È una ragazza molto bella, è una madre combattente, è una donna dai contorni sfumati eppure scolpiti nelle cicatrici di un’Argentina degli anni ’70 sfigurata dalle lotte rivoluzionarie.
È una ragazza molto bella, appunto, ipotetica incarnazione di Maria de los Remedios del Valle, una donna in continua lotta con la dittatura e i militanti per l’indipendenza di una nazione ma è anche, soprattutto, prima di ogni altra cosa, una madre.
Il figlio ha soli sette anni, la ragazza molto bella lo tiene per mano, entrambi non hanno nome, portavoci universali di una nazione disorientata al limite del collasso. Lui non smette di osservarla, Venere e musa invocata da quell’unico mantra ripetuto all’infinito. Donna indipendente, tenace, imperfetta, fulcro di attenzioni e pulsioni ai limiti dell’ossessione. Madre e figlio, un unico organismo in balia di giornate intrise di vertigini e parole non dette. Il romanzo procede per sottrazione, dilata il tempo, si focalizza sui dettagli, come in un sogno al limitare dell’alba, tutto appare candido, liquido, intangibile, un arazzo dalle tonalità pastello atto a celare “altro”. Il dramma storico si fa da parte, ne intuiamo la presenza ma l’autore sceglie di concentrarsi sulla bellezza del momento, sulla nitidezza di un ricordo, un profumo inatteso, uno sguardo rubato. Le parole respirano sulla pagina senza nascondere il dramma politico: il pericolo esiste, ne siamo consapevoli, ma la repressione si può e si deve combattere anche con la bellezza di una letteratura dettata dalla suggestione dell’attimo. Il ricordo dei pomeriggi trascorsi a chiacchierare davanti a un enorme ice-cream soda, progettando immaginifici viaggi in Olanda, contemplando in devota soggezione le movenze di quella donna affascinante, intenta a leggere il giornale, bere tazze di caffè nero doppio e fumare le sue immancabili 43/70. L’apparente tranquillità di un presente che trattiene le ombre, i momenti di solitudine, quando la ragazza sparisce per questioni a noi precluse ma di cui possiamo intuirne le ripercussioni. L’attesa di un figlio, un rapporto viscerale di intima e reciproca assuefazione. La ragazza molto bella è una lettrice vorace, il suo punto di vista acuto è il simbolo di resistenza di un’intera classe media che negli anni Settanta stava andando a ingrossare le fila dei nuovi poveri. Poco sappiamo di quelle persone, giovani uomini e donne passati alla storia come desaparecidos, gli “scomparsi”, e poco di più sapremo a lettura conclusa. Il pericolo è lì, ne percepiamo l’incombenza tra le incrinature della routine, da una fugace fotografia di Che Guevara attaccata con una puntina alla parete rossa del soggiorno, il sottotesto è bollente ma quello che traspare da questa prosa onirica e dilatata è il punto di vista del ragazzo. I suoi ricordi. Noi siamo lui, vediamo come lui. I suoi occhi adoranti diventano i nostri, abbattono confini anagrafici e geografici. Ci sentiamo persi e disorientati senza poter stringere la mano di quella donna, torniamo a respirare nella potenza della sua presenza, nei momenti gioiosi del ritorno, nella banalità dei gesti da cui traspare un affetto adulto, a tratti malizioso, in quel suo modo voluttuoso di spostarsi la folta chioma da una parte all’altra come il drappo di un torero, nel candore diafano della sua pelle, una porcellana luminosa che la faceva brillare di quella stessa luce che traspare dal testo. I movimenti militari e le insurrezioni restano sullo sfondo, non c’è politica in questo romanzo eppure è la politica ad averne richiesto l’esistenza.
Con una prosa toccante frutto di una maestosa padronanza linguistica (merito anche dell’ottimo lavoro di traduzione a cura di Sara Papini), Julián López ci trasporta in un territorio letterario che mostra senza esplicitare, che trascende il genere, che affascina senza ammaliare, riempiendoci gli occhi di una tavolozza sfumata, i cui dolcissimi contorni resteranno impressi come quello stesso senso di sospensione che attraversa le visioni del giovane protagonista, in un abisso di nostalgia e commozione per quelle giornate soleggiate in cui il sorriso incrinato di quella ragazza molto bella era un rifugio abbagliante per i sensi ma anche il presagio di un’indipendenza minacciata.
Stefano Bonazzi
Julián López
Una ragazza molto bella
trad. Sara Papini
Alessandro Polidoro Editore