Da oggi sono in libreria i Diari (1961-1979) di Cesare Zavattini, La nave di Teseo 2023, pp. 624, € 24,00 a cura di Valentina Fortichiari.
Cesare Zavattini, scrittore e grandissimo sceneggiatore fu un punto di riferimento del neorealismo italiano con le sceneggiature di Sciuscià, 1946; Ladri di biciclette, 1948; Miracolo a Milano, 1951; Umberto D., 1952; Il tetto, 1956; La ciociara, 1960; Il boom, 1963; Il giardino dei Finzi Contini, 1970.
La pubblicazione è davvero preziosa e imperdibile.
Nei Diari troviamo appuntamenti e appunti, elenchi di parole o di cose da fare, idee, concetti e propositi, bozze e progetti, intuizioni e riflessioni profonde.
A volte le parole sono lì a testimoniare l’inizio del processo creativo di un intellettuale geniale che combinava la profondità con la chiarezza. Altre volte spuntano aforismi acuti e analisi illuminanti.
Nel libro emerge tutta la potenza intellettuale di Zavattini, un genio visionario in grado di comprendere e combattere il suo tempo, cogliendo i limiti e i difetti di una cultura poi santificata in assenza di alternative.
Carlo Tortarolo
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p. 54
8 febbraio 1963
Ho visto alle 17 il film di Fellini 8 e mezzo. Alle 21 mi telefona Fellini. Gli dico mia emozione, pieno di ingegno. Lungo il finale. Dice che ha tagliato già. Poi Marco mi chiede giudizio più preciso. Mi pare: autobiografismo gli prende un po’ la mano. Vuole essere sincero, ma non lo è che molto parzialmente, o poco profondamente… La soluzione è detta, non “cresciuta”. Ci sono lampi, verità parziali ma non innestate su un asse morale (non può essere “il lasciatemi essere come sono”, specie in un fi lm, con un messaggio a milioni di persone). Che cosa dà agli altri, al pubblico, al prossimo? C’è una esaltazione romantica dell’io, una catarsi verbale. E forse, alla fine, un aggiustamento generale mezzo vero mezzo falso. È debole Mastroianni. Fellini: ma cosa vuole questo signore? Cosa ci racconta di così importante, di sé, da occupare un film ecc.? Il problema sessuale resta tale, i piani non si intersecano. Le immagini stupende non sempre sono imbevute di una concorde ragione. Il personaggio resta quello che è: con un compiacimento in più e la spinta di una coscienza sociale. La polemica col critico è esterna; e il critico è di maniera mentre rappresenta “qualche cosa che non è così superficiale come Fellini crede. Dramma poco sofferto” (la moglie? A Fellini non gliene importa).
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pp. 55-56
Marzo 1963
Aut-aut
Non mi meraviglia mai ciò che apprendo ma l’opposto. C’è una specie di compiacimento dell’ignoranza quanto più essa è immensa, e fa risaltare i nostri atti che si compiono come se nascessero da qualche cosa che soffriamo profondamente. L’uomo più sciocco ha la sua articolazione quotidiana che presuppone millenni di scienza, e invece se gli chiedete fissandolo negli occhi cosa vuol dire democrazia non lo sa proprio. Lo sanno in pochi. Democrazia politica è quello di cui ormai ci si accontenta, in attesa di quella sociale che verrà un giorno, si dice, e quella morale e ancora più lontana. Per morale s’intende la intuizione originaria, creatrice di un tempo, e se volete essere modesti, fermiamoci a dire di un secolo. Io, uomo della strada, da qualche mese mi smarrisco, non trovo più il bandolo della matassa, illusorio anche lui, forse, ma pareva conducesse, almeno per quanto riguardava i partiti di sinistra, verso forme di rinnovamento sostanziali, come se si fosse in uno di quei momenti al rallentatore in cui il trapasso, dall’inorganico all’organico anziché disperso nelle ere si svolgesse sotto il nostro trepido sguardo. Ma siamo distratti dalle mostruose sofisticazioni alimentari e pochi sanno se la filosofia ha qualche cosa di utile da insegnarci in vista delle elezioni. Ugo Spirito, Abbagnano, Enzo Paci, avranno per conto loro cacchi da pelare entrando nella cabina elettorale, e non mi pare che saranno tanto più sinceri del mio amico Vinicio. Da così alti personaggi io aspetto sempre, come nell’infanzia dai maghi, la norma. Dicono che la filosofia moderna cerchi la saggezza, cioè il bene secondo ragione. E un po’ l’ho cercata ascoltando avidamente le tribune politiche, così poco tacitiane e ancor meno umane; congelate in linguaggi tecnici dove la parola pace dà la nausea e la parola giustizia ci strappa lacrime disperate sulla inutilità degli accordi: una pallida vita dell’anima trapela ancora in qualche silenzio, là dove non si parla di pace né di giustizia né di progresso. Poveri cari uomini che fingono di essere sicuri non so di che, e basta che le telecamere li inquadrino e come fanciulli prendono un appunto non vero, corrugano la fronte, assumono arie complesse, se mi si permette l’espressione. Fratelli, fratelli smarriti, antichi commedianti smarriti i quali hanno preparato la parte entrando dalla comune e si sono sforzati che la battuta sia di poche pillole in più, pochi secondi di vita di più. Non c’è mai l’amore della verità, scarna, terribile; si approssimano, non è la lotta che cresce ma la piallatura delle idee, delle ideologie, della storia. Il presente ha sempre meno probabilità di essere storia.