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Lo spettro visibile. Intervista ad Antonio Francesco Perozzi

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Lo spettro visibile è il nuovo libro di poesie di Antonio Francesco Perozzi e fin dall’inizio, vedi, percepisci, il limite della scrittura, che a differenza dell’immagine cine-visiva o digitale, ha il dono di non poterci far vedere. La scrittura di Perozzi riesce a mostrare, però, il valore iconico del discorso desiderante, usando parole che in sé ribadiscono il limite della scrittura di farsi immagine, per di più in movimento. Perozzi stacca la sospensione e a un certo punto della lettura sembra di osservare uno di quei disegni tridimensionali: dalla trama lineare della parola scritta si riesce a intravedere una terza dimensione. La struttura è un lungo flusso discorsivo e svelante, documentaristico nel farsi documento della visione, i versi distribuiti secondo una logica intuiva e sonora. A volte raccolti in una struttura a forma di narrazione, il cui contenuto è davvero non narrante, ma visionante: Perozzi è colto dalla luce delle cose, dalla paraeidolia del discorso e lo sguardo obbedisce, come al fantasma del desiderio che si fa panico, all’ansia di cogliere il tutto che c’è anche quando il poeta scompare dietro l’atto della sua visione, che diventa costruzione s-oggettiva del cosmo. Mikrocosmos. Sanguineti che aleggia in tutta la scrittura, andamento paradossale e scientifico che sa parlare l’inframezzo quotidiano. Gli occhi vagano nelle zone in cui non c’è parola. La poesia de Lo spettro visibile ricerca e coniuga emisferi opposti, pensiero e sentire, corpo e fantasma, ricuce lo strappo della mente bicamerale, logica e poesia, e seppure in forma scritta noi leggiamo anche l’invisibile materico che le cose portano con sé.

Nella transizione, laddove smette di essere parola e non ancora cosa e laddove lo sguardo della cosa punge il poeta, in quel momento in cui i due fenomeni si connettono e si sovrappongono, erra la descrittura spettrale. Il rumore della descrizione esprime la circostanza della poesia: l’intreccio di una mente poetante espansa ai fenomeni chimico-fisici dell’estensione mondana. Il poeta è parte del meccanismo interiore e della macchina neuro-cosmica e sinestetica. Ma è anche puro sguardo, il meccanismo saccadico che non lesina l’improvviso, e decide il proprio ritmo, il singolare che sfugge, il sacro che non si piega alla parola. La parola estesa e bicamerale di Perozzi è politica: implica corpo, coscienza, improvvisazione e mondo.

Il limine, insomma, il passaggio, il mutarsi dei sensi e l’azzittirsi nella riflessione: lo spettro, fantasma, del visibile.

Gianluca Garrapa

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«che la vita è lacustre e lacustre pure

la presenza del corpo nei corpi, del pensiero

nei corpi: sapere ad esempio l’entropia

del moto ondoso, gli eventi che dissipa il Lario… »

La tua poesia pare seguire una logica filosofica che è sempre logica di più sensi, e anche ulteriori. Mostra il limite che la scrittura ha di far vedere le immagini, e questo avviene mentre una parte mitologica di noi rivede l’accadere degli stati di natura. Ci mostra le cose per dire che le parole non sono immagini, ma il contorno delle cose: in questa raccolta poesia e pensiero hanno un stretto legame, in che senso?

Sì, come osservi, ciò che avevo in mente era giocare sull’incontro e lo scontro tra alcune polarità, come materia e spettro, parola e cosa e, appunto, poesia e pensiero, dove il pensiero è sia il pensiero in senso generale sia, più specificamente, quello educato dal metodo e dal linguaggio della scienza. In questo senso il pensiero e la scienza agirebbero come deduzione, catalogazione e astrazione, mentre, al contrario, la poesia agirebbe come immaginazione, lingua e analogia. I due campi si intersecano e sporcano a vicenda, con la scienza che cerca di torcere verso un ordine razionale le sfasature della poesia e la poesia che al contrario assorbe il lessico scientifico come un relitto, lo rifunzionalizza e inserisce in un piano dell’esperienza in cui tutto comunica la propria presenza. La poesia cerca di cogliere tale presenza nella sua nudità, dunque di studiarne un senso che è ulteriore rispetto alla sua “funzione scientifica”. La scrittura, perciò, deve qui obbedire a due compiti contrastanti: affondare nel reale e insieme cercare di farsi trasparente, per sollevarlo all’evidenza. Qualcosa di contraddittorio che è però (con Derrida) la contraddizione interna alla natura stessa del linguaggio. Come sostrato, infatti, permane il biologico, il materiale, che funziona quindi come campo di sperimentazione della conoscenza, luogo di verifica e scoperta. C’è poi una questione politico-culturale: viviamo in un’epoca in cui il sapere umanistico tende a essere ridotto a divertissement e percepito come non utile rispetto all’interpretazione e conduzione della realtà (o almeno non tanto utile quanto quello scientifico). Ragionare sulle possibilità gnoseologiche della scrittura è quindi tra gli obiettivi di questo libro.

