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Per Gianni Celati

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Cvetaeva descrisse Pasternak come un incrocio fra un cavallo arabo e il suo cavaliere; Celati era un pastore tedesco e il suo pastore (geniale senza gregge). L’ultima volta l’ho incontrato a Bologna, una conferenza fra ventenni mascherati da rivoltosi all’università, 2010 direi. Sala senza luce, fumosa e umida; mi fece un ragionamento così slegato che non ammetteva dialogo, ma le idee chiare sugli epigoni e Swift l’aveva. Non ricordo chi, forse Belpoliti o Martinelli o Ermanna Montanari, mi riportarono le sue parole quando abbandonò l’accademia (gli accademici a dire il vero) e tutti gli chiedevano: E adesso cosa farai? Disse: Mi guadagnerò la giornata onestamente.

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Il viaggiatore torna in patria. Scritto in un caffé di Roma, tre mesi dopo il ritorno in Italia

Torna da vecchio in patria il viaggiatore

e guarda il suo paese ritrovato,

ora inospite, triviale, deturpato,

in mano a furbi senza alcun pudore:

fogna di massa, paese d’orrore

e di vergogne da togliere il fiato,

con quei somari del televisore

che fan del più fetente il più quotato.

Con chi scambiare idee in tal squallore,

dove impera il maramaldo unto e beato?

Cosa fare in balia d’un truffatore

che aizza tutto il popolo intronato?

Che dire? È in fogne, fango e brulicame

che fa carriera il Badalucco infame.

Da “Sonetti del Badalucco nell’Italia odierna”, Feltrinelli, 2010.

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