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Finale di Stagione. Intervista a Lorenzo Moretto

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Questa settimana andiamo a raccontare di Sport e Letteratura grazie a una casa editrice raffinata che da anni se ne occupa in maniera encomiabile attraverso alcune sue Collane. Stiamo parlando di
66thand2nd e la racconteremo attraverso uno degli ultimi libri pubblicato nella Collana BookClub: “Finale di Stagione” di Lorenzo Moretto.

La casa editrice è stata fondata a Roma nel 2008 e il nome è un omaggio a New York: Sixtysixthandsecond infatti è l’incrocio tra la Sessantaseiesima Strada e la Seconda Avenue, a Manhattan, dove gli editori hanno creato il primo nucleo di un progetto editoriale che guarda con attenzione ai fermenti della narrativa angloamericana, ma anche aperto alle letterature altre e ai talenti italiani. I libri di 66thand2nd si sono distinti in questi anni per la qualità della grafica e dei materiali, proprio perché ogni libro è stato pensato come un oggetto da essere amato e conservato nel tempo. La casa editrice si è affacciata sul mercato con due collane, Attese e Bazar, a cui si sono aggiunte nel 2011 Bookclub e B-Polar nel 2012 . Nel 2013 invece è arrivata Vite inattese, un’apertura in direzione del memoir. Casa editrice che ha fatto dello Sport il tema e lo sfondo di molti suoi libri e con innovazione ha cominciato a ragionare, in alcune di queste Collane, di quel mondo spettacolare di talenti in cui si fabbricano miti romantici e allargando, però, la visuale anche fuori dalle palestre o dai campi di gioco, si sono voluti svelare aneddoti e segreti. Libri che, senza banalità, sono diventati un vero e proprio viaggio nel mondo sportivo conducendo il lettore a seguire rotte poco consuete e ad entrare in terreni poco praticati. Collane in cui lo sport, la competizione, l’agonismo, il sogno e l’attesa che sempre accompagnano le gare e i fatti legati allo sport offrono lo spunto per una narrazione più ampia e costituiscono le scintille che innescano il desiderio e il gioco della scrittura. Romanzi e memoir unici per stile, temi e ambientazione  e che trovano sicuramente ispirazione in un capolavoro del 1997 dello scrittore uruguayano Eduardo Galeano, tifoso e appassionato di calcio, dal titolo “Splendori e miserie del gioco del calcio”, in cui si è guidati nel mondo magico del football, paragonato a una recita teatrale e a una guerra, alla vita insomma. Il calcio come spazio dell’immaginario, come collante sociale, come fuga dal reale o come specchio di tensioni politiche o come strumento per conoscere  contraddizioni, sogni e speranze. A questo proposito mi vengono in mente libri belli e rocamboleschi pubblicati da 66thn2nd in questi anni come “Il giorno perduto”, scritto a quattro mani da Anthony Cartwright e Gian Luca Favetto, o il più recente “Isla Bonita” di Nicola Muscas o un’antologia a cura dello scrittore congolese Alain Mabanckou, “La felicità degli uomini semplici”. Dopo l’interessante esordio con Una volta ladro, sempre ladro, edito da Minimum fax e finalista ai premi letterari Giuseppe Berto e Città di Lugnano, lo scrittore Lorenzo Moretto ha fatto del calcio il centro del suo secondo romanzo, Finale di stagione, pubblicato nel giugno scorso.  A Lorenzo rivolgiamo le Tre fatidiche domande per Satisfiction della settimana intorno a questo libro che indaga il sottobosco del mondo calcistico.

Antonello Saiz

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Lorenzo, attraverso il folle viaggio del  protagonista del tuo romanzo, Nick Malacrea e la sua ricerca di un campione che possa ribaltare le sorti della Triestina, il calcio di provincia diventa argomento degno di letteratura. Eppure di romanzi sull’argomento calcistico ne vengono scritti pochi, o almeno non tanti quanto il tema meriterebbe. Ci racconti come è nata l’idea e come tu sia arrivato a questa gloriosa e raffinata casa editrice sul mercato editoriale con diverse Collane dedicate allo sport ?