«Il corpo fatto di materia come la pietra

non può penetrare in nessun modo nello spazio

occupato da un altro corpo: così la pietra

una volta che viene immersa a fondo non penetra

l’acqua ma solamente la sposta verso l’alto».

Però il pensiero poetico è anche sentire, corpo, pare regredire a una fase bicamerale della coscienza umana quando il soggetto desiderante è tutt’uno con il cosmo. Di questo colore mi pare sia il tuo sguardo poetico che a tratti ricorda il Marzaioli de I sassi. Nel dire della pietra si fa egli pietra, e il corpo lo deduciamo dalla silhouette tra la non conformità della cosa e della parola. Cosa lega la tua poesia al desiderio, al sentire, all’irrazionale?

Fin dal titolo, questo libro evidenzia un paradosso. Lo spettro visibile è infatti, in fisica, la gamma di colori percepibile dall’occhio umano e dunque, semplificando, ciò che dall’uomo può essere visto. Qualcosa di fisico, di esperibile con lo sguardo. Allo stesso tempo, però, mi suggestionava che proprio questa fisicità fosse espressa dal termine “spettro”: sono così intervenuto sull’ambiguità di questo termine (gamma e fantasma) per fare degli oggetti naturali qualcosa di tangibile ma allo stesso tempo, paradossalmente, evanescente. I corpi – siano essi animali o vegetali o inanimati – che compaiono nel libro sono quindi sempre il manifestarsi di una tensione tra due forze, quella aggregante delle molecole e quella polverizzante dell’apparenza. L’ottica fenomenologica è infatti centrale nel libro (si legga ad esempio Epochè), perché tiene insieme queste due direzioni, benché opposte.

Per tale motivo, per quanto il libro invada, come detto, il campo scientifico, l’irrazionale persiste come polo dialettico: è impensato, ma rappresenta il fondo inaccessibile del pensiero; è, in fin dei conti, la vita che sta dentro la vita degli altri esseri. Il soggetto del libro tende verso l’alterità assoluta (l’inanimato, ad esempio), fa combattere poesia e scienza sperando che dalla loro frizione emerga uno strumento in grado di appagare quello che, sì, in fin dei conti è desiderio di autentica conoscenza.

Satura: il tuo corpo poetico non si limita all’area della pagina abitata dalla parola, il tuo corpo poetico è anche spora, esperimento, insegnamento, molteplice e variegata curiosità, non hai etichette. Attraversamento del territorio con il corpo-significante, resto. Lo spettro visibile è anche il resto di un’operazione significante che non può simbolizzare la materia. Quanto il tuo corpo e i tuoi attraversamenti fuori dalla scrittura hanno influenzato le scelte della tua poesia?

Sicuramente il saccheggio dalle scienze naturalistiche ha radice nella necessità di un piccolo riscatto personale, ovvero quello di riallacciarmi agli interessi scientifici che avevo da bambino e adolescente. A un certo punto ho scelto la letteratura, ma senza fare pace con l’aver lasciato di fatto morire altri percorsi (sì, sono un indeciso cronico). Al di là di questo fatto privato e infantile, comunque, è vero che il libro è attraversato, più o meno visibilmente, da una serie di esperienze esterne alla poesia. Come scritto sopra, ad esempio, la scelta di temi e metodi ha a che fare anche con un discorso in certo senso politico. O, più generalmente, la questione della conoscenza ottenuta attraverso la poesia riguarda anche quello sviluppo dello spirito critico che, come insegnante, devo impegnarmi a coltivare. Insomma, ci tengo a dire che il libro per me non è un traguardo ma uno stadio – che si inserisce all’interno di una ricerca più ampia, sia teorica sia estetica. La realtà è complessa e dunque sento la necessità di rendere complesso il mio agire nel mondo.

