Maizo, il nuovo lavoro di Elena Giorgiana Mirabelli edito da Zona 42 nel 2021 nella collana 42nodi a cura di Chiara Reali, è una novella che racconta le vicende di tre adolescenti, Mitja, Eco, Clio, ospiti di una casa di correzione morale dalla quale fuggono alla volta del loro desiderio. La voce narrante è quella di una tartaruga mentre l’autrice interagisce con la storia per mezzo di note redatte «dopo una serie di colloqui diurni e notturni con i protagonisti della fuga e la loro portavoce, Maizo.» Le sezioni in cui è suddivisa la novella sono altrettanti punti di vista sul mondo e sulle cose dei tre protagonisti: la trama è il pretesto per uno studio sul linguaggio, sulla struttura dello scritto, le note a piè di pagina segnalano la presenza dell’autrice che sta dentro e fuori la narrazione, sulla soglia, né personaggio né regista, nella delicatezza dell’ascolto partecipe e imparziale. E l’autrice in carne e ossa ha davvero vissuto in prima persona certe dinamiche che nella novella vengono raccontante distorte, articolate in finzione. Maizo è una favola, ma anche un documento della condizione minorile degli ospiti di una casa famiglia, Maizo è gioco di rimandi tra metatestualità e un narratore attendibile ma inatteso.
La capacità di Mirabelli è quella di trasformare un presente realissimo in un poco precisato tempo distopico deformato. Il desiderio, più che spingere l’azione, è l’oggetto sconosciuto – altra tematica forte degli adolescenti in strutture in cui il desiderio dell’ospite è sempre quello dell’altro, della legge – di cui si va alla ricerca. Gli spazi angusti delle stanze sono contrapposti al luogo aperto della campagna e del bosco: alla legge castrante e quadrata si oppone l’orizzonte della liberazione e del labirinto. La visione del mondo che Mirabelli ci offre non è edulcorata ma reale, sincera e cruda, come solo quella dei non ancora adulti sa essere. La grande Cerimonia, che realizzerà i sogni dei tre protagonisti, è anche quello spazio bianco della scrittura che accoglie l’occhio desiderante di chi legge e di chi ha, come viaggiando nell’ulteriore stare al mondo di sé, scritto.
Gianluca Garrapa
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«Le note sono state redatte da Elena Giorgiana Mirabelli dopo una serie di colloqui diurni e notturni con i protagonisti della fuga e la loro portavoce, Maizo», ci avverte il testo ed è un’indicazione straniante. Anche in Configurazione Tundra, la storia giocava con le chiusure di una legge e le possibilità di un desiderio liberatorio, anche la narrazione era accompagnata da una serie di indicazioni, equazioni, grafici, e note a piè di pagina: qual è il loro senso in questa novella?
Grazie, anzitutto, per la domanda che permette analisi retrospettive. Se in Configurazione Tundra le note erano, per così dire, interne alla narrazione – erano utili a Diana per chiarire il funzionamento della città lineare a chi avesse trovato il suo manoscritto – in Maizo assumo la posizione di testimone. Sono dentro e fuori la storia, perché mi sembrava giusto avere una distanza ravvicinata con Mitja, Eco, Clio e Maizo. Da qui la mia dichiarazione in apertura: la testimonianza. In CT le note amplificano la freddezza del tono, in Maizo contribuiscono a dare un calore e un colore differente alla storia. Dove in CT c’era l’acciaio, qui c’è “latte e vapore”.
«Prima del bosco erano nella casa. Indossavano tuniche bianche.» È la tartaruga Maizo a parlare e si riferisce ai tre ragazzi in fuga dalla casa: come nascono i tuoi personaggi e in particolare come è nata l’idea di assegnare la voce narrante a una tartaruga?
Avevo già scritto una storia con dei ragazzini – una fiaba horror uscita per L’Indiscreto – ed ero ancora interessata al mondo dei ragazzini. Credo sia stato il desiderio di raccontare una storia ottimista e il mio amore per Il Mago di Oz a fare il resto.
La scelta della tartaruga è stata immediata. Volevo stare a livello di caratteri pieni di immaginazione e fra gli animali ho scelto quello più legato al mondo sotterraneo.
«È convinto che Matilda abbia organizzato una squadra per riportarli nelle celle e punirli, ma Eco dice di non preoccuparsi, Matilda si sarebbe scordata di loro.» L’estratto è della sezione dedicata a Mitja. Tu hai conosciuto, in qualche modo, l’ambiente in cui vivono i personaggi della tua storia: cosa ne pensi del rapporto tra legge, punizione e desiderio negli ambiti delle strutture che ospitano adolescenti difficili?
