È il 1990, i mondiali di calcio tengono banco sulle pagine dei giornali di un’Italia ebbra di speranze. In una Venezia sensuale, quinta perfetta e imprescindibile di questo romanzo, i ventenni Sabrina, (“Feli”), Barbara, Rodrigo ed Ema incrociano le loro esistenze tra calli e mansarde in affitto per studenti, abbandonandosi alla gioia di amori e scoperte, felicità assolute all’apparenza eterne, in un gioco come passo obbligato di formazione alla vita vera.
Tra studio e corteggiamento, passa per i ragazzi un intero anno accademico: le loro scelte esistenziali sembrano delinearsi con chiarezza e tutto del loro futuro pare deciso. Ma un giro di vento finale, spiazzante e inatteso, ribalta il quotidiano e sovverte ineludibilmente i destini di ognuno di loro.
Emanuele Pettener – nato a Mestre, insegnante di lingua e letteratura italiana all’università della Florida di Boca Raton, già autore di saggi, ora alla quinta opera di narrativa – esce nuovamente con Arkadia Editore (Collana Senza rotta) con un romanzo breve straordinariamente avvincente, Giovani ci siamo amati senza saperlo, scegliendo per titolo un significativo verso di William Butler Yeats che anticipa i temi dominanti del libro: pienezza, luminosità e incoscienza dell’amore giovane.
Il personaggio principale, Ema, come l’autore viene da Mestre: non esattamente la più bella città del mondo, perenne ancella della Serenissima da cui la separa solo una striscia d’acqua. È nella seconda che Ema vuole vivere appieno la sua giovinezza: iscritto a Lettere Moderne, potrebbe fare il pendolare come tutti gli studenti mestrini, ci sono in fondo così pochi chilometri da percorrere in treno, ma Venezia lo attira potente perché bellissima, sporca e cattiva. Femmina felina quanto i felini che la percorrono, città di gatti e gatte, come loro pigra e incurante e sensuale. Ci si perde nei suoi riflessi bizantini, nei suoi occhi truccati di verde e malva, maliziosi, nelle sue rive bagnate.
Stabilito in un appartamento, con la leggerezza dei vent’anni si lascia scivolare tra le calli e campi, rapito da ogni dettaglio, pronto ad aprirsi a tutto ciò che la vita pare schiudergli. Lasciandosi portare dal flusso delle cose, incontra quello che diventerà il suo coinquilino: Rodrigo, di madre svizzera, uno studente che è il suo opposto. Rigido, spesso avvolto in un mantello dalla foggia fuori tempo, rassicurante, innocuo, è per Ema e la sua esuberanza un controcanto perfetto.
Ma l’elvetico, come verrà citato più volte, si rivelerà più intraprendente del previsto, soprattutto con le ragazze, la metà del mondo che interessa Ema fino ad ossessionarlo, e avrà più successo di lui proprio con l’ambita Feli. All’inizio poco male, perché comunque Ema si lega presto a tale Barbara, studentessa pendolare, con cui instaura un rapporto di rara noia, tra sesso non entusiasmante e uscite in una Venezia gelida e scontrosa per accompagnarla all’ultimo autobus della giornata.
Dopo un appuntamento in una paninoteca di singolare mestizia con gli amici di Barbara – rigorosamente tutti in coppia, moderati, vecchi dentro – che lo sottopongono a uno scrutinio severissimo da cui esce perdente, Ema decide che quella pagina è da chiudere.
Anche perché nel frattempo, potente, gli si è fatta chiara una cosa: che è di Feli che è innamorato, della sua bellezza interiore ma anche delle sue forme, dei capelli leggeri color del miele e dal profumo di pesca, i piedini che muove sensuale, in un ripetuto incrociarsi di gambe tra l’intenzionalmente malizioso e una noncuranza naïve.
Sta senza dubbio in buona parte qui la forza di questo romanzo, nell’acutezza delle descrizioni, in cui Emanuele Pettener eccelle: lo sguardo del suo Ema supera il limite dell’attrazione ormonale – congruamente comunque sempre presente, una tensione in cui l’autore scava e di cui rende ogni pulsione e sfumatura erotica – e va a cogliere la profondità e tutta la poesia nella beatitudine della visione di Feli.
Quello stesso sguardo penetrante, innamorato Pettener lo riserva per Venezia: la omaggia donando intere pagine sul suo fulgore, la bellezza di smarrirvisi nelle calli, di imbattersi in scorci inattesi fuori dai frusti percorsi turistici, a coglierne il lato severo dei freddi inverni e le sue alterigia e magnificenza di dea nuda e capricciosa.
Lo stile di Pettener è accorto, vivace, rende intatta la freschezza di un’Italia passata da poco, più spensierata, schivando felicemente il rischio di cadere in una facile nostalgia, con la leggerezza di un’ironia che può essere sferzante ma si ferma invece al punto giusto, misurata al millimetro.
Giovani ci siamo amati senza saperlo è lettura avvincente e scorrevole, fino al finale, disorientante, che sorprende spostando l’incasellamento della tipologia di romanzo: non più un’opera di formazione, quella a cui siamo di fronte, ma altro, ben altro. Un altro che qui è giusto non anticipare.
Anna Vallerugo