L’idea è nata da un’immagine che mi ossessionava da tempo, diciamo dal 2002: una persona, accompagnata da qualcuno, che viaggia nell’Europa dell’est. Era l’unica cosa che sapevo. Chi è e che lavoro fa questo personaggio? Con chi sta viaggiando? Perché si aggira in quella parte del mondo? Non ne avevo idea. Però questa cosa mi è rimasta incagliata nella testa per tutti questi anni, senza che mi decidessi a vederci meglio. Saltiamo al 2019. Un giorno, leggendo un articolo su L’Ultimo Uomo (una delle riviste che amo di più), mi è venuta voglia di scrivere qualcosa legata ai miei ricordi di quando avevo giocato a calcio: il risultato è quello che oggi si può leggere nel libro, al capitolo 4. Sentivo che c’era qualcosa, mi sembrava potesse funzionare, così lo feci leggere a qualche amico fidato e a qualcuno che ne capisce più di me, che si dà il caso essere una persona davvero speciale, Alessandro Gazoia. Fra le varie attività di Alessandro: scrittore, responsabile editoriale, editor; ma soprattutto persona intelligente e sensibile. Alessandro mi ha detto che era interessante e di continuare a indagare sulla storia che ci poteva essere. E così ho fatto, volevo vedere dove mi portava questa visione e sono andato un po’ in avanti e un po’ indietro con la scrittura (aggiungevo, toglievo) fino al momento in cui mi era chiaro che il protagonista era legato al mondo del calcio ma da una prospettiva nuova, che non avevo mai ancora letto dal punto di vista narrativo: quella dell’osservatore di calcio, la persona che cerca nuovi talenti. Volevo qualcuno che “usasse” i giovani come merce di scambio, che giocasse con la perdita d’innocenza, con un senso di fine di un certo modo di vedere il mondo. Volevo scommettere anche su un certo modo fantastico, qualcosa che unisse il calcio ad altre cose inconsuete. A quel punto l’Europa dell’est è emersa in modo naturale e travolgente: avevo il filo narrativo, con tanto di scelta su come sarebbe finita la vicenda. Ne ho riparlato con Alessandro e da lì al passo con 66thand2nd è stato veloce ma decisamente emozionante: la casa editrice che ha fatto dello sport tema e sfondo per libri bellissimi. Ero chiaramente entusiasta. Dovevo però scrivere gran parte del libro, quindi mi sono rimboccato le maniche. Scrivere dell’Europa dell’est è stato complicato: non ho viaggiato in quei posti (sono stato solo in Russia, nella meravigliosa San Pietroburgo, per una brevissima vacanza, Russia che peraltro non nomino), mi sono basato sui ricordi di un caro amico che per lavoro ha viaggiato in quei paesi molti anni fa; poi ho letto un bel po’ di cose per avere materiale per il libro.
Oggi, a distanza di mesi e con una prospettiva diversa, posso dire che avevo anche voglia di chiudere con quei miei anni calcistici: avevo un conto in sospeso, un po’ di malinconia e di amarezza che il mondo del calcio mi aveva lasciato addosso e che volevo ricordare nel modo migliore. Del resto, mi sembra di poter dire che al momento per i soli due libri che ho scritto, ho sempre avuto lo stesso approccio: chiudere i conti.


Hai scritto un romanzo interessante e corposo sullo sport più parlato e guardato in Italia, con la passionalità grintosa che anima molti sportivi, ma, allo stesso tempo, con una approfondita conoscenza dei temi trattati. Un libro­ che conduce il lettore a spasso per i campi di pallone, seguendo rotte non consuete. Un vero e proprio viaggio nel mondo calcistico e su cosa muove realmente quella palla, spesso avvelenata, che carambola tra i piedi dei calciatori. Un romanzo soprattutto sul sottobosco che alimenta quel mondo. Ci dettagli, dunque, la trama a partire dal personaggio di Malacrea che movimenta la prima parte e poi attraverso la figura di Marek Słonce inseguito nella seconda parte del volume, prima dell’ arrivo ad una conclusione inaspettata ?

