“Quaranta nomi” di Parwana Fayyaz (Aguaplano, 2022 pp. 168 € 13.00) a cura di Lea Niccolai, è una corposa raccolta poetica, orientata nella consistenza delle influenze espressive autobiografiche, narrata con la confessione intima delle proprie impressioni sul destino dell’universo familiare e manifestata negli efficaci profili dei simboli femminili. La poetessa intreccia il tessuto commosso e ricco d’ispirazione della sua terra originaria, orienta la conflittualità con l’esilio sofferto, rincorre l’indispensabile raggiungimento della propria autonomia intellettiva. Le immagini, racchiuse nei versi, decantano un mondo vissuto con partecipazione, rapito dall’incanto di stoffe, di aghi da cucito, di lane e cotoni, “Ogni punto del suo ago riportava in vita/gli stili eleganti della giovinezza e l’orgoglio/di una madre afghana, anche in esilio”. La poesia incarna il segno distintivo della sensibilità relazionale delle donne, l’attitudine delle famiglie per la determinata intelligenza nel correggere lo smarrimento emotivo in equilibrio interiore e oltrepassare il pudore della sottomissione. Le donne celebrate subiscono l’ignoranza e, asservite alle volontà degli uomini, recuperano il riscatto della loro voce grazie alla resistenza vitale delle poesie, desiderano la propria emancipazione, superano l’ancestrale paura per ottenere accoglienza e riconoscimento nella società. Diffondono l’audacia e la fermezza delle proprie scelte, incitando la libertà delle proprie azioni. ”Sii indipendente. Guadagnati il tuo denaro./Mantieni rosso il tuo volto e verde il tuo nome…”.
Parwana Fayyaz, attraverso la gratificazione dell’istruzione, propone il diritto essenziale al conseguimento della libera esistenza delle donne afghane, restituendo loro la capacità di comprendere e d’inserire l’importanza della loro voce. Il privilegio del pensiero racchiuso nella poesia, è il dono di una sensazione che ha permesso alla poetessa di affrontare le vicissitudini della vita. Parwana Fayyaz approfondisce la dottrina dei principi ereditata in Afghanistan, ridesta i ricordi della sua infanzia rinnovando l’elegia delle virtù femminile. “La sua poesia restituisce un senso al passato/come se solo con le sue parole potesse guarire se stessa e gli altri”. L’esposizione di ogni storia della tradizione recupera la finalità di guidare nella conoscenza dell’arte poetica il merito morale, un addestramento per la propria vita. “Quaranta nomi” è una formazione evocativa, scandita nel tempo fedele della memoria e della bellezza della salvezza metafisica. ”Il cielo da lassù, attraverso la pelle opaca/della tua polvere, trasporta un refolo dalle montagne./Mi porta una storia, / la storia di quaranta giovani corpi”. Conduce il lettore lungo il viaggio intorno alle prospettive di villaggi, scenari e luoghi sconosciuti che arricchiscono gli orizzonti della dignità “Kabul ora dorme./ Dalla finestra della mia casa, rimango/in una stanza piena di donne e di bambini./Il sentore delle loro vesti, l’odore dei bambini, /ora e ancora, e la porta è sbarrata./In attesa che una trascendenza affiori/o che una memoria si posi, ogni giorno è lo stesso giorno./Io continuo a scrivere poesia”.
Rita Bompadre