Marco Marsullo accompagna il lettore da domani nel suo nuovo romanzo Tutte le volte che mi sono innamorato edito da Feltrinelli. Suoi numerosi libri di successo sia di critica che di pubblico quali Atletico Minaccia Football Club (Einaudi Stile Libero 2013), romanzo vincitore del Premio Hermann Geiger Opera prima, L’audace colpo dei quattro di Rete Maria che sfuggirono alle Miserabili Monache (Einaudi Stile Libero 2014), Dio si è fermato a Buenos Aires (Laterza Editore 2014), I miei genitori non hanno figli (Einaudi Stile Libero 2015), Il tassista di Maradona (Rizzoli 2016), Due come loro (Einaudi Stile Libero 2018), L’anno in cui imparerai a leggere (Einaudi 2019). Ritmo sciolto, immediato, confidenziale per raccontare una trama apparentemente di spirito, ma complessa ed evocativa delle relazioni umane contemporanee, fotografata da un “obiettivo” maschile. Cesare, maestro elementare partenopeo, è il protagonista alla prese con la sua condizione di single, l’ultimo del gruppo, in “un viavai di scie colorate” e di “le luci, prima fisse” e poi ad intermittenza, quasi annoiato dalla sua libertà. Ogni personaggio può essere un amico (ri)trovato, una vicenda ascoltata con attenzione, una quotidianità non retorica che strappa più di una risata. La coralità è la matrice del romanzo di “questo gruppo di amici” che accomuna tutti nel porgersi una domanda dopo l’altra e la cui risposta “ ti sale nei giorni importanti, che alla fine si contano sì e no sulle dita di una mano, dopo che hai capito che è inutile progettarsi la vita come un architetto, cercare la persona ideale, che non si può trovare in sei mesi mettendo un segno rosso sul calendario, ostinarsi a voler piegare il destino: bisogna solo vivere e respirare. Essere fedeli a se stessi e sbagliare”.
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Il fatto è che, quando sei rimasto l’ultimo single in un gruppo di amici, ognuno di loro pensa di avere la
ricetta giusta per la tua felicità, la formula magica per assemblare il prodotto, come nel foglietto di istruzioni di una libreria da montare. Spesso però ho la sensazione che nella confezione manchino dei bulloni, che ci sia stato un errore, come se un omino alla catena di montaggio si fosse distratto e avesse dimenticato di aggiungere quel paio di pezzi indispensabili a tirare su l’intera struttura.
Un errore può capitare, magari quel giorno l’omino era stanco, ed è pure sottopagato, magari lo aveva lasciato la fidanzata, chi lo sa, dunque non si può certo fargliene unacolpa. E allora, in questi casi come si fa? Normalmente si chiama la ditta, si espone il problema e ci si fa mandare a casa i componenti mancanti. Ma nella vita, invece? Chi si chiama? C’è un centro reclami, un call center dedicato, un Ufficio Bulloni Smarriti? No, purtroppo non c’è. Ed è per questo che si procede per tentativi: mentre tutti intorno a te ti dicono “gira a destra, gira a sinistra, quello sì, quello no”, navigatori satellitari dalle voci pimpanti, tu vai avanti a tentoni, toccando i cuori che ti capitano a tiro, che certe volte sembrano quelli più adatti e che poi, alla fine, si rivelano una truffa. Due persone che ancora devono innamorarsi sono soltanto due sconosciuti, e lo restano anche per tutto il tempo che viene dopo, anche quando, poi, si innamorano. L’amore non ti guarisce dalla solitudine. Dietro questo sentimento caotico c’è una strana convinzione, un’idea che riscalda: quella che quando ami e vieni amato sai chi hai accanto, lo conosci al punto da essere al sicuro. La conoscenza però non la regala l’amore, è qualcosa che si costruisce con l’attenzione, il tempo, la costanza, tutte cose che poco hanno a che fare con la passione iniziale. Gli sconosciuti sono mine sensibili che esplodono quando entrano in contatto, aderiscono agli angoli più bui, quelli non esplorati, con un botto violentissimo. Uno sconosciuto può davvero diventare tutto il resto? Può uno sconosciuto diventare te stesso?
“Tu hai trentacinque anni, Cesare. Che cosa vuoi farne della tua vita?”
