Bandito, pubblicato da Iperborea (traduzione di Luca Tapparo) è il nuovo romanzo, da oggi in libreria, di Selma Lagerlöf, preminente scrittrice svedese, prima donna vincitrice del Nobel per la letteratura nel 1909 e membro dell’Accademia Svedese. “C’era una volta una leggenda che voleva essere raccontata e andare per tutto il mondo” raccontava la “narratrice epica” svedese in merito all’origine della sua prima opera, la leggenda di Gösta Berling, accolta dal pubblico come una saga, La Saga di Gösta Berling (Iperborea), libro trasposto nell’omonimo film muto di Mauritz Stiller e interpretato da una giovanissima Greta Garbo. E la sua opera letteraria è “andata per tutto il mondo” con liricità, delicatezza nonostante il Tutto, perché siamo il Tutto. Bandito è il protagonista del libro, Bandito dalla chiesa, dalla comunità, dalla Vita “unica cosa che può opporsi alla Morte e che è la sua perenne e fedele nemica.” Sven Elversson, affidato da bambino a una coppia inglese facoltosa e depositario di un’educazione aristocratica, fa ritorno, dopo una spedizione inglese al Polo Nord, dai suoi genitori biologici, Joel e Thala, nell’arcipelago occidentale della Svezia, sull’isola di Grimö. Il ritorno a casa, tuttavia, non lo aiuta a salvarsi da quel gatto “che se ne sta in agguato ovunque vada e che di punto in bianco gli salta alla gola”, da quella disgrazia che “è la più grande disgrazia. Quel che stato è stato. E non c’è miracolo che possa impedire a quel gatto di attaccarlo”. Una parabola lacerante quella che percorre Sven, mite e compassionevole, “pronto alla sottomissione e alla sofferenza”, accogliente del disgusto, dell’orrore dell’altro e, tanto più, di sè stesso in quanto “nessuno di voi è consapevole quanto me di quello che ho fatto, quello contro cui ho peccato” per un atto privo di redenzione. Sebbene la violazione di un corpo “senza Vita” lo abbia reso prigioniero del sogghigno della Morte, è l’abuso di potere della stessa Morte, con la ferocia della Prima Guerra Mondiale, che insinua interrogativi e riflessioni nella comunità. “La guerra, le sue atrocità e tutte le innumerevoli disgrazie che avevano colpito quella comunità di pescatori avevano portato tutti quanti a giudicare con più indulgenza Sven Elversson e il suo crimine. E si teneva anche più in conto gli sforzi che aveva sempre fatto per aiutare gli altri e riabilitarsi.” Pagine che echeggiano potenti, oggi più che mai, come denuncia contro ogni lesione alla libertà, alla dignità, alla vita dell’essere umano, e come celebrazione del rispetto del quinto comandamento che “è il comandamento dell’amore per il prossimo e la chiave di tutti gli altri!”.
Claudia Caramaschi
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La Naiade
Qualche giorno dopo Natale, il giovane Joel tornò a Grimö con un messaggio di Olaus di Fårö, che chiedeva se Sven Elversson
aveva voglia di partecipare a un’uscita di pesca alle aringhe sulla Naiade, il peschereccio del suo equipaggio.
«Dice che tanto secondo lui non verresti mai preso a bordo da nessun altro», fece il giovane Joel. «Dato che sei mio fratello, ti devo però avvertire: non sono la miglior compagnia, gli uomini che navigano con Olaus.» La madre disse subito che era fuori questione che Sven si mischiasse con gentaglia del genere, ma il padre sembrava avere un’altra opinione.
«Dopotutto, non sarebbe così male se Sven imparasse a pescare come si fa qui da noi sulla costa», disse. «E poi, come dice il piccolo Joel, non ti sarebbe facile entrare in un altro equipaggio.»
«Non parlerai mica sul serio, Joel!» si ribellò la moglie. «Chi può sapere che intenzioni hanno quelli lì a invitare così tutt’a un tratto Sven? Sarà di sicuro qualche altra nuova infamia che si sono inventati.» «Be’, volevo solo dire che è un peccato che Sven non possa andare a pesca», convenne Joel senza più insistere. Ma a Sven tornarono subito in mente le parole che il padre aveva detto la Vigilia di Natale, e il sospetto che volesse allontanarlo da casa gli si insinuò dentro.
