Ludwig Wittgenstein si era arruolato volontario nell’esercito austriaco durante la Prima guerra mondiale. Era un genio e un uomo dal carattere tremendo. Voltato le spalle più volte a una ingente fortuna economica, nel disperato tentativo di farsi ammazzare si era guadagnato una medaglia al valore.
Finì sul fronte italiano dove, con una matita e un fucile, scriveva il Tractatus, mangiava pane e formaggio, e sparava agli italiani. Incapace di provare rimorso o farsi ammazzare, ricevette una medaglia al valore.
Delle molte e assai laconiche cose che scrisse, due ci sono rimaste su tutte: Su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere e Le mie proposizioni illuminano così: Colui che mi comprende… deve, per così dire, gettar via la scala dopo essere asceso su essa.
Con questo folle austrico Davide Antonio Pio ha in comune l’amore per la musica, musica classica, il pianoforte, anche se Pio compone, mentre Wittgenstein no.
Non fanno della parola scritta stesso utilizzo, Pio disegna ritratti, abbozza trame, Ludwig picconava antiche certezze, lanciava sassi a Dio, umiliava i logici più famosi di tutta la Gran Bretagna e scoraggiava i giovani studenti che a Cambridge, per poco tempo, gli furono assegnati. Ma, come dimostra il romanzo Anche se fosse vero, edito da Il ramo e la foglia edizioni, entrambi non hanno molta voglia di spiegare.
Davide Antonio Pio ha il dono di una prosa tagliente, spesso in grado di smaltare le parole incastonandole in frasi gioiello che suonano come argento percosso.
I periodi, corti e affilati, sono usati per cesellare piccoli ritratti che si accumulano, si incastrano, in frammenti di storia.
Fino a pagina cinquanta è impossibile desumere una qualche sinossi, dopo la storia si fa più chiara anche grazie alla mappa che si trova a pagina 139 che l’editore saggiamente ha allegato e senza la quale, forse sarebbe impossibile orientarsi. Siamo a Venezia, la città più difficile di tutte per un racconto, talmente ingombrante che si rischia costantemente di finire dentro una cartolina o una canzone. Quella che qui troviamo è una città sognata, svuotata dalla folla che di solito la ingombra.
I percorsi, le linee narrative, la storia di Amanda, di Elia, ci vengono mostrate come un mosaico esploso.
Pio sceglie di lasciare il lettore da solo, lo abbandona in questo labirinto.
A volte si ha la sensazione che come il genio di Vienna, anche Pio non abbia molta voglia di essere capito e ci abbaglia con i suoi fulmini che generano faville incantevoli.
Questo libro piccolo, di appena 144 pagine, sarebbe potuto (non oso dire dovuto) durare un centinaio di pagine ancora, per collegare i pezzi tra loro, per nutrire questa prosa tanto bella di una trama più robusta, capace di trattenere quanto, tanto, invece si disperde.
Alle ultime battute, dopo essere ascesi su questa scala narrativa, restiamo sospesi, aggrappati a quel senso che forse l’autore vorrebbe che abbandonassimo. Tante volte le vicende sono surreali, volutamente, perché non si dimentichi che siamo dentro una narrazione, una finzione che ha lo scopo di piegare la realtà per le esigenze del narratore.
Probabilmente dovrò leggere questo libro ancora una volta, tra qualche mese. Succede – non molto spesso ma succede – che si senta l’esigenza di dare a un libro una lettura nuova.
La prima per perdersi, la seconda per ritrovarsi.
Pierangelo Consoli
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Davide Antonio Pio, Anche se fosse vero, Il ramo e la foglia edizioni, Pp. 144, Euro 15