Lucio, alla guida in mezzo al traffico, si volta verso di me. Ha una voce seria che non ha quasi mai, la voce che usa quando è il momento di fare il punto sulla mia vita, cosa di cui sente il bisogno almeno una volta al mese. Di solito quando piove ed è un infrasettimanale noioso. Così, senza motivo, avverte l’esigenza incontenibile di occuparsi del mio destino. So dove vuole andare a parare, ma provo a sfinirlo prima che inizi, facendolo girare a vuoto. “Non vi è bastato il summit dell’altro giorno, a casa di Sandro?”
“L’altro pomeriggio non mi sono espresso, preferivo farlo a quattr’occhi. Tu tra poco fai quarant’anni, devi trovarti una donna.” “A parte che ne ho ancora trentacinque, non quaranta”.
E poi cosa vuol dire che devo trovarmi una donna? Dove sta scritto?” “Tu stai morendo da solo.”
“Ma che cazzo dici?”
“Come un cammello che crepa nel deserto.” “Lucio, e adesso cosa c’entrano i cammelli?”
“E comunque è scritto nelle leggi del mondo,” prosegue lui imperterrito. “Trovi una donna e ci fai i figli, è così che funziona.” “Per te funzionerà così, ma non vale per chiunque.”
I suoi occhi mi sono ancora addosso, io guardo fuori dal finestrino, fisso il marciapiede sventrato dai lavori in corso. Gli operai in tuta arancione si muovono come formiche tra il martello pneumatico e la betoniera, marciano lenti, ordinati, scambiandosi le postazioni.
“Invece è uguale proprio per tutti.” Lucio mi schiocca un paio di volte le dita sotto il naso per richiamare la mia attenzione, un suono che irrita il mio sistema nervoso già duramente provato da questa conversazione. “Capito? Svegliati un po’.”
“Ammettiamo che funzioni così.” Sto per incazzarmi, lo sento. “Io l’ho cercata una donna negli ultimi anni, non so se te ne sei reso conto. Abbiamo anche passato serate intere a parlare delle mie ex, sono diventato il vostro unico argomento di conversazione.”
“Come quella che si faceva riaccompagnare sotto una casa che non era la sua, eh?”
A Lucio scappa da ridere.
“Barbara, dici?” “Un genio, quella donna.” “Una stronza, pure… o no?”
Lucio innesta la prima e fa dieci metri, poi si ferma di nuovo insieme al traffico.
“Una stronza furba che si teneva te e il fidanzato, una che aveva capito tutto.”
“E facciamole pure una statua.”
“È che tu scegli le donne seguendo i segnali sbagliati. Ti ricordo che una volta hai troncato con una, dopo la prima e unica sera, perché fumava troppo velocemente.”
“Un altro po’ e se le ingoiava le sigarette, era spaventosa.”
“Lo so, me lo ricordo, ne hai parlato per quarantacinque minuti con gli occhi sbarrati… Ma ti pare normale scartare una persona ‘perché fuma troppo veloce’?”
“Oh, che vuoi che ti dica, a me faceva paura… Sembrava un aspirapolvere.”
Lucio scuote la testa: “Invece poi ti fai impressionare se una tipa ascolta il jazz estone, o ha fatto un viaggio in Vietnam zaino in spalla dopo l’università, e non ti rendi conto che in realtà è una pazza”. “E allora quali sarebbero i segnali giusti, secondo te?”
“Ah, i segnali giusti non esistono. Dopo tre anni di fidanzamento una donna vale l’altra. Le deludi, ti odiano, le distruggi anche se non fai nulla. Quindi, tanto vale che ne trovi una e ti sistemi. Una carina, di buona famiglia, che non puzza. Testa di donna, testa malata, ricordatelo sempre.”
“Lucio, basta.”
“Io la penso così, ma tu sei più profondo, hai le tue fissazioni.” E inizia a enumerarle sulle dita. “L’emancipazione, la libertà di pensiero, l’indipendenza, deve aver viaggiato, amare le cose che ami tu, gli interessi in comune…”
“Ma che ci fai con una persona se non hai almeno una base di partenza? Fammi capire.”
“I figli.”
“E poi gli rovini la vita.”
“Tutti si rovinano la vita in ogni caso, a questo mondo.”
E un’ombra di tristezza gli cala addosso, io la noto perché lo conosco da sempre, anche se lui prova a far finta di niente.
Capita sempre quando, alla fine, si parla dei figli.