«Saluta Olaus e ringrazialo dell’offerta», rispose perciò al fratello. «Sono contento che mi voglia con sé. Partirò per Fårö non appena possibile.» «E allora tanto vale che vieni con me adesso», disse il giovane Joel, «così puoi anche prenderti tutta l’attrezzatura nel mio negozio. Abbiamo ricevuto un telegramma stamattina, che le aringhe stanno arrivando a banchi su a Smögen. Per domani si saranno sparpagliate in tutte le direzioni.» Ci fu per un certo tempo una gran confusione di preparativi ma, partiti i due fratelli, Joel e Thala si ritrovarono di nuovo soli. Passò qualche settimana senza che nessuna notizia di Sven giungesse a Grimö, ma poi una domenica comparve in visita il giovane Joel. Thala era ansiosa di sapere com’era andata tra quegli uomini di Fårö e Sven, se non l’avevano ammazzato di botte. «Non ho sentito altro», rispose il ragazzo, «che quello che dice la gente: che prima sulla Naiade c’era uno che era stato complice d’infanticidio, un altro che aveva fatto morire di fame la nonna, un terzo che aveva causato un incendio, un quarto che non aveva mai fatto altro che rubare pesce dalle reti altrui, e due che si bevono regolarmente tutto lo stipendio. E adesso che si sono presi a bordo uno che ha mangiato carne umana, la compagnia è al completo e non si potrebbero mettere insieme più canaglie su una sola nave. Ma direttamente da Sven non ho sentito niente, quindi si può dedurre che va tutto bene tra lui e i compagni.»
«Dici solo sciocchezze», commentò mamma Thala. Poteva sembrare arrabbiata, ma in realtà era felice che non fosse successo niente di grave. «Ma ricordati, bambino mio, appena senti notizie di Sven, corri subito qui a dircele! È il più grande favore che puoi fare a tuo padre e a me.»
Due settimane dopo, il giovane Joel tornò sull’isola. «Be’, madre, devo riferirvi», disse, «che nessuno crede che gli uomini della Naiade possano sopportare ancora per molto Sven. Adesso la gente sostiene che la nave peggiore, la più sporca, la più puzzolente dell’arcipelago, sta a poco a poco diventando ordinata e pulita; che il motore ha smesso di scioperare proprio quando se ne aveva più bisogno; che la vela, che ogni tanto bisogna issare per stabilizzare la barca, è stata sistemata e rattoppata con grandi pezze quadrate, che la bandiera sbiadita è stata sostituita con una nuova dai colori brillanti, che lo specchio di poppa è stato ridorato, e il nome Naiade ridipinto per intero, senza che manchi neanche una lettera; che il cibo a bordo ha cominciato stranamente ad avere lo stesso sapore di quello che si mangia a terra, e che stoviglie e piatti han cominciato a luccicare nella cambusa. Vedete madre, si dice che nessuno ha mai dubitato che gli uomini della Naiade avrebbero tollerato un cannibale a bordo, ma piatti e pentole pulite non si sa se ce la faranno a sopportarli.»
«Ah! Ho l’impressione che tu ti stia solo prendendo gioco di me!» esclamò la madre, ma il figlio vedeva che era più che contenta delle notizie. «E ricordati», aggiunse, «non appena senti qualcosa da tuo fratello, informaci subito! Sven non ha mai fatto nulla di male, e dobbiamo sapere come gli vanno le cose, perché non gli capiti qualche disgrazia.» Ma chiunque viva a Grimö deve fare esercizio di pazienza.
