Accontentarsi costa.
Costa il tempo perso a dar valore alla banalità.
Costa le emozioni perdute rinunciando ai propri obiettivi.
Costa la fatica di autoconvincersi che valeva la pena prendere il “contentino” e rinunciare a tutto il resto.
Accontentarsi è come arrendersi, rinunciare a sé stessi per credere che qualcuno non più eterno di noi ci protegga per sempre.
Se smettiamo di difenderci nessuno lo farà per noi.
Apro la porta e scendo di casa per raggiungere il mio collega con il quale dovrò andare a cena pensando a questo.
E mi chiedo, quanto ci siamo arresi?
Ho paura a parlarne col mio collega che è un toscano e dei toscani ho sempre diffidato.
Non ho mai avuto niente contro di loro, anzi sono molto simpatici anche se li trovo inquietanti e imprevedibili.
Se mi chiedessero di scegliere se rimanere con la gomma a terra di notte in una campagna Toscana oppure in Aspromonte sarei più inquieto in Toscana.
In Toscana succedono cose strane, la gente muore male e il mostro di Firenze non si sa ancora chi fosse.
Addirittura, in Garfagnana si narra la leggenda dei frati di Fornovalasco che si davano al cannibalismo mangiando vivi i viandanti.
Gli aspetti inquietanti del rapporto col sangue e con la morte non hanno risparmiato la religiosità ancora oggi ben radicata tra i toscani, come dimostra il ricorso diffuso alla bestemmia come intercalare e conforto.
Poi ci sono i toscani che amo, e penso a Montanelli, di Fucecchio che rimane il miglior giornalista vivente nonostante sia morto ventun anni fa. Perché è ancora più vivo lui da morto di quelli che gli son sopravvissuti.
Bianciardi era toscano, un grande, di una sensibilità che commuove. Non poteva integrarsi fino in fondo come aveva fantasticato e alla fine ha voluto morire a quarantanove anni.
Nei video che si trovano ancora su Internet si vede girare per Milano con una troupe alla riscoperta dei locali storici. Sono testimonianze preziose che dimostrano la bontà d’animo e la dignità di uno che ha avuto fame.
Anche Dante era toscano ma poi dovette abbandonare Firenze per sfuggire a una condanna al rogo ricevuta per questioni politiche.
Si vendicò mettendo in scena un vero e proprio giudizio universale, mettendo papi all’inferno e allo stesso tempo regalando un’architettura spirituale che ha ispirato la Chiesa e la società.
Tutti e tre per raggiungere la vera fama dovettero scappare dalla Toscana forse perché nessuna patria vuole profeti e forse perché nessun profeta ha solo una patria.
Le patrie ci conoscono e amano il nostro nulla il nostro piegarci agli usi e costumi locali.
La patria del profeta sono tutti quelli che hanno giocato insieme a lui a pallone nello stesso cortile.
Hanno avuto le sue stesse origini e possibilità e non riescono ad accettare che lui sia diventato profeta e loro no.
Per loro il profeta è un’ingiustizia un errore della storia che gli altri non sono in grado di capire ma loro sì perché lo conoscono.
Invece, fuori dalla patria, il profeta mette tutti d’accordo perché non ha giocato a pallone con nessuno e quindi è meglio che sia profeta lui piuttosto che il vicino di casa.
I profeti soffrono perché hanno dovuto lasciare tutto senza dimenticare le proprie radici.
Per questo non si integrano e non si lasciano assorbire nelle usanze trovate, così come non sono rimasti impigliati nelle proprie.
Hanno rinunciato a tutto e hanno ottenuto in cambio delle libere possibilità che sono qualcosa più di tutto.
Quando girano il mondo possono sembrarci diversi dagli altri e quando tornano a casa sono sempre così uguali a come ce li ricordiamo.
Esco dall’ascensore faccio le scale e mentre apro la porta vedo che il mio amico è già sotto casa che mi aspetta.
Lo saluto e mentre si avvicina chiede: <<Lo si va a piglià ‘n bocca?>>.
Lo guardo con stupito disprezzo e chiedo: <<Cosa intendi?>>.
Sorride, si gratta la testa e dice:<<Intendevo, se andiamo a mangiare qualcosa da qualche parte>>.
Tra me e me penso che è sì toscano ma non è Montanelli, Bianciardi o Dante, neppure in una versione fraintesa del “De vulgari eloquentia”.
<<È pieno di locali qua intorno, basta cercarne uno>>.
<<A proposito, per il lavoro hai preparato tutto?>>.
Mi parte un sorriso interiore che trattengo mentre rispondo: <<Qualcosa più di tutto>>.