e aveva dovuto persino rinunciare alla visita ad Abu Simbel prevista in quei giorni.
Il carabiniere continuava a guardarmi e a scrutarmi negli occhi.
Finita la mia deposizione mi rimandò a casa e nelle settimane sucessive convocò tutti gli altri miei compagni di viaggio.
La versione dei fatti raccontata da tutti fu la stessa e l’inchiesta sul lavoro venne chiusa dopo alcune settimane. Ma ancora oggi se ci penso mi viene il mal di pancia.
Luca Crovi