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Olivier Mak-Bouchard anteprima. Il canto del Mistral

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Esce il 29 marzo per Alter Ego edizioni Il canto del Mistral (pagg. 302, € 19,00), romanzo di esordio di Olivier Mak-Bouchard. Pubblicato in Francia nel 2020, titolo originale Le Dit du Mistral nel giro di pochi mesi ha ottenuto un consenso di critica e di lettori inusitato per questi tempi incerti. Premiato con il prestigioso Prix Première Plume nel 2020 e nel 2021 con Prix du Livre Cogedim Club ha venduto più di 30.000 copie in Francia, un vero e proprio successo editoriale che approda finalmente anche in Italia grazie ai tipi della Alter Ego con la traduzione di Camilla Diez.

Olivier Mak-Bouchard cresciuto nel Luberon, ha adottato la Provenza come la sua terra madre, dalla quale attinge a piene mani per narrarci questa terra aspra e riservata battuta dal vento di Maestrale dove si rincorrono le voci dei due protagonisti come un canto appunto, un canto di appartenenza al passato che attraverso i suoi miti e leggende ci permette ancora di sognare e di camminare nel presente per approdare nel futuro.

Dopo un violento temporale, il mattino seguente ancora di pioggia battente, un giovane uomo vede bussare alla porta della sua casa di campagna, un altro uomo, un vecchio contadino, il suo burbero vicino, il signor Sécaillat che vuole mostrargli una cosa. Tagliando per i campi arrivano al campo di ciliegi del signor Sécaillat che separa le due masserie. Scopriremo insieme a loro che dallo squarcio di un muro a secco crollato per la pioggia, tra argilla e fango, emerge quello che è una rivelazione, una magia, un archetipo della nostra memoria. Un passato che affiora, un presente che si fa saldo come una amicizia robusta e forte, un futuro che solo sporgendo lo sguardo nel passato diventa degno di essere vissuto.

Una favola moderna, il gatto Ussaro dalle zampette nere che li osserva scavare e riportare alla luce il dono di una terra quella del Luberon avara di acqua; una narrazione a volte arcaica e potente, altre volte capace di solidarietà e delicatezza, ci trascina nel regno magico e solo sopito della nostra infanzia. Una scrittura quella di Olivier Mak-Bouchard capace di trascinarci nelle leggende, ma anche, attraverso un itinerario dei luoghi, degli odori di un cibo cucinato con amore, un itinerario per lo scrittore della sua infanzia, per noi un viaggio in una terra – quella della Provenza – dove gli echi sono capaci di tramutarsi in canto e risvegliare i nostri percorsi interiori, quelli che ci siamo lasciati alle spalle, ma che sono stati e sono ad oggi i passi che siamo riusciti a fare per allenarci al futuro.

E’ un romanzo magico il canto del Mistral, racconto di una amicizia, racconto della nascita del vento, di quel Maestrale che ci rammenta quanto la vocazione alla libertà sia cosa buona e giusta, sia essa mito e leggenda, sia essa voce di rara purezza che a volte ci pare di avere udito. Voce che ci rincorre per salvarci. A volte il canto di quel vento ci regala un volto di donna che ci offre in dono un’acqua miracolosa.

Così ne il canto del Mistral le leggende e le storie dei miti si intrecciano indissolubilmente con la scoperta della natura e del suo amore per lei, amore per la vita, amore per l’altro così diverso da noi, amore per una terra, la Provenza e del vento che ci perpetua il canto.

Maria Caterina Prezioso

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Tutta quell’acqua aveva firmato la sentenza di morte dei nostri scavi archeologici. Non potevamo più scavare, proprio nel momento in cui diventava promettente. Io non dicevo niente, e la natura nemmeno. A parte il fremito dell’acqua nella fossa, non si sentiva nulla.

Era fine novembre. Cominciava a fare molto freddo, e Madre Natura cominciava a funzionare al rallentatore, risparmiava le forze per lottare contro l’inverno. Il cielo era azzurro trasparente, e toccava con un dito il bianco limpido della parete di un ghiacciaio. Il Luberon somigliava a una grossa coperta blu di metilene sopra un letto sfatto. A ciascuna delle nostre espirazioni usciva una nebbiolina che svaniva subito, scomparendo insieme al vapore acqueo sprigionato dalla sorgente. Sécaillat mi guardava senza fiatare. Dopo tutto quel tempo passato nella fossa, mi leggeva dentro come un libro aperto.