Altre due settimane intere dovette aspettare mamma Thala, perché il giovane Joel tornasse a portare notizie di Sven. «Be’, non ho avuto modo di incontrarlo di persona neanche stavolta», confessò, «ma ho sentito dire che ormai si è agli sgoccioli, tra gli uomini della Naiade e Sven Elversson. Perché adesso pare che Olaus, che è il capitano della nave, ha cominciato a pretendere che l’equipaggio si presenti a bordo in orario, ed è riuscito varie volte a salpare insieme agli altri pescherecci e a raggiungere la zona di pesca in tempo per prendersi un posto vantaggioso e del bel pesce. E quando le reti sono in buono stato, ben tenute e in ordine, invece di marcire e rompersi non appena l’imbrocco è pieno, quando l’addetto all’argano non è ubriaco al punto da rovesciare l’intero pescato in mare proprio quando arriva a bordo della nave, quando sulla Naiade si inizia finalmente a guadagnare, nessuno può credere che Olaus di Fårö, Corfitzson di Fiskebäck, Bertil di Strömsund, Torsson di Iggenäs, Rasmussen e Hjelmfelt potranno tollerarlo a lungo. Poteva anche stargli bene avere un cannibale a bordo, ma navigare su una barca pulita, pescare onestamente e guadagnare bene, questo nessuno di loro avrebbe mai potuto accettarlo in tutta la vita.» Mamma Thala lo sgridò perché non era proprio capace di dire qualcosa di serio, ma era evidentemente molto contenta del rendiconto. «Vedrai che andrà tutto bene», disse. «Ah, quel Joel, quel Joel! Sì, non intendevo te, ma tuo padre. È l’uomo più saggio che ci sia in tutto il Bohuslän. Sapeva quel che faceva, quando ha mandato Sven tra la gente.» Un paio di settimane dopo, il giovane Joel ritornò con un nuovo rapporto. «Non ho incontrato Sven di persona», disse, «perché le aringhe quest’anno si sono spostate su a nord, ma da quello che ho sentito, la gente dice che quando Olaus di Fårö si lascia convincere a riparare la casa con i suoi guadagni, quando Corfitzson di Fiskebäck deposita i soldi in banca non appena li ha in mano, quando Bertil compra un vestito nuovo alla moglie, Torsson si procura una barca nuova, e Rasmussen e Hjelmfelt si preoccupano di portare a casa cibo a mogli e figli, c’è di sicuro qualcosa che non va con quelli della Naiade.
Perché se non c’era da stupirsi che si fossero presi un cannibale a bordo, che potessero tollerare una nave pulita, una pesca secondo le regole, e vivere come persone normali, questo da loro proprio non ce lo si sarebbe aspettato.» «Non ho mai sentito nessuno parlare in modo così irritante come te», disse mamma Thala al figlio, ma era più che felice e pensava che ormai tutto si sarebbe sistemato per Sven e che la gente avrebbe finito per accettarlo. «Il fatto è che quello che lo impedisce è qualcosa di così antico e radicato nella testa della gente», disse allora Joel, «che non ci si può aspettare che possa vincere così facilmente. Possiamo già essere contenti se si ottiene che non abbia presa su di lui.» Un paio di settimane dopo, i due fratelli tornarono insieme a Grimö. Avevano un’aria abbattuta, entrando nella casetta. Né madre né padre fecero domande a Sven, ma presto mamma Thala riuscì a fare in modo di rimanere sola con il giovane Joel.
«Si può sapere cosa c’è, adesso?» domandò. «Cosa c’è», rispose il giovane Joel con aria indignata e furibonda, «c’è che non serve a niente che Olaus, Corfitzson e tutti gli altri della Naiade vogliano diventare migliori, che accettino di tenere la nave in ordine, di pescare secondo le regole, di non buttare via i soldi, se poi non possono mettere piede in casa senza trovare una donna in lacrime. Cosa devono fare, se si sentono dire dalle mogli che preferirebbero stare come prima, piuttosto che continuare a vivere in compagnia di un peccatore come Sven. Quando dicono che il disgusto che
provano per Sven è tale che si attacca anche a loro che lo frequentano quotidianamente. Che a loro non importa niente delle case più belle, delle barche, dei vestiti, del cibo, degli utensili nuovi, dell’onore, del successo, della felicità, e che sarebbero pronte a sacrificare tutto pur di liberarsi di quel ribrezzo. Stando così le cose, gli uomini si vedono costretti a pregare Sven di lasciare la Naiade e a consigliargli di starsene a Grimö, dove nessuno lo può incontrare e sentirsi offeso da lui.»
Selma Lagerlöf