«La mattina prepara

una lunghissima ustione. Sale. Odore.»

Che odore ha la tua poesia?

I versi qui citati vengono da Diurno, che è la poesia di uscita dalla fase amniotica e oscura caratterizzante l’inizio libro. L’odore è quindi associato alla presenza della vita. Non so dare un odore preciso ai testi che seguono questa uscita; ma immagino siano presenti molti odori sovrapposti, e fetori, per la massiccia presenza di vita animale e vegetale, per la presenza di cadaveri, anche. Qualcosa di forte, questo sì. Quando lavoro al mio orto percepisco l’olfatto quasi assediato dalla varietà e dalla forza di ciò che rilasciano i non umani. L’opposto della nostra quotidianità igienizzata e inodore.

«così all’arancio corrisponde la nota re,

il sapore acre, il bronzo, l’Ovest, il rene»

Che gusto ha Lo spettro visibile?

Anche qui, immagino una varietà, e per le stesse ragioni: è un libro della compresenza, dunque si affacciano all’esperienza le possibilità più diverse. Già nella poesia citata, ad esempio, si citano anche «il salato» e «l’acerbo». Ma se dovessi sceglierne uno direi acidulo: l’incontro con la realtà materiale non può che essere disturbante, per certi aspetti, come improvvisa epifania del corpo.

«A fermo monito esiste lo Ionio –

un nome per l’eccesso della vista

e per l’idea della Grecia – maschera

quei sali che non si capiscono.»

Cosa vede un poeta e cosa fa vedere la sua scrittura?

Come accennavo, la questione della vista è qui fondamentale, fin dal titolo. Purché sia intesa però come vista + coscienza: la percezione ottica accompagnata da elaborazione cosciente del dato (interpretazione, analogia) e meta-riflessione (elaborazione dell’elaborazione). La poesia – almeno qui – agisce nell’intercapedine della vista, accoglie il visibile, lo sfida nella sua dicibilità, lo riconosce come oggetto interpretato. Vede più del visibile, mi viene da dire, ma senza che questo implichi un misticismo: il poeta torce il collo al linguaggio, passa tutto al vaglio.

«Piombo solido. Impari il suono subacqueo.»

È importante che la poesia suoni? Sei attratto anche dai rumori? Che rapporto ha con la musica la tua ricerca letteraria?

Le mie velleità artistiche si sono coniugate prima con la musica. Per diversi anni ho suonato (in stile alternative/post-hardcore) e tuttora mi interesso molto di musica come ascoltatore. Credo dunque che anche dai miei ascolti (tendenzialmente rivolti ai derivati del punk e agli artisti sperimentali) sia maturato un gusto per il dissonante, che trova infatti nello Spettro applicazione. Il significante, in poesia, è fondamentale, e in questo libro ho giocato ad accostare (ancora un’altra ambiguità…) tecniche combinatorie (ad esempio il cut-up) con altre tradizionali (l’uso dell’endecasillabo, o addirittura la formazione di una sestina, Sistema delle mandrie). Ciò comporta una continua oscillazione tra fasi armoniche e fasi disarmoniche: l’ennesima attuazione della contraddizione in essere che è alla base di questo libro.

«poi le foche, i leopardi confermano
la mutazione della pelle come
viatico alla conquista di tutto»

Il tatto: di cosa è fatta la pelle del tuo libro, se si potesse toccare, cosa sarebbe la tua poesia?

Vale ancora la regola della varietas. Varietà degli esseri ergo varietà dell’esperienza tattile. Ma anche qui posso sottolineare alcune cose: ad esempio che in natura la maggior parte delle superfici sono irregolari. Il tatto che cerca di evocare questo libro riguarda quindi oggetti ruvidi, o ispidi, o scanalati; immagino cortecce, squame, sabbie. Superfici non limate così come non è limato l’essere al mondo delle cose.

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Antonio Francesco Perozzi, Lo spettro visibile, collana Estuari diretta da Alessio Alessandrini, introduzione di Pasquale Pietro Del Giudice, Arcipelago Itaca, 2022

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