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Alessandra Mureddu. Azzardo

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C’è in me qualcuno che mi ha abbandonato”. (E. Cioran)

Mentre cammino per le strade della mia città, alla ricerca di una panchina su cui sedermi a (ri)leggere il libro che porto con me, perdo il conto delle sale scommesse, dei bar e dei tanti altri locali – ad accesso pubblico – che hanno allestito al loro interno angoli deputati al gioco d’azzardo per mezzo di slot machine di ultima generazione o di distributori automatici di gratta e vinci. A guardare bene l’ingresso di tutti questi spazi, nessuno di essi è presidiato da controllori autorizzati o guardie giurate. E come se non bastasse, alcuni di questi luoghi sorgono a pochissimi metri dalle casse bancomat h24, dai compro-oro e dai bar che servono superalcolici. Una strada a senso unico, lastricata con i migliori mattoni cotti nel forno dell’inferno, che conduce solo verso la tentazione dell’arricchirsi ora e subito dimenticando il resto del mondo.

Di conseguenza, se nessuno degli adulti che vi accede (a tutte le ore del giorno e anche per molte ore della notte) deve mostrare un documento utile a registrare una traccia del suo passaggio, non sarà neanche costretto in alcun modo a dar di conto di quanto arriva a perdere, per ogni ora di gioco trascorsa tra quelle mura. Così, nel pieno anonimato, ogni cittadino può trascorrere il suo tempo (poco) libero consumando i risparmi di un giorno, un mese, una vita intera restando – sempre – a mani vuote e con gli occhi sazi di video-immagini, clip virtuali dai toni seducenti che promettono grandi tesori e restituiscono piccole vittorie della portata di qualche euro. Vincite minuscole utili a illudere gran parte dei giocatori che tentano l’incanto della dea bendata per un tempo indeterminato.

«Il gioco è un lavoro, non c’è tempo da perdere, niente da commentare, è un tutti contro tutti alla ricerca della combinazione vincente, ciò che sta fuori dal monitor non esiste»

Una dea che bacia (e avvelena di effimera speranza) tutti i suoi figli, ammaliandoli con un canto antico e perverso: di ora in ora, di giorno in giorno, di anno in anno fino all’esaurimento totale di quell’individuo. Prima prosciugando il suo conto corrente, poi intaccando suoi rapporti familiari e umani e – infine – aggredendo il suo sistema nervoso e quel che resta della sua salute mentale: a quel punto ha luogo, per il malcapitato che (forse) cercava solo una distrazione rispetto alle incombenze della vita, la distruzione totale dello status di persona vivente libera. Molti ignorano questo dilagante fenomeno sociale, mentre attorno a noi (è bene ribadirlo) chiunque potrebbe esserne vittima. Non vi è abbastanza luce su queste dinamiche: se ne parla poco in Italia, mentre la piaga cresce a dismisura. Eppure, bisogna riconoscerlo, esistono libri che raccontano e documentano il fenomeno. Il libro fondamentale sul tema, che ho scoperto di recente, e che ho consigliato ad un amico con un familiare coinvolto in questo delicato problema chiamato ludopatia, è apparso in questo periodo nelle librerie italiane e sta lasciando dietro di sé una scia di consensi critici (e apprezzamenti di pubblico) a dir poco notevoli.

Parlo di “Azzardo” di Alessandra Mureddu, un magnifico memoir dal profondo valore letterario, che nasce da un corpo a corpo (dell’autrice stessa) con una patologia feroce (appunto la ludopatia e tutte le altre conseguenti dipendenze che vi ruotano attorno) che nel diventare materia scritta si fa testimonianza di una vita altra (ignorata dai comuni mortali che vagano per le strade dell’Urbe) in un tempo a noi vicino, considerato misura dell’esistenza quotidiana. Di pagina in pagina si evince, attraverso questa storia di morte e rinascita, che ha faticato a lungo l’autrice per risollevare corpo e anima dal baratro di dolore e malattia in cui era precipitato, dopo un largo frammento di esistenza vissuta “a perdere”. E nella sua solitudine ha trovato la forza di scrivere – in modo lucido e spietato – un diario in prosa di quei giorni, fino ad essere pubblicata in qualità di esordiente per una magnifica collana (Unici) di Einaudi. Come dicevo all’inizio di questa recensione, camminando per le strade cittadine del luogo in cui vivo, incontro spesso le tabaccherie, i bar, le sale scommesse, le sale slot e videolottery e ancora piccoli casinò. Luoghi in cui alla luce di un neon soffuso, o in un buio illuminato da schermi elettronici impazziti, ogni individuo può alimentare (mentre è convinto di addomesticarli) i suoi demoni interiori. Arrivando a consumare, puntata dopo puntata, la propria anima: il diavolo ingordo ha la bocca di una fessura di metallo e plastica che divora banconote di ogni taglio, monete o gettoni da convertire alla cassa le rare volte in cui si vince.

