Il 23 febbraio 1950, alla 92nd Street Young Men’s and Young Women’s Hebrew Association, all’angolo con Lexington Avenue – ora più comunemente conosciuta come la ’92nd Street Y’-, il poeta gallese Dylan Thomas salì sul palco e ammaliò un migliaio di appassionati di poesia nella serata di apertura del suo primo tour in America. Due giorni dopo, stordito dalla reazione alla sua poesia e sopraffatto dalla giungla urbana in cui si trovava, scrisse a casa a sua moglie, Caitlin. Thomas girò gli Stati Uniti altre tre volte negli anni successivi, partendo ogni volta da New York City. Purtroppo, fu durante la sua quarta visita, nel novembre del 1953, al St Vincent’s Hospital nel Greenwich Village, che Dylan Thomas morì.
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Qui, ogni notte devo qualcosa per riuscire a dormire: sto proprio al centro di Manhattan, circondato da grattacieli infinitamente più alti e più strani di quanto si sia mai visto nelle foto: sto in una stanza, una stanza d’albergo perché l’appartamento promesso non è venuto fuori, al 30° piano: e il rumore tutto il giorno e la notte: senza qualche droga, non potrei dormire affatto. I camion più grandi e pesanti, le auto della polizia, i vigili del fuoco, le ambulanze, tutti con le loro sirene banshee che suonano e urlano, sembrano non fermarsi mai; Manhattan è costruita sulla roccia, un sacco di lavori di demolizione sono in corso per costruire un altro super grattacielo, e così c’è un’esplosione di dinamite quasi continua. Gli aerei sfiorano appena le punte dei grandi grattacieli scintillanti, alcuni belli, altri infernali. E non ho idea di cosa diavolo io stia facendo qui nel rumorosissimo, folle mezzo dell’ultimo folle impero sulla terra: – tranne che pensare a voi, e amarvi, e lavorare per noi. Ho fatto due letture questa settimana, al Poetry Center di New York: ogni volta c’era un pubblico di circa mille persone. Mi sentivo molto solo, un nano straniero orante lassù, in una sala enorme, davanti a tutte quelle facce; ma le letture sono andate bene.
Sono stato a qualche festa, ho incontrato un sacco di poeti americani, scrittori, critici, tirapiedi, alcuni molto piacevoli, tutti furiosamente educati e ospitali. Ma a parte un’occasione, mi sono attenuto quasi sempre alla birra americana che, anche se legegra, mi piace molto ed è ghiacciata. Sono arrivato, tra l’altro, nel giorno più freddo che New York abbia avuto da anni e anni: c’erano 4 gradi sopra lo zero. Ti sarebbe piaciuto molto. Non avrei mai pensato che potesse fare così freddo, le mie orecchie quasi cadevano: il vento frustava quel mostruoso borsone. Ma, non appena entravo in una stanza, il calore del vapore era peggiore: credo di poter sopportare meglio lo zero e, con lo stupore degli indigeni, tengo tutte le finestre spalancate. Sono stato anche in un sacco di posti famosi: in cima all’Empire State Building, il più alto che ci sia, che mi ha terrorizzato così tanto che sono dovuto scendere subito; al Greenwich Village, una Soho più debole ma con bevande più forti; e questa mattina John Brinnin ci porta ad Harlem.
E ora ti deve sembrare, mio Gatto, che io mi stia divertendo qui. Non è così. È un incubo, notte e giorno; non c’è mai stato un posto così; non mi abituerei mai alla velocità, al rumore, alla totale indifferenza della folla, alla spaventosa cortesia degli intellettuali e, soprattutto, a queste enormi torri falliche, su e su e su, centinaia di piani, nel cielo impossibile. Mi sento così terrorizzato da questo posto che a malapena oso lasciare la mia stanza d’albergo – lussuosa – finché Brinnin o qualcuno non mi chiama. Tutti usano il telefono in continuazione: è come respirare: sono ormai le nove del mattino, e ho ricevuto sei chiamate: tutte da persone di cui non ho capito il nome per invitarmi a un piccolo “poity” a un indirizzo di cui non avevo idea. E più di tutto più di tutto, però, Dio, non c’è bisogno di dirlo a te che capisci tutto, voglio stare con te. Se potessimo stare qui insieme, tutto sarebbe a posto. Mai più verrei qui, o in qualsiasi altro luogo lontano, senza di te; ma soprattutto mai qui. Il resto dell’America può essere a posto, e forse posso capirlo, ma questo è l’ultimo monumento che c’è all’insano desiderio di potere che spara i suoi edifici fino alle stelle e fa rombare i suoi motori più forte e più veloce di quanto siano mai stati fatti rombare prima e fa costare tutto alla terra e dove l’imminenza della morte si riflette in ogni ultimo colpo di potere dei grandi capi del denaro, i pezzi grossi, i multis. Questa mattina scendiamo a vedere l’altro lato oltre i grattacieli: Harlem nera, East Side ebreo affamato. Una famiglia di quattro persone a New York è molto molto povera con 14 sterline a settimana. Comprerò lo stesso delle calze di nylon la prossima settimana, e delle cose in scatola. Nient’altro?
Ricordati di me. Ti amo. Scrivimi.
Il tuo amorevole, amorevole Dylan