Torna in Italia, per Iperborea, il premio Nobel islandese Halldór Laxness con il romanzo Paradiso Ritrovato con la traduzione e la curatela di Alessandro Storti. Il capolavoro di Halldór Laxness è un romanzo intriso di una pungente ironia che segna un confine tra i vari elementi che compongono il testo; per esempio il crudo realismo inframmezzato da atmosfere fiabesche e magiche o dalle più spericolate peripezie girovaghe tipiche dei picari dei racconti popolari.
Il romanzo è incentrato su Steinar di Hlíðar che passa la sua esistenza nelle gelide terre d’Islanda in un tempo sospeso tra progressismo e riscoperta degli antichi valori e del folklore nazionale. In possesso di un cavallo che reputa magico il contadino Steinar decide di farne dono a Re Cristiano di Danimarca, ma la reazione della corta reale spezza l’incantesimo del mondo ovattato dalle fiabe di Steinar e lo conduce a brancolare nel nulla finché non trova conforto nelle parole di un predicatore mormone, e forse proprio in quelle omelie speranzose e nei discorsi allucinati del predicatore che Steinar ritrova il suo paradiso e decide di lasciare la sua terra per raggiungere lo Utah.; si troverà così nel Regno Millenario di Salt Lake City circondato da poligami e vivendo il rapporto con la terra straniera come un picaro allo sbaraglio mentre sua figlia rimasta in patria sarà vittima di circostanze infelici e disgrazie. Miscelando l’autobiografia e le esperienze di viaggio in America a un densissimo repertorio retorico e metaforico di speculazione sociale Halldór Laxness ricontestualizza la figura della donna nelle sfere civili e individuali che per tempo sono state monopolio del patriarcato a cui si aggiunge una nuova riflessione che porta a decostruire il mito dell’America ma senza far trapelare un nichilismo aprioristico e inutile, Halldór Laxness ci restituisce una verità autentica perché il vero paradiso è figlio della gioia e anche delle disillusioni.
Cristiano Saccoccia
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La cultura nazionale islandese non era ancora abbastanza aggiornata nel Romanticismo da spingere la gente delle campagne, nei giorni festivi d’estate, a fare gite paragonabili alle camminate nei boschi che erano usuali in Danimarca, come sarebbe avvenuto in seguito. A quell’epoca, nelle zone rurali era ancora assai malvista qualunque attività cui dedicarsi per il solo gusto di farlo. Il re di Danimarca aveva per decreto abolito gli svaghi in Islanda da circa un secolo. Il ballo era considerato figlio del demonio e non veniva dunque praticato da generazioni. Pareva riprovevole che giovani non sposati si pestassero gli alluci a vicenda per scopi diversi da quello di generare figli illegittimi. Ogni forma di vita doveva avere una sua utilità, a maggior gloria di Dio. Eppure il calendario prevedeva giorni di festa. Una delle grandi ricorrenze era il cosiddetto «tempo dell’ovile», ossia il periodo in cui gli agnelli ormai svezzati venivano sottratti alla madre. Accadeva verso mezz’estate, quando c’era il sole anche di notte. Giorno e notte, per far cosa gradita al Signore, s’ingaggiava una gara di corsa con le pecore, e l’aria vibrava di belati acuti. Belano in maggiore, gli ovini. La lingua dei cani penzolava ventiquattr’ore su ventiquattro, e molti perdevano il latrato. Dopo che gli 23 agnelli erano rimasti separati dalla madre per qualche notte, venivano finalmente condotti in alpe. La procedura era chiamata «andare in monte d’agnelli». Era una processione solenne per tutti tranne gli agnellini stessi. Si passava l’intera notte a guidare ovini, per buona parte lungo il fiume, crinale dopo crinale, finché non si spalancava l’altopiano, tra monti ignoti e ignote acque a separarli e a rispecchiare un ignoto firmamento. Questo era il mondo delle anatre selvatiche, con le quali l’agnello doveva condividere le delizie delle terre selvagge per tutta l’estate. Qui si sentiva l’alito dei ghiacciai, tanto che a Snati veniva da starnutire.
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Halldór Laxness
Paradiso Ritrovato
Iperborea 2022
Traduzion di Alessandro Storti
352 pagine
19 euro