«Mi siedo davanti a una macchina d’angolo e ripeto i gesti di mio padre, tra paginate di giochi diversi scelgo i libri d’oro, e inizio la mia battaglia personale. A mio padre, per un anno, non dico che vado a giocare, anzi lo aggredisco, lo richiamo alle sue responsabilità. Mia madre mi lascia sola, gli amici pure. “Si è sacrificato per tutta la vita, a voi non manca niente, sono soldi suoi, non li ruba a nessuno”. Lui mi oppone i silenzi di sempre: “Pensa a fare la figlia”, mi dice. E nega.”»

L’importante per chi gioca, come si evince dalle pagine del libro della Mureddu, non è giocare per vincere, né vincere per fare altro. Ma solo restare anestetizzati, in una dimensione liquida dell’esistenza che annientando il concetto di persona e tempo fa dimenticare (se non smarrire del tutto) a chi gioca ogni altro tipo di dinamica umana che potrebbe allontanarlo dalla sedia collocata di fronte la macchinetta infernale. E nella ricerca di un ulteriore sostegno – pur quando sei seguito da un gruppo di auto-aiuto – come ben racconta la Mureddu – si incontrano compagni di viaggio che, pur avendo buone intenzioni, sono preda di altri demoni. E in questi incontri, talvolta, si barattano la voglia di riprendersi la propria vita (e il bisogno corporale di un compagno) con le continue possibili ricadute. Dove ogni ricaduta cancella anni di lavoro verso il benessere, per chi ci ha creduto in prima persona (un individuo affetto da ludopatia) e per chi ha provato ad aiutarla (familiari, amici, operatori e altri attori che ruotano attorno a quella vita).

Ha combattuto a lungo la Mureddu per recuperare la sua vita di donna adulta preda del gioco, dopo che aveva provato a salvare quella di un padre avvocato e (già) giocatore patologico, in un momento in cui da donna adulta ma fragile si è ritrovata ancora più sola, e in pieno abbandono da parte del compagno. Lo ha fatto cercando sempre di non cedere alla tentazione, ricaduta dopo ricaduta. E solo interrogandosi a lungo, sul quel sopravvivere rubato all’esperienza del vivere, ha imparato a trovare il giusto coraggio con cui porre per davvero un punto fermo alla sua travolgente dipendenza. Un percorso patologico che le ha rubato anni di vita e tanti soldi, che l’ha spinta a vendere i preziosi di famiglia, a recuperare soldi attraverso soluzioni poco dignitose, a concedersi sulla fiducia verso chi un po’ di amore non voleva offrire perché già attratto da altre dipendenze legalizzate (giocare in borsa, per dirne una). Un seguirsi di accadimenti della cui esistenza ognuno di noi non racconterebbe neanche al migliore amico o al proprio analista. Eppure, se questo libro intitolato appunto Azzardo esiste, lo dobbiamo a una donna che con uno stile solido, e una voce sincera, è riuscita a restituirci un documento autobiografico e universale. Un libro che è testimonianza di una vita ritrovata, finalmente recuperata nei confronti di un’esistenza che poteva sgretolarsi, sotto il peso di un percorso patologico che avvicinava (mente e corpo) a qualcosa di riconoscibile come una particolare forma di anestesia chiamata morte. Pertanto, a mio avviso, una lettura necessaria (se non salvifica) questo testo di casa Einaudi. Un libro che fa sperare in una esistenza serena per l’autrice, una scrittrice di talento (fin da questo suo esordio) che fa sua l’insegnamento della grande narratrice Joan Didion (a proposito del dolore, ad esempio, un tema caro a entrambe), per trovare forza vitale nel suo scrivere e (tornare a) vivere. In fondo, a dirla tutta, un libro come Azzardo è utile ad alimentare la luce della rinascita per chi cade, o vede cadere un suo stretto familiare, nella spirale del gioco d’azzardo patologico. Un fenomeno, non dimentichiamolo mai, che potrebbe travolgere ognuno di noi in quanto soggetti concreti di questo stare al mondo chiamato vita.

Mario Schiavone

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Alessandra Mureddu

Azzardo

Einaudi editore

15,50 euro

129 pagine

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