Cosa siamo venuti a fare qui?
La bellezza di tutto, anche del tremendo, che ‘sarà convulsa o non sarà’, dice Breton, ci gira intorno giorno e notte, sempre e ovunque. E noi sempre in compagnia e sempre soli. Alcuni sembrano ben piantati nel loro destino e ci attirano, corriamo come polvere di ferro verso la loro arte-calamite.
Ci si sente bene a stare loro vicino. Anche se in fondo forse non hanno senso. Come quasi tutto, del resto, se ti allontani abbastanza. Come le borse e le cravatte, gli spazzolini e le sedie e il lobulo vestibolare dell’orecchio.
Anche se in un certo umano modo sono contingenze ben riuscite, come lo zafferano che esplode in certi tramonti ad ovest. Magia spontanea di qualche minuto.
Dicono che per i carcerati dormire sia sacro e togliere loro il sonno la tortura più grande. Ma loro non cercano solo di spegnere la veglia. Loro cercano il sogno. Il mondo parallelo che prende vita a occhi chiusi. Dove tutto diventa possibile. Dove il senso si moltiplica e il simbolismo scoppia. E corri fino a volare e muori e poi resusciti e sorgi dal mare come un dio normale, intero, felice. Dove ti sveglia nel terrore il suono del cuore che batte i pugni contro le costole. Dove parli lingue che non sapevi di sapere a colori che non sapresti nominare.
E speri, un giorno, di trovarti nel sogno di chi ci sta sognando.
E surreale! Diciamo e sentiamo dire quando si parla di qualcosa che sfugge alla logica. Quando la realtà straborda le aspettative. Quando la sorpresa interrompe il fatto. Quando qualcosa ci risveglia dal torpore. Surreale quando la lettura è simultanea a più livelli. Quando l’attenzione si concentra in quello che è sempre stato lì, ma che così non l’avevamo mai visto.
Max Ernst è così: strabordante. Diciamo è perché in qualche modo vive, parla e scherza tra le sale della mostra. Ogni sala una scena che racconta un periodo della sua storia. Storia personale che fa parte e racconta la Storia, «E chi ha occhi per vedere, veda. Chi non li ha, vada».
Pittore, scultore, poeta e teorico dell’arte. Dadaista, romantico, patafisico, eclettico, eccetera. Etichette che si mettono per delimitare le geografie sconfinate della creatività umana. Ernst era tra coloro punti dal demone della ricerca e il sogno. Inquieto. Nato in Germania nel 1891, dopo vent’anni se ne va perché «vent’anni di Germania sono abbastanza» e arriva a Parigi per vent’anni dopo andare in America prima di tornare definitivamente in Europa per, infine, morire in Francia nel 1976.
E’ stato uomo, più volte marito, padre, e integrante di un ménagea trois. Le sue scelte e la sua poetica sono state guidate da l’amore, l’amicizia e l’erotismo.
I titoli delle opere fanno parte delle opere. Le fanno diventare ironiche, tenere o assurde. Mostrandoci la possibilità di essere arguti ma leggeri, che, come diceva non ricordo chi, ‘la lucidità non ci costi l’allegria’.
Lui insieme ai giovani del suo tempo, reduci della carneficina della grande guerra, cercano una risposta a come vivere la vita. In un periodo pesante e drammatico Ernst e i suoi amici si ritrovano nei bar, fumano e parlano, disegnano e scrivono tanto, amano le donne e la meraviglia, e trovano che solo da Eros si può ripartire. Amor che muove. Eros mostro coloratissimo, che diverte e spaventa, che morde e sveglia quelli che dormono.
I nostri tempi si toccano con quei tempi. La guerra, la drammaticità, la sensazione di apocalisse, ci chiamano a una nuova rivoluzione. Negli anni venti è nato il surrealismo e la psicanalisi, nuovi modi di guardarci dentro e intorno. Ora ci propongo la realtà aumentata negli occhiali, un povero surrealismo nuovo e solitario, senza pelle, senza sesso, senza odore.
Cosa siamo venuti a fare qui? Qual’è il latte dei sogni nostri? Qual è il latte dei sogni di nostri figli? Cosa li nutre e li fa crescere? Spuntare timidi come margherite in terreni devastati. Moltiplicarsi come margherite in terreni fertili.
Siamo venuti qui a vedere gli esperimenti dell’alchimista nel Palazzo Reale: più di 400 opere. Alcune prese in prestito che ,come certe meteorite, non le rivedremo fino ad altri cinquanta o sessant’anni. Siamo venuti dirigiere la nostra attenzione sul mondo di Max Ernst e a cercare ispirazione nelle sue risposte. A camminare tra le sale alla ricerca di un’opera che ci racconti – come una indicazione, una prescrizione per l’anima, un trattamento, una soluzione immaginaria – dove pulsa il nostro amore. Prigionieri (ognuno di noi lo è di qualcosa) alla ricerca del seno primordiale del latte dei nostri sogni.
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Max Ernst a cura di Martina Mazzotta e Jürgen Pech.
Milano, Palazzo Reale, fino al 26 frebbraio 2023. Catalogo Electa
Consiglio di lettura: La donna, la libertà, l’amore. Paola Dècina Lombardi. Electa