Nick Malacrea è un osservatore di calcio e lavora per la Triestina. Siamo nella stagione 2023-24, la Triestina è in serie A (lo so, un miracolo! Ma sai, venendo da quelle parti è anche un augurio che faccio a me stesso e ai miei amici triestini) ma è ultima in classifica. Alcuni giocatori sono infortunati, qualcuno rischia di stare fuori tutta la stagione già da novembre, la piazza dei tifosi è inferocita. Il presidente della Triestina, Lamberto Galasso, ha fatto fortune economiche in passato ma ormai vive lontano da Trieste per gestire meglio i suoi affari non sempre leciti e ha incaricato una donna, Judit Ember, abile manager in campo finanziario, di gestire la squadra. Le vicende della Triestina, quindi, vengono viste attraverso l’occhio di chi, per lavoro, deve osservare. Ma Nick vive un periodo difficile come quello della sua squadra: un matrimonio finito anche se ha mantenuto un buon rapporto con l’ex moglie, un lavoro che sembra non dargli nessuna soddisfazione. Appartiene a una classe lavoratrice limitrofa a un mondo dorato ma fa una vita piuttosto misera, sempre all’ombra di qualcuno. È a questo punto che arriva qualcosa di inaspettato: un video, anonimo, dove sono riprese le gesta calcistiche di un ragazzino, tale Marek Słońce, che sembrano prodigiose. Nick resta esterrefatto: chi è questo ragazzino? Dove gioca? È polacco (słońce vuol dire sole in polacco)? Forse ma se non lo è, allora di che nazionalità è? Siamo alle porte della sessione invernale di calciomercato, una delle occasioni dove una squadra come la Triestina può cercare di risalire la classifica grazie a qualche innesto, sia di esperienza sia di talento formidabile (che eventualmente potrà essere venduto un domani a un prezzo decisamente favorevole). Nick partecipa al calciomercato ma è totalmente concentrato su Marek. Riceve altri video, ne parla con i colleghi, con i vertici della società e tutti sembrano d’accordo sul fatto che dovrà andare a Varsavia dove comincerà il suo viaggio alla ricerca del giovane fuoriclasse. Ma allora chi è Marek Słońce? Marek Słońce è la mia scatola blu (quella di David Lynch di Mulholland Drive), un mistero da scoprire, passo dopo passo, incontro dopo incontro, un mistero che accompagna il lettore fino alla risoluzione finale, visionaria.


Campi da gioco dove si incrociano, si scontrano e si mescolano i mondi diversi degli affari, della politica, dello sport e della televisione. Una industria che fattura miliardi, un mondo spettacolare in cui si fabbricano miti romantici e si costruisce anche consenso: tanto materiale efficace per un soggetto letterario. Eppure nonostante i grandi autori che vi si sono cimentati (pensiamo a Galeano, Soriano, Stelvio Mattioni o, a proposito di Triestina, il sommo Umberto Saba che addirittura compose ben 5 poesie aderenti al tema calcistico), il mondo del calcio continua a scontare vecchi pregiudizi! Ci vuoi spiegare, secondo te, a cosa è dovuto lo storcere il naso in maniera sprezzante verso questo sport?


È chiaro che siamo sovraesposti al calcio, in ogni momento della giornata, settimana dopo settimana. Anche i libri devono occuparsi di questo? Per fortuna non c’è risposta univoca.