Sto imparando a conoscere soprattutto gli Istituti di pena, luoghi dedicati al controllo dei corpi, alla punizione e censura dei comportamenti errati.
Il luogo di costrizione è iper-regolato, i protocolli sono irrigiditi, il desiderio è negato. Le relazioni affettive si riducono ai colloqui, alla corrispondenza o alle conversazioni telefoniche in cui gli argomenti riguardano soprattutto questioni pragmatiche.
Contraria all’idea stessa della punizione, mi chiedo quali siano le condizioni di possibilità di quel tipo di errore che richiede una forma di correzione, e mi chiedo se il controllo del corpo e del suo desiderio non faccia che esasperare quelle condizioni e innescare un circuito vizioso. Non ho esperienza delle strutture che ospitano gli adolescenti difficili, ma ho la sensazione che le grammatiche non siano dissimili. In Maizo risuona questo: la punizione diventa un destino, in taluni casi è quasi inevitabile; se sei povero, se provieni da un certo quartiere periferico, se la tua famiglia ha un certo tipo di storia devi necessariamente sbagliare. E se sbagli devi essere punito, controllato, imbrigliato.
«Non pensavamo che quei campi fossero pieni di vita, che accanto al bosco ci fossero case e orti, che ci fosse lavoro. Eravamo abituati a un territorio fatto di palazzi e zone industriali. Adesso l’orizzonte era più ampio ma non meno pericoloso.» Non solo nella sezione dedicata a Clio, da cui l’estratto, ma in generale tutto il testo si confronta con labirinti mentali e fisici, luoghi aperti e ambienti segreganti. Un contrasto che alimenta l’andamento variegato del tuo racconto. La città, il bosco, anche come metafore, sono presenti e s’incarnano nell’immaginario dei tre protagonisti. Che legami ha la tua scrittura con il territorio?
Mi piace far dialogare i caratteri con il territorio, mi piace rendere il territorio non solo un contesto o un fondale, ma un altro tipo di carattere, con una voce, un’attitudine.
La città e il bosco sono nello stesso tempo pericoli e orizzonti di possibilità, ma sono soprattutto organismi. La città lineare incideva sui comportamenti e sullo sviluppo dell’affettività, il bosco rappresenta tutto ciò che intimorisce e seduce.
«Ma dai ciliegi cola fuori la resina,
a volte nera a volte gialla,
con milioni di formiche rosse
che ci strisciano sopra.
David Lynch, io vedo me stesso
Traduzione di Marco Borroni»
In esergo al libro c’è questo estratto del notissimo regista. In seguito, scopriremo che la Cerimonia è legata a un particolare aspetto della ritualità per così dire artistica: ci sono state delle influenze extraletterarie, per esempio cinematografiche o teatrali, per la nascita e la costruzione di Maizo?
Alcune sono direttamente legate a Maizo, altre invece risuonano in Maizo perché appartengono in modo netto al mio immaginario: i manga Devilman e Ashita no Jō e gli anime Made in Abyss e The Promised Neverland; il Lynch di Cuore Selvaggio, i testi di Kurt Cobain, il cinema di Marco Ferreri ed Elio Petri – sempre – il fumetto Calvin&Hobbes.
«Eco li ha raggiunti, non si è sdraiata accanto.
– Qual è il tuo desiderio? – ha chiesto.» La novella insegue il desiderio sconosciuto dei tre ragazzi, è un desiderio che però, come oggetto, resta sconosciuto, forse perché è la prima volta che hanno incontrato davvero la libertà di essere sé stessi. La tua scrittura che rapporto ha con il desiderio?
È davvero una strana e bellissima domanda, grazie: per me il Logos è Eros.
«Mitja non aveva mai visto quel dato. Clio ha scritto:
Mitja ha messo in bocca il pezzo di carta, lo ha masticato e ingoiato chiudendo gli occhi, dice di aver capito.» Qui la scrittura diventa qualcosa di materiale, non solo il foglio che Mitja mastica e ingoia, ma proprio l’idea di esprimere in forma logica le immagini del pensiero. È una pratica molto filosofica. Ma come è nata l’idea del Sillabario di Clio?
In prima stesura avevo affidato a Mitja la scelta di creare un codice. Poi ho capito che il codice poteva appartenere solo a Clio e alla sua scelta del silenzio.
Il Sillabario, così, diventa non solo uno strumento comunicativo, ma una caratteristica di Clio, il suo modo di essere, l’azione creativa che più può raccontarla. Nel Sillabario c’è l’infanzia di Clio, la sua attitudine immaginativa, il suo bisogno di condividere segreti, il voler, semplicemente, andare altrove e deviare.
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Elena Giorgiana Mirabelli, Maizo, Zona 42 ed. 2021, collana 42 nodi a cura di Chiara Reali