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Federico Jeanmaire. Più leggero dell’aria

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Il patchwork è una particolare tecnica manuale, grazie alla quale si ottiene una coperta cucendo toppe di diversa forma e tessuto. Alla fine si ottiene una trama, un disegno.

Ho sempre immaginato il patchwork come una metafora interessante di come si struttura una storia. I personaggi e gli eventi sono toppe di diversa forma che lo scrittore dovrà far conciliare e tessere insieme fino a creare un disegno unico.

Allo stesso modo, io credo, ogni libro, ogni parto dell’umana fantasia su carta, sia legato ad un altro del tutto diverso fino a creare un disegno unico, un corollario di storie. Dai racconti rupestri fino alla fine del mondo, ci resterà un solo tessuto narrativo, una trama che troveremo rinnovata con pochissime differenze.

Leggendo Più leggero dell’aria, singolare monologo dell’argentino Federico Jeanmaire, edito da Pessime idee e tradotto da Carlo Alberto Montalto, ho pensato molto ad un altro libro a questo distante eppure vicino per diversi motivi.

Il libro in questione è Oltre il confine celebratissimo secondo capitolo della Trilogia della Frontiera di Cormac McCarthy.

In questo, il giovane Billy Parham cattura una lupa e, piuttosto che ucciderla, la addomestica. Un boccone alla volta, a piccoli passi, si conquista la fiducia della bestia. Si crea, tra loro, un legame talmente forte che il ragazzo metterà in gioco la sua vita pur di riportare la lupa oltre quel confine cui lei appartiene.

In Jeanmaire, invece, è la vecchia Rafaela a catturare il giovanissimo Santi che, entrato nel suo appartamento per derubarla, si ritrova chiuso in bagno.

Come Billy Parham, Rafaela nutre il giovane selvaggio e ne conquista la fiducia e l’attenzione. Santi diventa prigioniero di una storia perché Rafaela pretende di raccontare al ragazzo di come sia morta sua madre e della vergogna di suo padre. Solo ascoltandola, si guadagnerà la libertà.

Le similitudini tra i due libri, però, finiscono qui, perché quella di Jeanmaire è una storia argentina, la storia di un paese che non è l’America e non è neppure il Messico. È un monologo, non a caso e la voce altra, quella dei prigionieri, quella non ufficiale solo trapela, ci arriva di rimbalzo e la dobbiamo, la loro versione, immaginare, ricostruire per risposte e silenzi.

Il peronismo, la dittatura, i desaparecidos, e tutta la claustrofobia che evocano questi ricordi collettivi aleggiano nell’appartamento di Rafaela sono i fantasmi che si affacciano nel suo racconto. Qui non ci sono i grandi spazi, le pianure sconfinate e la libertà selvaggia, che invece sono il motore delle storie di McCarthy.

Rafaela è una donna la cui cattiveria, la cui meschinità è esacerbata dalla solitudine. È una donna invecchiata male per non aver vissuto. La paura, le sconfitte, l’hanno ridotta ad una monologante. Ogni assassino è un soggetto monologante, che si racconta la propria versione e si convince della giustizia di cui si fa portatore.

Rafaela è il simbolo di un regime che opprime i selvaggi per il loro bene, che pretende d’istruirli con la cura della pena.

La versione di Rafaela è la sola presente, incontestabile. Se Santi si ribella non mangia, se non ascolta, se non si riabilita, non esce dalla prigione.

È una storia tremenda, quella che ci racconta Federico Jeanmaire, e la scelta di una vecchina di novantatré anni come carnefice, non fa che acuire il senso di straniamento che il lettore prova. Rafaela è incredibile. Per quattro giorni continuerà a raccontarsi, a inveire sui Gaucho, sul mate, sugli uomini. Dorme, si sveglia, mangia e poi torna a tormentare la sua vittima con le parole. Il lettore diventa colui che assiste inerme, come nei trabocchetti di Milgram, i suoi sadici esperimenti sull’obbedienza e la deresponsabilizzazione. Scorrendo le pagine, sappiamo che arriverà la domenica, che sarà l’ultimo capitolo e ci convinciamo che ci sarà un lieto fine, però questa è una storia argentina, lo abbiamo detto all’inizio, non è una storia americana e la cosa bella delle storie argentine è che non ti devono conquistare, non ti devono aprire il cuore e regalare speranza; piuttosto ti brutalizzano, ti lasciano devastato e svuotato.

Di tutto il creato, l’uomo è la bestia peggiore, l’unica veramente cattiva, quella sadica, perché è l’unica in grado d’immaginare il peggio.

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Più leggero dell’aria, Federico Jeanmaire, Pessime idee, 2022, pp. 172, euro 18.

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