In treno proprio accanto a me doveva sedersi? Italo delle 10:05 verso Milano, una possibilità su seicento, ma così è accaduto. Mi guarda osservante e mi dice: Sono qui, ma come una cancellatura… e poi: Lei conosce Romeo e Giulietta di Shakespeare. Non conosco nessuno, vorrei leggere ma nel contempo la vanità mi obbliga ad accennare il monologo di Mercuzio: E così notte dopo notte la regina Mab galoppa e vola attraverso il cervello degli amanti che subito sognano l’amore! Galoppa anche sulle ginocchia dei cortigiani perché sognino gli inchini, sulle dita degli avvocati perché sognino le parcelle o sulle labbra delle ragazze perché sognino di essere baciate! Mi guarda come se mi riconoscesse, uno sguardo d’intesa. Nausea, provo fastidio ad avvertire questa complicità perché il “mostro” qui accanto mi somiglia. Potevamo essere criminali e invece siamo poeti, mi dice avvicinandosi. Poeta sarà lei, dico io. E lui senza freni: Il cammino è inutile e quello di Sisifo è un fallimento. Lei conosce… mi chiede. Non so che dire, se dico che lo conosco parlerà se dico che non lo conosco me lo spiegherà. Dico: È il testo di un Camus toccato dalla grazia. Ecco, vede, se io tornassi indietro, all’origine della mia follia, non farei nulla, per restare la nientità che ero ma in un clima di familiarità con me stesso, ora tutto in me mi è nemico, contrario, straniero. Sono una debolezza senza più volontà, dice. E sono solo. Lo siamo tutti, dico io banale e stupido. Poi riprende: Verrebbe da dire che sono solo se io fossi io, ma in verità noi, calca la voce sul noi, noi siamo quello che ero e ciò che non sono.
Per fortuna è sceso a Bologna.