Sul Roma>Bologna delle 3 ieri c’erano due soggetti assaissimo interessanti: lei era di una magrezza che confinava con l’alterigia, trent’anni, lui di una balbuzie che invocava soccorso, qualche anno di meno; non so se si amassero o si fossero amati, mi sono chiesto: sono fratelli?
So che leggevano le lettere che Kafka scrisse a Milena, lui leggeva ad alta voce e si contorceva in una specie di apnea, occhiali piccoli e rotondi, mentre lei guardava altrove con gli occhi senza fede, speranza e carità, vuoti e con l’orrore del quotidiano che scorre sempre uguale come l’orrore del quotidiano che scorre sempre uguale (ho riconosciuto la traduzione di Pocar in un passaggio che da ragazzo conoscevo a memoria, e ora la ho trovata):
«… penso solamente alla spiegazione del male che escogitai allora per il caso mio, e che si conviene a molti casi. Ecco, il cervello non riusciva più a tollerare le preoccupazioni e i dolori che gli erano imposti. Diceva: “Non ne posso più; ma se c’è ancora qualcuno cui importi di conservare il totale, mi tolga un po’ del mio peso, e si potrà campare ancora un tantino”. Allora si fecero avanti i polmoni che, tanto, non avevano molto da perdere. Queste trattative fra il cervello e i polmoni, che si svolgevano a mia insaputa, devono essere state spaventevoli.»