Anni fa ero nel deserto. Io e mia moglie affittammo una macchina e cominciammo a girovagare. Eravamo in vacanza alle Canarie. Arrivati nel deserto fermammo la macchina e proseguimmo a piedi. Oltre una duna molto grande scorgemmo qualcosa nel cielo. Era pieno giorno, faceva molto caldo. Si trattava di un velivolo colorato, prima uno e poi un altro. Non era possibile capire di cosa si trattasse e ci avvicinammo. Superata un’altra duna scoprimmo che il cielo era pieno di aquiloni enormi a forma di drago, di serpenti. C’era anche una balena, ma potrei essermelo inventato. Erano centinaia. Ci dissero che si trattava di un raduno e noi ci sedemmo sulla sabbia e ci mettemmo a guardare il cielo solcato da coloratissimi abitanti che placidi oscillavano legati a una corda.
Con Gli eroi si baciano, edito da Mondadori, Filippo Nicosia ci racconta un deserto molto simile, urbano, dove regna un’assenza persino più sorda e disturbante. Una Roma notturna e fredda e inospitale. Ci sono una decina di personaggi – non li ho contati tutti ma sono tanti – e come quei palloni che solcavano il cielo delle Canarie, oscillano soli, legati ad uno spago sottile che è la loro vita. Sono tutti nello stesso posto, si incontrano, si sfiorano e si allontanano. Sembrano passeggeri di un aereo al centro di una terribile turbolenza.
Ecco, questa è forse l’immagine che meglio ci restituisce questo racconto. Pensate a un aereo. Sopra ci sono molti passeggeri. Alcuni di questi si conoscono, altri si sono visti al check in, altri no.
Bernardo; Nina; Marcella; Vincenzo; Betul…
L’aereo parte e mentre sono in volo, una tempesta li travolge, li scuote e li spaventa a morte. La tempesta li costringe a rivelarsi, a confessare le proprie aspirazioni a liberarsi e a manifestare le proprie crepe.
Tutte le centonovantasette pagine divise in tre parti che raccontano dieci anni di vita, sono la tempesta. Anche se l’aereo non si schianta, tutti ne escono diversi. Alcuni sconvolti, altri alleggeriti.
Nicosia tratteggia dei ritratti. Sono molti e per farlo usa punti di vista diversi, alterna la prima persona, la seconda e la terza. Usa la poesia, la prosa. Ogni capitolo porta il nome di un personaggio e la scelta stilistica è come la scelta di un colore che Nicosia ritiene sia più appropriato per dipingere l’anima di quel personaggio, è la trappola che allestisce per poterlo afferrare.
Sono vite solitarie, abbandonate, drogate, piene di musica e di sogni, di uomini e di donne del nostro secolo.
Il bello di questo racconto è la scrittura, molto semplice, immediata. È come un film, ti siedi e lo leggi e finisce e quasi non te ne accorgi.
Il limite, invece, è che c’è dentro tantissimo. Troppi personaggi, troppe linee narrative, troppi stili e anche troppi anni perché, in meno di duecento pagine, le si possa contenere in maniera esaustiva. Inevitabilmente ci sono ritratti che rimangono solo abbozzati, altre vicende che capiamo appena e i cui vuoti possiamo solo accettare.
C’è poi un altro problema, un problema più ampio che sarebbe interessante approfondire in una sede diversa ma che riguarda Nicosia come quasi tutti noi narratori nati negli anni ottanta e cresciuti nel decennio successivo.
Essendo nati in un mondo radicalmente diverso da questo in cui adesso viviamo, e amando, essendoci formati, leggendo libri scritti da persone nate e cresciute in un mondo radicalmente diverso da questo in cui adesso viviamo, noi continuiamo a perpetuare la narrazione di un mondo diverso da questo in cui adesso viviamo.
I personaggi che raccontiamo sembrano trasportati in braccio nel secondo decennio del 2000, come se non ci avessero mai messo piede. Gli diamo un cellulare, gli facciamo usare WhatsApp e poi li facciamo volere le cose che volevamo noi, credere nelle cose in cui credevamo noi e pensare come pensiamo noi, come i vecchi abitanti di un mondo che non esiste più.
Pierangelo Consoli
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Filippo Nicosia, Gli eroi si baciano, Mondadori, 2023, Pp. 204, Euro 19