A volte, di rado, ti capita un libro che sembra parlare la tua lingua: è esattamente quello che avresti voluto scrivere. Così si crea una sinergica empatia tra autore e lettore: scopri che quel dialogo mai interrotto con il tuo inconscio e con le immagini, che trattiene e che ti attraversano alla ricerca del Sé autentico, si rispecchia nelle pagine di un libro. E ti senti meno solo.
È quello che mi è capitato leggendo il saggio della filosofa Margherita Pascucci, Il tempo tessuto di Dio, non solo perché sono una lettrice della Maraini, non solo perché sono cosiddetta “filosofa”, ma perché mi si è aperto un varco nella mente, una folgorazione simbolica. Insomma, una illuminazione montaliana. «Il varco è qui?» – recita il Poeta. Ebbene, lo si può trovare non solo tra gli scogli della Liguria, ma anche nelle pagine di un libro.
Il testo – tra saggio filosofico e narrazione – è un dialogo immaginario con Dacia, che si muove tra il tempo di Dio e quello degli uomini, strutturato in capitoli composti da quattro temi (lettera, saggio, dialogo, tratto). Nell’ultimo capitolo non c’è la lettera perché il lettore possa continuare il dialogo a tu per tu con la scrittrice.
Il linguaggio potrebbe sembrare ostico per i non addetti ma, se ci si lascia trascinare dalla corrente del pensiero e delle immagini, scorre via limpido con l’intento precipuo di gettare un ponte tra letteratura e filosofia. Apparentemente distanti, le due discipline «si appartengono proprio nel loro esprimere la comunanza tra il concetto e ciò di cui esso è concetto, la parola e ciò che lei nomina esprime».
La Pascucci analizza i temi cari alla Maraini e un po’ a tutti gli esseri umani: la conoscenza, la morte, il dolore, la libertà, il desiderio, la sensualità, il rifiuto. La vita, insomma…
I cardini cruciali delle domande esistenziali della scrittrice vengono affrontati soprattutto nei dialoghi tra M. (Mistero) e D. (Dacia), in cui si squaderna la condizione dell’uomo “gettato” nel Mondo con le vertigini e le rientranze del suo pensiero.
Si tratta di una operazione intellettuale, ma anche animica, in cui si sondano nel tempo dell’Eterno quei temi che Dacia riconosce come cari: sensualità e carnalità, carnalità e mistero, dolore, colore dell’anima, creaturalità. Si avverte pungente il dolore dell’anima che, pur con gli strumenti della creaturalità, libera il surplus delle immagini inconsce e si ritrova davanti a se stessa attraversata dai quesiti ineludibili.
Si dice che lo scrittore migliore è quello che più cestina i personaggi creati dalla fantasia, o da questa rivitalizzati, per passare a liberare altri sensi al nostro pellegrinare. In questo Dacia è maestra: la sua copiosa produzione è «una tessitura del tempo».
Il tempo, secondo Pascucci, è il nerbo su cui gli scritti si innervano. Il tempo passa di continuo da orizzontale a verticale, liberando e creando, in un movimento indefesso dell’immaginazione, che con la scrittura «affanna e consola».
Scrivere è un atto etico e politico, non dissimile da quello del filosofare: Platone sognava una Repubblica governata dai filosofi; Aristotele parla di “animale politico”. Le opere della Maraini citate dalla autrice – Marianna Ucrìa, Chiara, Veronica, Memorie di una ladra, Diritto di morire – sono espressione della dimensione etica e politica, che certo le appartiene in quanto intellettuale impegnata nel sociale e nella difesa della dignità umana, uguale per tutte le creature, libere di scegliere come vivere e come e quando morire.
La morte non le fa paura. «Sono a lei più vicina, di notte, è vero, ma in modo più leggero – dice D. a M. – come se entrassi lieve in un’altra dimensione. Come se morire fosse un modo di aderire alla vita, di abbracciarla senza farsi male. In fondo siamo tutti condannati alla morte. Se il carceriere lo stringi a te quando meno se lo aspetta, non sarà più mite e caritatevole? La morte in sé non mi spaventa. Sono i passaggi che comportano fatica e umiliazione. Piombare nelle mani altrui, non poter decidere di sé con il corpo mutilato, segnato dalle età e dalle ferite, incapaci di dominarlo, arresi e straziati dalla nostra intima nudità. È questo che mi preoccupa» (La grande festa, passim).
Non è la morte da temere – pensa come Epicuro – «quando lei c’è, noi non ci siamo, quando ci siamo noi, lei non c’è; il passaggio da una dimensione all’altra, sì, la malattia e la vecchiaia, certo: per questo, Dacia si è sempre spesa a favore dell’eutanasia (Diritto di morire)».
La scrittura, al pari dell’arte, della poesia e dell’amore e, perché no, del filosofare, eterna il passaggio su questa Terra e rende la morte un cambiamento di condizione: si resta vivi se abitiamo il ricordo degli uomini cari. Anche questo unisce letteratura e filosofia: perché, chi mai potrà dimenticare il Mondo delle Idee di Platone o i romanzi della scrittrice italiana più tradotta nel Mondo?
Pascucci, con questo testo impegnativo, originale, profondo ma fluido, rende omaggio a Dacia come se fosse il suo alter ego. Consigliato ai filosofi, ma anche a chiunque voglia saperne di più sulla letteratura come atto creativo, catartico.
Giovanna Albi
Recensione al libro Il tempo tessuto di Dio di Margherita Pascucci, Il ramo e la foglia 2021, pagg. 176, € 15,00