«È deluso, vero? Per gli scavi? Accidenti, lei non è mai contento, abbiamo appena trovato una sorgente, e che cavolo!» disse innervosito.

«No, non è questo, non sono deluso. È un bene che abbiamo trovato questa sorgente. Anzi, più che un bene. È solo che… è solo che penso alla scultura che abbiamo rinvenuto ieri. È un peccato lasciarla lì sott’acqua. E forse c’era altra roba da scoprire. Se la sua teoria è giusta, con i cocci abbiamo trovato soltanto il rinterro, quello che hanno usato per tappare la sorgente. Ed ecco che appena troviamo la donna calcarea, l’acqua ce la porta via. Ammetterà che non siamo molto fortunati, no?» gli riposi.

«D’accordo… Ma è la vita, che vuol farci. Comincia a fare un freddo cane, non possiamo mica restare così per ore. Venga a prendere un caffè da me» disse invitandomi con un cenno del capo.

Ci avviammo verso casa sua. Tra due ciliegi comparve l’Ussaro, che si autoinvitò, sgambettando tra i nostri passi a piccole falcate. Sécaillat intavolò una conversazione con lui, chiedendogli dove avesse passato la notte e se avesse cacciato i topi. L’Ussaro gli rispose miagolando, a ogni domanda, come se capisse.

Quando fummo in cucina, Sécaillat prese una caffettiera a pistone, di quelle in cui bisogna spingere il filtro in fondo per intrappolarci il caffè. Prese il macinato da una scatola di ferro e fece bollire l’acqua. Poi rovistò per alcuni istanti in un armadio e ne tirò fuori una specie di scatoletta di sardine di Marsiglia. Aprì un foglio di carta stagnola e ce le versò sopra.

«Questo è per te, oggi si festeggia» disse all’Ussaro facendogli scorrere la mano lungo il dorso.

«Vuole una ciotola o una tazza?» mi chiese.

«Una tazza, grazie» risposi.

Versò l’acqua bollente nella caffettiera e aspettò un momento senza dire nulla. Si sentiva l’Ussaro fare un chiasso terribile sulla carta stagnola. Ritenendo di aver atteso abbastanza, Sécaillat spinse il filtro con il palmo della mano spalancata e lo sguardo perso nel fondo di caffè. Sembrò interrogarlo per vedere cosa riservava il futuro alla donna calcarea, perché prese a parlare subito dopo.

«Non è che abbiamo tutta questa scelta, e tanto non possiamo mica lasciare la sorgente in quello stato. Bisogna trovare da dove arriva l’acqua e canalizzarla. La farò analizzare per vedere se è potabile, ma visto il colore, mi stupirebbe» dichiarò Sécaillat.

«E cosa ne facciamo della donna calcarea? La lasciamo sott’acqua?» chiesi io.

«Non sono sicuro che il livello dell’attuale superficie dell’acqua sia il livello naturale. Ieri abbiamo scavato, ma quando siamo andati via restava ancora un po’ di terra, non avevamo ancora fatto affiorare la roccia. Ho una pompetta che uso una volta l’anno per pulire la nostra vasca. Non è molto potente. Non so, bisogna vedere, provare, non sono in grado di valutare. Portiamo giù la pompa e grattiamo finché non arriviamo alla roccia. Magari troviamo altra roba, ma sarà dura tirarla fuori senza rovinare niente. Con tutta la terra che tireremo fuori, il livello dell’acqua dovrebbe scendere, o almeno spero».

«E se è una sacca d’acqua?».

«Per prima cosa, mi stupirebbe se fosse una sacca. Ma mettiamo pure che lo sia: ebbene, la prosciugheremo, andrà perduta e pazienza. Ma le garantisco che non è una sacca d’acqua. Bisogna sbrigarsi perché l’inverno è alle porte, e ogni pioggia ci raddoppierà il lavoro» disse mandando giù il caffè d’un fiato.

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