Gianni Priano è poeta di acqua terra fuoco e aria. Uno dei migliori poeti a mio parere che si possano leggere. Nel suo stile a volte colloquiale troviamo segni e tracce del miglior fine Novecento. Chapeau.
Oliviero Malaspina
Sanremese
Ogni portone è un arrivo
che lì non ci piove, che sali le scale
e ogni portone è un vicino
a cui chiedi l’olio, l’aceto ed il sale.
Ogni portone è un orrore
la bara che esce, che scivola via
e gli anni si mangiano tutto
lo sguardo, la voce sono archeologia.
Ogni portone ha un odore
che stagna, che vola, che non scordi più
non c’ erano inciampi, incertezze
ma solo il fiato e il cielo lassù.
E ore dentro un frullatore
nessuna lancetta ma vento e bufera
quella che ci stringe forte
appena comincia a fare sera.
Minuti che sembrano anni
il giorno smarrito come fosse niente
e poi l’indomani per strada
nessuna persona, moltissima gente.
Qualunque portone si chiude
si apre, a volte rimane sottile
la lama di luce che filtra
e vedi i limoni in mezzo a un cortile.
Qualunque portone è un abisso
un mare profondo, uno schianto
qualunque portone è un abbraccio
durezza di un bacio che soffoca il pianto.
Un vicolo cieco che ti porta a un muro
ai cocci aguzzi, ai licheni
alla guerra in faccia che abbiamo
bucati princìpi, memoria e i calzini.
Un porto container che riempie
un terreno malato di ferro e colori
di gru, topi, uccelli di mare
e forza lavoro, libeccio nei cuori.
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Cinghiali a primavera
Non so se sono vivi o sono morti
o un po’ e un po’ sul greto del Bisagno
oggi i cinghiali che la primavera
comincia. E dentro al mare mette a bagno
i piedi il pescatore con la canna
già sul principio del mattino. Invece
su queste bestie nere, grosse, irsute
tira quell’ aria di Cristo sulla croce.
Se sono vivi o se sono morti
e già accomodati in paradiso
insieme al passerino della torre
alla cavalla storna ed al sorriso
che fa la iena o alla malinconia
della tigre assenza. Questi besti
che calano dai monti fino quasi
al mare e che calpestano le aiuole
non so se sono morti o sono vivi
o se si godono in pace il primo sole.
Mi piacerebbe conoscere il segreto
profondo, irto estraneo alle parole.
dei cinghiali che sono giù nel greto.
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Sera di un padre qualsiasi
Non è un mostro il nemico, amore mio.
Alcuni di noi guardano i cavalli correre
sciogliersi e subito freddarsi la cera
un’auto lucida e pensano: ecco questo
è ciò che fa bello abitare la terra nera.
Io vedo i tuoi occhi e nei tuoi occhi
un lembo di lenzuolo, il colpo secco
della boccia che boccia l’altra boccia
le more tra i rovi sul sentiero
l’inutile cima della roccia.
Non è un mostro il nemico ma è il nemico
amore che non meriti catene
nè cristi minacciosi, nè potere
ebbro di sè, di lugubri divise
e di rinunce, di sfilze di preghiere.
Non è un mostro il nemico. È stato bimbo
ed ha voluto bene e ancora ama
eppure meglio morti che nel duro
stringersi di morsa dei suoi capi.
Meglio tagliargli la gola con la lama.
Sempre mi pesa questo farsi sera
ma nei miei occhi di formiche e api
so che nei tuoi occhi è primavera.
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Gianni Priano è venuto al mondo nel 1962, a Genova. In primavera (quella di cui Saba diceva “primavera che a me non piaci” e che lui- Priano- non lo sa se gli piace o meno. Sa però che questa stagione non lo riguarda, con l’ammontare smontante degli anni, più tanto). Il suo percorso morale è quello del figlio di un ragioniere a sua volta figlio di un fornaio. E del figlio della figlia di un contadino poi operaio e poi di nuovo contadino. Donne “di casa” che si ammazzavano di lavoro le nonne.
Che al Priano piace parlare di queste cose. Gli piace moltissimo. E gli piace dire del nonno fornaio che aveva fatto la prima guerra dentro la trincea di un posto dal nome impronunciabile: Mrzli. Una delle trincee italiane più prossime alla trincea nemica di fronte. E che (adora raccontare) il nonno e il padre erano di Voltri- Voltri da tempi precristiani e la mamma e l’altro nonno venivano da una collina sopra Molare, detta i Pliz. Mentre la nonna Teresa era di Morbello ma anche di Cassinelle. Invece la nonna Manìn di Vesima. E via: se non ci state attenti Priano, che oramai ha perduto ogni pudore, vi inchioda lì con ‘ste storie senescenti. Di cui importa soltanto a lui. Che fratello, figli, compagna ed ex moglie e compagno dell’ex moglie e gatti e amici facendo più o meno finta di niente si defilano. Riparano in bagno. Escono lemme lemme dalla traiettoria.
Insomma: non fatevi acchiappare: lui comincia con il dirvi che abita a Voltri ma vive ai Pliz, voi mostrate un soldo di curiosità e te lo lì che vi ritrovate attaccata una fila di bottoni da maledire di essere venuti al mondo.
Il percorso morale un po’ si vede, nelle poesie e nei racconti. Quello, diciamo, culturale non so. Ha fatto il liceo classico (studiando poco e male però senza perdere anni: perché i miracoli a volte accadono). Poi ci ha dato abbastanza dentro con filosofia, all’ università, si è laureato in fretta e in fretta è andato a militare.
Poi, tornato dal fronte, ha iniziato a insegnare e deve ancora finire adesso. Che tra pochi giorni suonano i sessanta.
Per quello che riguarda la scrittura ha pubblicato sulle riviste di carta degli anni ’90 e su quelle on- line dei tempi attuali. Per esempio su “La Clessidra”, “Resine”, “Il Maltese”,”Fotocopianda” “Atelier”, “Madrugada”, “Il Gabellino”, Tratti”, “Il Babau”, “La rivista di filosofia neoscolastica”, “Discorsi”). Cosa pubblicava e pubblica? Brevi saggi- chiamiamoli così- critici (pochi), recensioni (troppe), poesie e racconti. Mena vanto di curare Il Foglio, rivista culturale della Biblioteca ‘Adriano Guerrini’ di Tiglieto, un paese dell’appennino ligure. Poi vengono i libri di poesia: L’ombra di un imbarco (Torino, 1991), Città delle Carle infelici (Cuneo, 1994), Nel raggio della catena (Borgomanero, NO, 2001), La Turbie (Rovigo, 2004), Rossocuore (Genova, 2009). Con la casa editrice Pentàgora di Savona- Minceto ha pubblicato, insieme ad Alberto Folli, testi in prosa: Gioghi di parole (2018), e –con Simona Ugolotti – Stradiario Genovese (2020) e Le parole e le bestie (con la Ugolotti e con Barbara Bizzarri). Non sazio ha buttato giù un saggio di critica letteraria romanzata, Le violette di Saffo (Il Ponte del Sale, 2011). Nel 2020 è uscito un cd di canzoni con parole sue e musica e voce di Giovanni Peirone, sommessamente intitolato non è niente. Qualche canzone sua, ogni tanto, la musica e la canta Franco Boggero.
Di prossima pubblicazione il libro di poesie Luce che passi sotto per Ladolfi editore (Borgomanero, NO).