Umberto Eco porta troppo bene i suoi ottant’anni: è nato ad Alessandria il 5 gennaio del 1932. Se ne accorge che è arrivato al fatidico traguardo perché glielo stanno ricordando tutti, con auguri e ovazioni varie, ma lui continua a dare la caccia a libri rari come se ne avesse trenta o a lavorare come a venticinque. Non sappiamo se osserva una dieta, ma non rinuncia all’aperitivo e agli stuzzichini che gli fanno corona ogni giorno che è a Milano, insieme a una covata di amici bibliofili. E tutti in buona salute. Per intenderci: di quel genere che legge la carta dei ristoranti senza versare lacrime o emettere sospiri. Non riportiamo l’elenco delle opere saggistiche e letterarie di Eco, perché non basterebbe questa pagina; basterà dire che è un intellettuale che fa onore all’Italia e che tutto il mondo ci invidia. Come testimonia il ricordo (pubblicato qui a lato) che l’ex presidente ceco, lo scrittore Václav Havel, aveva preparato prima della sua scomparsa. Voci ben fondate sussurrano che oltralpe vorrebbero assegnargli una onorificenza importante, di quelle che farebbero emettere gridolini anche a un Nobel. Di che si tratta? Non possiamo rivelare la notizia, ma non ci è sfuggito il fatto che il 13 gennaio è saltata la presentazione dell’Almanacco del bibliofilo (Eco vi prende sempre parte e legge il suo contributo). Mario Scognamiglio, suo amico e patron dell’iniziativa, l’ha spostata recentemente al 20. Ergo: il 13 gennaio Eco avrà un impegno. E non in Italia.
(Armando Torno, pag. 33, Corriere della Sera, 5-1-12)