Quando raggiungi l’essenziale la vita diventa un’avventura, questa è una cosa che ho imparato.
Enzo D’Antonio, con il suo ultimo romanzo dal titolo Un’osteria a Milano, edito da Milieu edizioni, ci racconta la storia di Gigi Lobo, un giornalista di cronaca rosa che, stanco di stare alla costante ricerca di scoop insignificanti, decide di prendere servizio come barista in una squallida osteria.
Così comincia un’avventura ricca di colpi di scena, di surreali disastri e inaspettate amicizie.
A suo modo, questo è un romanzo di formazione. Gigi Lobo fa una scelta radicale di quelle che sembrano il preludio della catastrofe.
Oste, non è il mestiere più quotato in una società fatta di vuote apparenze, che sembrano contare più della più solida necessità.
Eppure la scelta di Lobo si rivela di quelle in grado di aprire mondi.
Le persone lo sono, i più inaspettati pianeti.
Come Jimmy Ceviche, un cuoco peruviano che lotta all’arma bianca brandendo un peperoncino amazzonico. Un personaggio, questo, che diventa parte dell’immaginario del lettore.
E poi Eliane, un trans estremamente affascinante, con poteri medianici.
Ma i personaggi sono tanti e tutti esilaranti. D’Antonio trascina il lettore in una trama degna dei fratelli Coen.
Si prova invidia per Gigi Lobo, per le sue avventure e, leggendo, si finisce a riflettere sulla propria vita, sulle scelte fatte e su tutte quelle storie, quelle canzoni su Milano, come Luci a San Siro, o Milano e Vincenzo, in cui Alberto Fortis chiedeva – schiavo – a Milano di fare ciò che voleva di lui.
Milano che si porta dietro la malinconia della nebbia, delle città del nord che, per chi è cresciuto a sud, per chi guarda alla vita a sud, avranno sempre qualcosa d’incomprensibile perché vittima di un ritratto imposto, non voluto, che la vuole super efficiente, costosa e così impegnativa che anche uccidere, a Milano, diventa uno svago da riservare al sabato.
Milano, uno spreco buttarla via in cliché. D’Antonio, invece, ci riporta tutto il mondo della sua periferia, con la folle multietnicità che la caratterizza. Una città piena di fascino, di storie. Più simile a quella di Pinketts che a quella di Scerbanenco.
Una città come la raccontava il miglior Capossela, piena di sbandati innamorati della vita, troppo bevuti, troppo incasinati per non costringerci ad amarli perché la vita è una palude dalla quale si esce solo se, allungando una mano, qualcun altro l’afferra.
Pierangelo Consoli
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Enzo D’Antonio, Un’osteria a Milano, Milieu Edizioni, pp. 224. Euro 15,90