Io sono partito dalle mie suggestioni e da qualche ragionamento. Sulle suggestioni mi sono già espresso, sul ragionamento invece mi ha sempre incuriosito una cosa. Prendiamo qualche numero (è anche parte del mio lavoro quotidiano): lo sport in Italia ha 35 milioni di appassionati, di cui 15,5 milioni di praticanti abituali (quasi un terzo degli oltre 59 milioni di cittadini italiani); fra questi, il calcio è lo sport più praticato, con oltre il 34% di chi fa sport. Allora la domanda è facile: se così tante persone sacrificano tempo ed energia a questo sport, se così tanta parte della loro vita è dedicata a questo, perché non ne scriviamo anche romanzi? È difficile mettere su pagina questa energia? Come dici tu, ci sono talmente tante porte narrative per entrare in questo mondo… Pregiudizio? Abitudine? Pigrizia di chi legge? Sembra quasi che chi deve leggere un romanzo dove il calcio è protagonista sappia già cosa aspettarsi e non trovi la cosa interessante. Meglio vedere una partita in tv, forse. Non ho la risposta. Personalmente ho seguito l’immagine iniziale, qualcuno che viaggia nell’Europa dell’est e che mi ha accompagnato per così tanti anni. Quando ho trovato la linea narrativa, sapevo di correre un rischio: che il romanzo fosse visto “solo” come un libro legato a vicende reali calcistiche. Non lo è, è un romanzo vero e proprio, anche se il calcio è e deve essere sia il centro sia lo sfondo. In Italia abbiamo un’ossessione romanzesca legata a certi temi che vengono continuamente affrontati: il tormento amoroso, i problemi economici, l’ascesa e caduta del personaggio principale, il famoso “viaggio dell’eroe”, la famiglia, madri e figlie e padri e figli, tutto concorre a creare l’energia di certa narrativa contemporanea. Sono temi fondamentali perché sono la nostra vita e per fortuna ne scriviamo! Ma è anche vero che se scrivi un romanzo legato allo sport, o rientri in uno di questi temi oppure sei difficile da collocare. I libri sullo sport hanno avuto più risonanza negli ultimi anni dopo un periodo di oblio (Open di Agassi con il suo successo mondiale ha aiutato il genere); la maggior parte sono legati a storie note, personaggi amati/odiati, vicende forse sconosciute ma reali. Quindi se inventi qualcosa, è più facile tenere la rotta se riesci a ricondurre la narrazione all’interno di uno schema di più facile lettura, uno di quelli cui mi riferivo prima. Io avevo voglia di sperimentare pur sapendo che, da qualche parte, sarei rientrato in uno di quegli schemi. Poi è vero che ci sono libri bellissimi legati al calcio, fatti da scrittrici e scrittori italiani, libri che mescolano la pura invenzione a fatti reali, di cui alcuni straordinari, che andrebbero letti con gioia e felicità per come stati pensati e realizzati. Ne indico solo tre, scusandomi con tutti quelli che ho letto e che non citerò qui (e, per essere super partes, non citerò libri bellissimi di 66thand2nd e neanche quelli di scrittori o poeti che tu indichi proponi, per uscire un po’ dagli schemi): Azzurro tenebra di Giovanni Arpino, Il calcio di Grazia di Giuliana Olivero, Le canaglie di Angelo Carotenuto. Tutti trattano di storie vere, tutti sono scritti con uno stile davvero speciale, tale che ti viene voglia di saperne di più di chi l’ha scritto. Una volta forse ce n’erano di più perché le regole del mondo del calcio erano legate a una serie di valori che s’innestano meglio nella visione narrativa. Oggi il calcio è anche molto altro (nella visione comune: troppo di altro). Però è vero che in questo momento ci manca un Nick Hornby (Fever Pitch) o un Anthony Cartwright (Heartland, questo sì 66thand2nd!), cioè qualcuno che metta il mondo del calcio al centro e anche sullo sfondo di una vicenda narrativa reale, che sia una storia d’amore e lo scenario sociale della working class. Sono contro le generalizzazione e quindi dico che forse in Italia ci va bene così ma anche che, per fortuna, esiste chi, come Isabella Ferretti e le persone che lavorano con lei, insistono nel dare voce a questa narrativa. E questo ha molto senso.

Buona lettura dei libri di 66thand2nd e di Finale di stagione di Lorenzo Moretto

Antonello Saiz

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