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Caino contro Caino (pensieri in libertà da una foto ritrovata)

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Gian Paolo e Paolo, 2005

Sarebbe bastato amare.

L’origine di qualsiasi problema é l’amore mancato.

Nessuno sa cosa sia veramente l’amore, se non una attraverso un’idea fumosa, una indicazione incerta, o un desiderio confuso.

L’amore é un fantasma mentre l’amore mancato mostra chiaramente il suo volto.

Si espone alla luce zenitale mostrandoci il suo ghigno ironico.

Tutti siamo orfani d’amore, nonostante tutto quello che possiamo aver ricevuto.

Questo amore frustrato trafigge la nostra anima, ci fa sentire soli e non voluti: feriti.

Ed un animale ferito si difende con la rabbia.

E la rabbia ha bisogno di un qualcuno sul quale riversarsi, anche fosse semplicemente un capro espiatorio.

Tutti abbiamo ammazzato Abele.

In un modo o nell’altro, tutti abbiamo afferrato la mandibola scarnificata dell’asino, l’abbiamo alzata verso il cielo ed abbattuta sul cranio di qualcuno che conoscevamo.

Tutti l’abbiamo fatto perché pensavamo che quella persona fosse preferita a noi, fosse più fortunata

di noi, avesse qualcosa che non gli spettasse o che quel qualcosa spettasse a noi. E quel qualcosa ci fosse stato ingiustamente sottratto.
Per poi scoprire che quella morte non era sufficiente a darci pace, per poi scoprire che avevamo bisogno di un nuovo obiettivo, una nuova tessera di un domino perverso di presunti colpevoli.

Noi, vittime di altri. Quindi obbligati a difenderci.

Il vittimismo é la giustificazione perfetta per commettere le peggiori carneficine.

Ma se ci fossimo fermati un attimo a pensare, se ci fossimo fermati un attimo a guardare negli occhi quella persona, chiunque lui o lei fosse stata, avremmo potuto vedere che era come noi, nata come noi e cullata nello stesso dolore.

Avremmo potuto renderci conto che, ammazzandola, ammazzavamo qualcosa di nostro e che quell’azione esorcizzava un atto che, coscientemente o meno, avremmo voluto infliggere a noi stessi.

Perché quando si odia, si odia innanzitutto se stessi.

Viviamo in un mondo di Caini.

Io sono Caino, tu sei Caino.

Ma vorremmo essere Abele e cerchiamo di recitare la sua parte.

E più puri ci mostriamo più intimamente ci odiamo.

Perché per recitare abbiamo bisogno di censurare una parte di noi stessi, che rimane latente, in attesa di poter deflagrare.

Noi siamo figli di Caino e, condividendone lo spirito invidioso ed omicida, tiriamo in mare i nostri cadaveri sperando rimangano adagiati sul fondale.

E con essi cerchiamo di spingere al largo odio e disperazione illudendoci che non verranno rigettati sulla riva con la prima mareggiata.

Se solo fossimo coscienti che quell’oscenità non appartiene esclusivamente a noi, che quell’oscenità è il dramma che condividiamo con il resto dell’umanità.

Se solo fossimo capaci di riconoscerci simili nello scempio.

Se fossimo capaci di verità…

Ma la verità é un animale che possiamo solo immaginare. Possiamo pensarlo ed assemblarlo come fosse un puzzle, ma mai lo vedremo davanti a noi in carne ed ossa.

O se fossimo semplicemente capaci di onestà, quindi pietà, innanzitutto pietà per noi stessi.

Se la pietà finalmente prendesse il posto occupato dal rancore e dall’odio per quello che vogliamo ma non riusciamo ad essere.

O forse basterebbe cercare di amare la libertà dell’altro. E quindi imparare ad amare la nostra. Abbracciare la sua libertà anche se questa si trovasse al polo opposto della nostra.

Abbracciare quella differenza nonostante la differenza.

Per essere a nostra volta abbracciati da quella differenza nonostante la nostra differenza.

Perché la necessità di quell’abbraccio nasce innanzitutto dalla necessità che venga abbracciata la nostra particolarità.

Quella libertà che, al posto di essere costantemente vilipesa o quanto meno limitata dal pregiudizio e da un ordine imposto, andrebbe curata come si cura un fiore, protetta anche quando fa paura.

Anche quando ci fa sentire piccoli, deboli ed invidiosi.

Perché solo nell’accettare la libertà altrui può esistere la nostra.

Quanti ne abbiamo ammazzati prima di comprendere?

Sarebbe bastato amare…

Eppure siamo Caino.

Io sono Caino. Tu sei Caino.

Ma Caino ha un destino grande, più grande di Abele.

Ricordando quel meraviglioso libro di Steinbeck, Abele é morto lasciando solo qualche pagina in un libro, Caino ha generato, grazie ai suoi figli, un mondo.

Un mondo di guerre ed orrore, certo. Ma anche un mondo in cui uomini dal codice genetico marchiato dal dolore, han saputo creare una bellezza e compiere azioni che superano abbondantemente qualsiasi atrocità.

Perché Caino che affronta il suo dolore guardando in faccia il suo peccato é un miracolo.

Ma Caino che abbraccia quel dolore e quel peccato per generare meraviglia e grandezza é qualcosa per cui non hanno ancora inventato una parola che sia sufficiente.

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